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Una metafisica materialistica

Sul realismo
in «L’invenzione della realtà.
Scienza, mito e immaginario nel dialogo tra psiche e mondo oggettivo. Una prospettiva filosofica»
a cura di Emanuele Coco
Edizioni ETS, Pisa 2022
pagine 125-135

  • Indice del saggio
    1 Qualcosa è
    2 Qualcosa è: metafisica
    3 Qualcosa è: realtà
    4 Qualcosa è: il nulla

In questo saggio ho cercato di sintetizzare in poche pagine uno dei fondamenti del mio tentativo di pensiero: una metafisica materialistica per la quale il mondo esiste e accade oltre il soggetto, oltre la specie, al di là di questa catena di tracotanza che vorrebbe legare l’universo alla Terra abitata dagli umani e che invece lega gli umani ai confini nei quali abitano, ai limiti di ciò che sono, alla materiatempo.
La materia e il tempo sono e solo per questo possono poi essere, anche se in modi imperfetti, conosciuti. Compito di una filosofia in rigoroso dialogo con le scienze fisiche ma anche da esse autonoma nella sua identità teoretica è riconoscere e difendere l’immanentismo insito in questo primato dell’ontologia su qualunque forma di gnoseologia.
Gli enti permangono trasformandosi incessantemente – e questo è la loro identità – e mutano permanendo ciò che sono – e questo è la loro differenza. Necessario è l’essere perché inevitabile è il suo divenire, impensabile la stasi, inconcepibile per le nostre menti una morta eternità. Necessaria è la metafisica in quanto scienza di tutto questo. Una scienza razionale, totalistica e immanentistica.
Domande metafisiche sono quelle che riguardano:
– lo statuto di ciò che esiste;
– il legame tra la parte e il tutto;
– il vincolo tra la materia di cui gli enti sono composti e la loro forma;
– la connessione tra il loro essere adesso, l’essere stato e l’essere nel futuro;
– la relazione tra i confini che delimitano un ente e ciò che lo circonda;
– il nesso tra un ente particolare e l’universale al quale può essere attribuito;
– il concatenamento tra gli oggetti e gli eventi, tra gli eventi e i processi, tra gli eventi e i fatti; la corrispondenza tra le strutture spaziali e le dinamiche temporali.
Un atteggiamento metafisico implica anche l’andare oltre la dualità realismo / trascendentalismo. Il realismo si illude di poter pensare il mondo senza transitare dalla complessità del corpomente che ne elabora i significati. Il trascendentalismo si illude di poter rendere conto dei modi e dei limiti della conoscenza senza ammettere che essa inizia sempre dalla materia che c’è e rimane immersa nella prassi esistenziale ed ermeneutica in cui la vita procede e si raggruma. L’essere non dipende da alcuna coscienza, la quale consiste in quella parte della materia che è diventata capace di autocomprendersi.
La metafisica è dunque un sapere perenne. Perenne, ovviamente, nei limiti della presenza di parti della materia che sulla materia riflettono. Là dove queste strutture mentali non esistono, e cioè praticamente ovunque nell’universo conosciuto, la metafisica rimane non come pensiero della materia su se stessa ma come la struttura stessa dell’essere, vale a dire l’essere e il divenire delle galassie, il tempo cosmico.

Filosofia della scienza

Epistemologia e filosofia della scienza
Recensione a: John Losee, Filosofia della scienza. Un’introduzione
(A Historical Introduction to the Philosophy of Science, Oxford University Press 2001)
Traduzione di Piero Budinich
il Saggiatore, 2016
Pagine 410
in Vita pensata, n. 25, luglio 2021, pagine 94-96

Ciò che chiamiamo scienze -e la scienza in generale- è una delle massime imprese alle quali la specie umana possa giungere e sia giunta. Scienza è infatti una riflessione costante, rigorosa e asintotica sugli enti che si trovano nel mondo (ontologia), sul modo nel quale essi possono essere conosciuti (gnoseologia), sulle condizioni, possibilità e limiti del rapporto tra gli enti che ci sono e il modo nel quale vengono appresi (epistemologia). ἐπιστήμη vuol dire in greco una conoscenza oggettiva, universale e condivisa; diversa dunque rispetto alla semplice δόξα, intesa come l’idea che ciascuno si fa del mondo sulla base della propria individuale percezione di esso.
Al di là delle loro pretese più o meno dogmatiche, il fecondo lavoro delle scienze è inseparabile dal più vasto orizzonte delle culture umane nelle quali le scienze sorgono, operano, si pongono obiettivi, li raggiungono, riconoscono i loro limiti, mutano.

