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Libertà di espressione

Il 7 gennaio ho scritto di getto a proposito del massacro di Charlie Hebdo poiché quel giorno è stata colpita nel modo più violento e ripugnante la libertà di parola, anche la libertà di bestemmiare. Cosa che la rivista parigina fa costantemente contro i simboli ebraici, cristiani, islamici. Penso infatti che l’essere umano sia tempo e linguaggio, che Homo sapiens sia un animale simbolico e che dunque la libertà di esprimere ciò che pensa –qualunque cosa pensi– sia una funzione intrinseca al suo essere. Spinoza ha argomentato con grande chiarezza che agli individui si può proibire di parlare ma non di pensare (o almeno per fortuna non ancora) e che dunque il risultato di ogni censura è l’ipocrisia collettiva. Secoli di storia del potere, degli Stati moderni, delle Inquisizioni lo dimostrano. E quindi si debbono eventualmente perseguire le azioni e mai le parole in modo che le controversie dottrinali non si trasformino in scatenata violenza: «& quod ad seditiones attinet, quæ specie religionis concitantur, eæ profecto inde tantum oriuntur, quod leges de rebus speculativis conduntur, & quod opiniones tanquam scelera pro crimine habentur, & damnantur; quarum defensores et asseclæ non publicæe saluti, sed odio ac sævitiæ adversariorum tantum immolantur. Quod si ex jure imperii non nisi facta arguerentur, & dicta impune essent, nulla juris specie similes seditiones ornari possent, nec controversiæ in seditiones verterentur» (Tractatus theologico-politicus, Præfatio, § 7).
Pertanto io credo che la libertà di espressione non debba avere alcun limite, poiché appena si cominciano a porre dei confini, rischia di essere prima o poi cancellata. Contro ogni atteggiamento autoritario travestito da garanzia collettiva, penso che tale libertà debba essere garantita a qualunque idea, anche a quella che -secondo i criteri di una determinata società- appare la più ‘aberrante’: che sia l’eliocentrismo per la comunità scientifica antica, il cristianesimo per i politeisti, il politeismo per i cristiani, l’ateismo per il medioevo (e oltre), la blasfemia per le società musulmane, il nazionalsocialismo per le società democratiche, lo stalinismo per la società nordamericana, il fondamentalismo islamico e il razzismo per le società politicamente corrette.
Chi si dovesse sentire personalmente insultato da qualcuno, può ricorrere ai tribunali imputando di diffamazione chi lo ha attaccato. Ma chiedere che i tribunali condannino ciò che viene detto o scritto sui princîpi che per l’uno o l’altro sono indubitabili, fondamentali, venerabili, oppure che -peggio- delle leggi proibiscano preventivamente la formulazione di idee, concetti e anche pregiudizi significa che si è falsamente libertari, significa che si vuole la libertà di parola per le parole con le quali concordiamo. Rosa Luxemburg ha ben detto che «Freiheit ist immer nur Freiheit des anders Denkenden [la libertà è sempre solo la libertà di chi la pensa diversamente]» (Zur russischen Revolution, IV).
La libertà di espressione non si deve fermare davanti a nessun principio, nessun dogma politico-culturale, nessun libro ‘rivelato’. Se sembrava ovvio che nessuno dovesse venir inquisito o ucciso per le sue bestemmie, ora ci accorgiamo di avere ancora bisogno dell’illuminismo e della sua dimensione radicale, eversiva dell’ordine della parole.
Attenderei inutilmente la solidarietà del Foglio o della Lega Nord con chi dovesse disegnare la Madonna come una prostituta. E temo che attenderei altrettanto vanamente la solidarietà dei ‘democratici’ (per autodefinizione) nei confronti dei negazionisti dello sterminio ebraico. E infatti ora molti esponenti della destra cominciano a capire che Charlie Hebdo bestemmia pure la trinità -e prendono quindi le distanze-, molti esponenti della sinistra cominciano a capire che Charlie Hebdo è un po’ razzista -e prendono quindi le distanze. E nell’orgia dello ‘scontro di civiltà’ il potere si va appropriando per i propri scopi dell’azione  di un gruppo di fanatici «sottomessi» al Profeta: capitali militarizzate, richiesta di leggi speciali, moltiplicazione dei controlli, estendersi delle censure. Al di là della retorica spettacolare del Je sui Charlie il massacro contro Charlie Hebdo rischia di trasformarsi in un’ulteriore occasione per «sorvegliare e punire».

Scheherazade, Tell me a Story

di Yousry Nasrallah
(Ehky ya Schahrazad)
Egitto, 2009
Con: Mona Zakki, Mahmoud Hemeda, Hassan El Raddad, Sawsan Badr

tell me a story

Hebba è una giovane presentatrice televisiva di successo che attacca se necessario il potere. Suo marito Karim però scrive sul giornale del governo e se lei non cambia argomenti e stile lui non potrà far carriera. Per accontentarlo, Hebba decide di passare dal pubblico al privato e di farsi raccontare delle storie da donne che hanno vissuto delle particolari esperienze di vita: una bella signora che non si è mai sposata ed è finita in una clinica psichiatrica, una assassina per onore, l’erede di una grande fortuna che subisce una raffinata truffa…E tuttavia in ciascuna di tali storie ritornano l’ingiustizia, la miseria, la corruzione del governo. Sarà la stessa Hebba protagonista e vittima dell’ultimo racconto.

Tre storie dentro un unico contenitore a narrare l’Egitto contemporaneo, la sua vita quotidiana, le sue passioni. I rapporti tra la stampa e il potere somigliano in modo impressionante a quelli in atto nell’Italia berlusconiana. È questo che soprattutto colpisce: la verità del contesto, non l’esotismo della narrazione.

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