Internet / Postumano

From Internet to Posthuman
(liberamente leggibile in pdf)
in Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia
Anno 6 – Numero 2/2015
pp. 305-310

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Abstract

La natura sociale e interattiva dell’essere umano ha generato strutture politiche, etiche, tecnologiche assai diverse tra di loro. Internet è una di esse. La comprensione della funzione, delle potenzialità e dei rischi del World Wide Web ha bisogno certamente di paradigmi sociologici, psicologici e cognitivi ma ha bisogno anche e soprattutto di uno sguardo teoretico radicale su quanto di umano e postumano abiti e si muova nella Rete e nei suoi dispositivi.

Essere è tempo

Past, Present, and Future
A philosophical essay about Time
di Irwin Chester Lieb
University of Illinois Press
Urbana and Chicago 1991
Pagine 260

We are temporal, through and through (p. 40)

Past-Present-and-Future-Lieb-IrwinComprendere il tempo implica la conoscenza della mole di informazioni, di dati, di certezze e di interrogativi che le scienze della natura offrono, coniugandole tra loro mediante un linguaggio e una metodologia che del tempo intendono capire l’essere, la verità, l’identità/differenza.
Il Saggio filosofico sul tempo di Irwin C. Lieb è un esempio assai chiaro di questa metodologia. Il suo titolo è tanto semplice quanto impegnativo: Past, Present, and Future. La tesi fondamentale di Lieb è che passato, presente e futuro esistano. Che esistano davvero, che possiedano una densità ontologica e non soltanto una modalità psichica o epistemologica. Il tempo sarebbe quindi una realtà piena, totale e pervasiva. Il tempo infatti «not derived from anything else and its reality is most evident in the continuous passing in everything that moves, changes, lasts, or even remains the same» (p. 4); c’è «something continuous, steady, and indipendent of other motions, and this can be called time self», questo qualcosa è insieme «in the things themselves and in their relations to one another» (6).
Ciò che per lo più impedisce di intendere tale realtà piena, sostanziale e relazionale del tempo è il riduzionismo ontologico che ritiene esserci una e una sola forma di esistenza reale, identificata con la massa/volume/peso. Contro tale monoteismo metodologico dobbiamo capire che «the distinction we need is not between what is and not real but between kinds of reality. Everything is real, but things are real in different ways» (3). La natura scaturisce infatti da una continua produzione d’essere, da una costante e indefinita generazione del nuovo. Tale potenza creativa produce i due elementi fondamentali dei quali l’esseremondo è composto: Time e Individuals. Entrambe le parole non si riferiscono a degli enti ma a dei processi, i quali rendono possibile l’esistenza degli enti e ne garantiscono la comprensibilità.

Individuals è il termine chiave di questa ontologia poiché con esso Lieb intende qualcosa che esiste nel passato, nel presente e nel futuro. Qualcosa dunque che non c’è soltanto spazialmente ma che possiede perduranza (per usare la definizione/distinzione di D.K.Lewis): «Individuals are conceived to extend from the present into the future and the past, and each state of them is different from the others. […] Individuals are always changing, through and through. Their fundamental change is to reconstitute themselves. […] Not being confined wholly to a moment, individuals are spread through time. Time and individuals are inseparable» (11). Come si vede, individuals non sono degli enti ma della attività, delle strutture ontologiche che esistono perché accadono. Incessantemente accadono. Questo costante accadere è la struttura ontologica di base. È il fondamento. Il mutamento consiste nel diventare passato di qualcosa che continua a esistere anche nel presente, proprio perché «the being of an individual is not wholly present» (191).
Il presente è quindi il tempo degli enti singoli, degli enti astrattamente intesi perché privi di relazione.  Senza questa modalità del tempo non potrebbero naturalmente esserci le altre -«the present is nodal for the other parts of time» (12)- ma non bisogna da ciò concludere che le altre siano soltanto un ricordo, un’attesa. È esattamente tale errore categoriale e ontologico a produrre molti equivoci sulla temporalità, a partire da quelli -fondamentali- della estensione del tempo e dunque sostanzialmente della sua spazializzazione. Il presente non è un punto nel tempo poiché il presente da solo è un’astrazione. Ma anche il passato da solo è un’astrazione, così come il futuro. Il tempo è unitario, sono le azioni nel tempo a poter essere presenti, passate e future. Se l’accadere è possibile è perché il presente, il passato e il futuro sono tutte strutture e modalità reali della natura. In modi diversi, certo, ma tutti reali. Ciò che rende possibile l’identità del tempo e la differenza dei suoi modi è l’intreccio indissolubile di essere e divenire.

There are two fundamental realities and they are together. […] There are beings and becoming; realities that are together are also distinct. There should therefore be a twining of the traditions: because individuals and time are each real and are inseparably together, being and becoming are equally fundamental and, by being so, they ensure that the change of the world. (81)

Dato che le azioni e gli eventi non esistono soltanto come presente e nel presente, la struttura del mondo è assai più complessa, più creativa e insieme più ordinata rispetto a come il monoteismo temporale la immagina. Gli individuals sono eventi singoli e separati nel presente, là dove sono anche parziali. Essi diventano completi nel passato mentre le parti del loro essere non ancora compiute costituiscono il futuro.
Ciò che chiamiamo spazio è questo presente che estrapola dall’intero dell’essere una sua parte e la rende visibile qui e ora. Passato e futuro sono dunque modalità diverse rispetto al presente anche perché è soltanto nel presente che gli enti/eventi (individuals) sono discreti, diventano singoli. Nel passato e nel futuro gli stessi enti/eventi sono coniugati con il tutto -«in the past and future parts of them individuals are merged together»- e costituiscono l’intero. (31) Gli individuals diventano passato mentre stanno diventando presente e anche questo rende il passato del tutto reale. Non soltanto, quindi, perché ciò che accade ora è conseguenza e séguito di ciò che è accaduto prima ma anche e soprattutto per altre due ragioni. La prima è che «what is in the past is like a possibility that that has been affected by being actualized» (115), a conferma della struttura dinamica dell’essere; la seconda è che «the past has mighty effects in the present, not by acting on it -the past has no agency- but in the way in which we shape and form ourselves on it» (255), a conferma della struttura mentale dell’essere.
Il futuro è per Lieb altrettanto reale per due ragioni. La prima riguarda l’apertura degli enti/eventi alle loro stesse possibilità; se il futuro non fosse reale, infatti, non potremmo comprendere che cosa gli enti sono, come possono agire, quali sono le loro possibilità. La seconda ragione concerne la comprensibilità del cambiamento: è evidente che senza la realtà del futuro non potremmo descrivere nessun movimento e mutamento.
L’esistenza in sé di passato, presente e futuro è mostrata per Lieb anche da ragioni assiologiche oltre che da quelle ontologiche ed epistemologiche. Gli eventi possiedono nel futuro un valore estetico, essendo costituiti anche dall’immaginazione come possibilità; nel presente un valore etico, dato che comportarsi significa sempre valutare alternative e scegliere quelle che vengono ritenute buone, le migliori; nel futuro un valore storico, frutto della sedimentazione dell’accaduto nei parametri del tempo in cui è accaduto e in quelli del tempo in cui viene valutato, in modo da trovare e dare loro un significato razionale.
Da ogni punto di vista, dunque, e in ogni struttura del reale l’essere è tempo, «whatever is cannot but be in time» (183) e «our final reality is not something apart from time but is instead the whole of the past, the present, and the future and all the value there is and can be in them» (251).

Partito da una serie numerosa e serrata di interrogativi essenziali -ad esempio: «Why, how, when, and in what ways do they change, and is their having to change connected with each moment’s having to be new?» (9-10)-, l’analisi di Lieb si pone in modo franco e coraggioso contro le risposte di moltissimi filosofi. Non soltanto di coloro che hanno negato esplicitamente il tempo; non soltanto contro la lunga tradizione parmenidea che intesse il pensiero occidentale; non soltanto contro le prospettive riduzionistiche -antiche o contemporanee che siano- volte a confinare la temporalità dell’essere alla misurabilità dei tempi della fisica; ma anche contro numerosi fra coloro che vengono di solito ritenuti sostenitori della realtà del tempo, i quali pensano il tempo come flusso in cui soltanto il presente è davvero reale e il resto è realtà degradata, derivata, seconda.
A tali prospettive Past, Present, and Future oppone una peculiare forma di platonismo e di spinozismo dinamico, per il quale «the passage of time and the activity of individuals are strands of process inside the unchanging totality of the real» (12). Il mondo delle forme e dei paradigmi non sta, come Platone ritiene, al di là del tempo e separato dal tempo. È piuttosto l’accadere senza posa e ordinato del mondo a produrre le forme, i paradigmi e il loro intreccio. Infatti, «the most general idea in this essay is that what is real is an unchanging totality; there can be no additions to it, and nothing can be taken from it. This does not mean, however, that things do not change and that there are no novelties. It means that all processes and the passage of time itself take place inside the otherwise unchanging totality» (257).

In tale profonda e feconda compresenza di essere e divenire traluce la struttura metafisica e gnoseologica che sola permette di comprendere ciò che è perché di ciò che è costituisce la forma naturale e il riflesso mentale: la dinamica di identità e differenza. Se la capacità che il corpomente umano e animale ha di riconoscere regolarità e identità nel mondo «depends on our ability to remember what has occurred and to recognize important kinds of similarities» (216), è perché «the natures of individuals also change; they are modified but remain the same. These natures are the general ways in which individuals change and act» (193). Essere, verità, identità/differenza, tempo vengono così coniugati nel profondo delle loro relazioni costituenti la natura. È anche questo che fa della metafisica la più radicale e profonda conoscenza che del tempo sia possibile nel tempo maturare.

Filosofia e verità

Edmund Husserl
RICERCHE LOGICHE I

(Logische Untersuchungen I, 1900)
A cura di Giovanni Piana
Net, Milano 2005 (Prima edizione: Il Saggiatore 1968)
Pagine XLVII-494

Husserl definisce le sue Ricerche logiche un punto di inizio e non certo di arrivo, riferendosi in particolare alla VI, la più importante dal punto di vista fenomenologico. In questo primo volume compaiono gli ampi Prolegomeni a una logica pura e le Ricerche I e II. In esse si consuma un articolato distacco dallo psicologismo della prima opera di Husserl –Filosofia dell’aritmetica– mediante un’argomentata difesa della prospettiva logicistica.

A dire il vero, le tendenze sono soltanto due. L’una ritiene che la logica sia una disciplina teoretica, indipendente dalla psicologia e al tempo stesso una disciplina formale dimostrativa. Per l’altra, essa rappresenta una tecnologia, dipendente dalla psicologia, e con ciò si esclude naturalmente che essa possa avere il carattere di una disciplina formale e dimostrativa nel senso in cui, per la tendenza opposta, lo è in modo tipico l’aritmetica. (Prolegomeni, § 3, p. 27).

Le condizioni psicologiche della conoscenza di una legge non vanno infatti confuse con le sue premesse logiche. Una simile confusione renderebbe di per sé impossibile la distinzione tra un pensare corretto e un pensare erroneo, in quanto anche i modi errati del giudizio procedono senz’altro dalle condizioni psicologiche del pensare. Il cuore del discorso consiste quindi in una teoria del significato che si costituisca nel modo più formale possibile e per la quale la verità mostri di essere indipendente dalla mente -qualsiasi mente- che la pensa.
È questo il cosiddetto realismo delle Ricerche logiche, il quale non ha nulla a che fare con le forme ingenue di realismo ma, invece, con la gnoseologia platonica. Husserl cerca infatti una fondazione radicale, universale e certa della scienza. Cerca un’evidenza apodittica per la quale spiegare non significhi pervenire al generale attraverso il particolare, alla legge ideale mediante le intuizioni empiriche ma, al contrario, «rendere comprensibile il singolare a partire dalla legge generale, e quest’ultima a partire dalla legge fondamentale» (Introduzione alle Ricerche, § 7, p. 285).
La fondazione si radica nell’evidenza, senza la quale non c’è sapere. Un’evidenza categoriale e non empirica. Dei tre nessi che coniugano conoscenza e realtà -il nesso psicologico dei vissuti di coscienza, il nesso oggettuale delle cose teoreticamente conosciute e il nesso logico delle idee teoretiche che costituiscono la conoscenza- soltanto il terzo fonda per Husserl il luogo della verità, la quale è appunto indipendente da qualunque forma -umana, animale, divina, artificiale- di vita psichica e persino di realtà effettuale e si costituisce come puro formalismo delle regole e dei significati. La legge di gravitazione in quanto legge continuerebbe a valere anche se non ci fossero più o non ci fossero ancora masse gravitazionali. A venir meno sarebbe la sua applicazione fattuale e non il suo valore di verità.
Ogni scienza -e la scienza in quanto tale- «è una complessione ideale di significati» e non l’atto del significare; è -nei termini di Fregeder Gedanke e non das Denken: «Ciò che è essenziale e decisivo nella scienza non è il significare ma il significato, non la rappresentazione e il giudizio ma il concetto e la proposizione» (Prima ricerca, § 29, pp. 362-363). La scienza è scienza delle specie e non degli enti singoli, è scienza dei significati universali e non della «formazione fonetica pronunciata hic et nunc, questo suono fuggevole che non ritorna mai identico» (Prima ricerca, § 11, p. 309). Nelle formazioni linguistiche universali e nelle idee generali si realizzano la stessa specie e il medesimo significato che poi si differenziano nei momenti individuali e nei diversi casi empirici. Ancora una volta la realtà e la sua conoscenza sono sistole e diastole dell’identità e della differenza.

Le singolarità molteplici che formano il significato idealmente unico sono naturalmente i momenti d’atto corrispondenti del significare, le intenzioni significanti. Il significato si trova, rispetto agli atti singoli del significare (la rappresentazione logica rispetto agli atti rappresentazionali, il giudizio logico rispetto agli atti di giudizio, l’inferenza logica rispetto agli atti inferenziali) in una relazione simile a quella che il «rosso» in specie ha verso queste strisce di carta, che «hanno» tutte lo stesso rosso. […]
I significati formano, potremmo anche dire, una classe di concetti nel senso di «oggetti generali» essi non sono perciò oggetti che, se non si trovano in qualche luogo nel «mondo», si troveranno tuttavia in un tópos ourànios o nello spirito divino; una simile ipostatizzazione metafisica è infatti assurda. […]
In realtà: dal punto di vista logico i sette corpi regolari sono sette oggetti, così come i sette saggi; il teorema del parallellogramma delle forze è un oggetto così come la città di Parigi.
(Prima ricerca, § 31, pp. 368-369)

Una pagina, questa, assai vicina alla Teoria dell’oggetto di Meinong e nella quale il rifiuto del realismo metafisico di Platone si coniuga con la piena accettazione e condivisione del suo realismo concettualista. Il fondamento platonico dell’intero pensiero husserliano è del tutto evidente non solo nelle Ideen ma anche in queste Logische Untersuchungen. In esse la conoscenza delle leggi generali precede sempre quella dei fatti singolari; alla legge naturale come regola empirica viene contrapposta la legge ideale come legalità fondata sui concetti; viene posta una netta distanza tra le unità ideali -identiche ovunque- e i singoli segni linguistici nei quali esse si esprimono e che sono culturalmente differenti nello spazio e nel tempo.
Negli atti di riempimento dei significati è sempre necessario distinguere rispetto all’oggetto che viene percepito il contenuto semantico della percezione, poiché soltanto quest’ultimo è passibile di giudizio ed espressione linguistica. I numeri sono per Husserl indipendenti dall’atto empirico del contare, essi sono indipendenti persino dal fatto che siano espressi o pensati. Il logicismo antipsicologistico è quindi sotto il segno della teoresi platonica: «Nessuna arte interpretativa del mondo è in grado di eliminare gli oggetti ideali dal nostro linguaggio e dal nostro pensiero» (Seconda ricerca, § 8, p. 397).
Per lo Husserl delle Ricerche logiche la verità è del tutto ideale, non empirica e atemporale. A essere nel tempo e come tempo sono i fatti, non le leggi e i significati concettuali dei quali essi sono espressione. Leggi e significati sono fuori dal tempo, senza origine e senza fine. L’affermazione che segue è a questo proposito chiarissima:

Ciò che è vero è assolutamente vero, è vero «in sé»; la verità è unica ed identica, sia che la colgano nel giudizio uomini o mostri, angeli o dei. Le leggi logiche parlano della verità in questa unità ideale, di fronte alla molteplicità reale di razze, individui, vissuti, e noi tutti parliamo della verità in questa unità ideale, a meno che non siamo confusi dall’errore relativistico.
(Prolegomeni, § 36, pp. 132-133)

È da qui, è da tale concezione semantico-veritativa e logicistica del mondo, che discende il costante invito di Husserl a «tornare alle “cose stesse”» (Introduzione alle Ricerche, § 2, p. 271). Se le singole scienze e i diversi saperi hanno tutti bisogno della ricerca filosofica per raggiungere gli obiettivi di senso e universali che si propongono; se la filosofia scientifica rappresenta il culmine del sapere e della vita degli umani -in quanto dalle sue scoperte «è assente qualsiasi aspetto clamoroso; manca qui il riferimento utilitario, immediatamente percepibile, alla vita pratica o alla promozione di bisogni spirituali più elevati» (Introduzione alle Ricerche, § 3, p. 277)- è perché «la sistematicità propria della scienza, naturalmente della scienza vera ed autentica, non è una nostra invenzione, ma risiede nelle cose, e noi non facciamo altro che scoprirla e portarla alla luce» (Prolegomeni, § 6, p. 34).
La filosofia così intesa è gratuita come la matematica, indispensabile come essa, vera al suo stesso modo.

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