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Universi

Lee Smolin insegna all’Università di Toronto ed è uno dei fisici teorici più importanti al mondo. In La rinascita del tempo. Dalla crisi della fisica al futuro dell’universo (Einaudi 2014) scrive che «non solo il tempo è reale, ma nulla di ciò che sappiamo e di cui facciamo esperienza ci avvicina al cuore della natura più della realtà del tempo. […] Il tempo e il suo passaggio sono fondamentali e reali e le speranze e le credenze relative a verità e regni atemporali non sono altro che miti. Accettare il tempo significa essere convinti che la realtà consiste soltanto di ciò che è reale in ciascun momento del tempo» (pp. VIII-X).
La realtà del tempo sta a fondamento anche di quanto ho scritto sul numero 179 (novembre 2017) del mensile Nocturno. Insieme a un testo teorico sul tempo nella realtà e nella Science fiction, la rivista ha pubblicato tre sintetiche analisi -dialoganti con Mario Gazzola- dedicate ai film Interstellar (Christopher Nolan, 2014), Arrival (Denis Villeneuve, 2016), Lucy (Luc Besson, 2014).
Si trovano alle pagine 58, 71 e 76; metto qui a disposizione il testo in pdf.

[L’immagine raffigura la Nube di Rho Ophiuchi fotografata da Artem Mironov]

Logica del tempo

Aa. Vv.
La logica del tempo
A cura di Claudio Pizzi
Boringhieri, 1974
Pagine 410

Per molto tempo, per secoli, i logici hanno ritenuto che ciò che è vero oggi poteva non esserlo ieri o potrà non esserlo domani, e che dunque le proposizioni siano «entità suscettibili di cambiare valore di verità a seconda delle circostanze» (Pizzi, p. 14). E questo anche perché lo studio dei concetti e delle proposizioni temporali sta al cuore stesso della logica modale, quella che si occupa di esplicitare le regole che coniugano e distinguono tra di loro la possibilità, la necessità, la contingenza. Logica temporale e logica modale sono tra di loro fecondamente legate.
Anche Kant ritiene che il tempo sia una via d’uscita dalla contraddizione -logica e ontologica- che inerisce al concetto stesso di cambiamento, vale a dire l’appartenenza a un medesimo oggetto di elementi tra di loro incompatibili. Una certa quantità di H2O può essere liquida e insieme solida se lo è in istanti diversi; un umano può essere inesistente, vivo e morto in periodi differenti; un’automobile può essere immobile e lanciata ad alta velocità in due o più intervalli di tempo. E quindi «nur in der Zeit können beide kontradiktorisch entegegensetze Bestimmungen in einem Dinge, nämlich nach einander, anzutreffen sein» [‘Solo nel tempo due determinazioni tra di loro opposte e contraddittorie possono affermarsi di un medesimo oggetto, e precisamente l’una dopo l’altra’. Critica della ragion pura, «Estetica trascendentale», § 5]. Nach einander, l’una dopo l’altra. Tutto questo sembra evidente all’esperienza e logicamente ben fondato. E tuttavia a partire dal Cinquecento, e in significativo parallelismo con l’affermarsi del metodo scientifico galileiano, i logici hanno respinto tale evidenza e hanno cominciato a descrivere un mondo senza tempo in un linguaggio atemporale. È sintomatico che Quine -insieme a Smart uno dei più estremisti tra i detemporizzatori del Novecento- abbia suggerito «che la fisica della relatività rende inevitabile la detemporizzazione dei linguaggi formalizzati» (Massey, 395). Dalla relatività galileiana a quella einsteiniana, la negazione del tempo è diventata ed è stata un elemento centrale delle scienze in età moderna.

pizzi-logica-del-tempoE però da alcuni decenni la prospettiva è mutata. Il primo decisivo contributo alla reintroduzione della variabile temporale anche in logica è venuto da Arthur N. Prior (1914-1969). Il suo Time and Modality (1957) è «il libro in cui per la prima volta i tempi verbali sono ‘presi in seria considerazione’ da un punto di vista logico» (Pizzi, 13). Prior e Richard M. Gale criticano le varie modalità mediante le quali il tempo viene negato spazializzandolo ed evidenziano invece la necessità di distinguere in logica la dimensione temporale da quella spaziale. I due filosofi elaborano quindi una tense logic, una logica dei tempi verbali capace di enunciare il mutamento e le leggi formali che lo guidano.
Viene in tal modo riproposta la prospettiva logica aristotelica che nella filosofia greca e medioevale dà per ovvia la variabilità nel tempo del valore veritativo degli enunciati. Prospettiva contro la quale dalla Logica di Port-Royal in avanti si è ritenuto di dover utilizzare un’unica forma verbale, vale a dire la copula ‘è’ che fa del presente il luogo esclusivo del significato delle proposizioni «in quanto corrispettivo dell’operatore insiemistico di appartenenza» (Pizzi, 11). Le strutture temporali che dovrebbero essere declinate nel verbo vengono da questa logica attribuite al complemento oggetto mediante una serie molto articolata, spesso pedante e anche controintuitiva, di parafrasi. Se «tra i logici antichi e medievali si dava per scontata la tesi secondo cui a) le distinzioni temporali dei verbi sono un argomento pertinente alla riflessione logica, e b) ciò che è vero in un dato momento è spesso falso in un altro e viceversa, […] dopo il Rinascimento le affermazioni a) e b) -prima la a) e poi la b)- sono state sempre più diffusamente oggetto di contestazione. […] Per esempio nella Logica di Port-Royal […] si attacca il punto di vista aristotelico secondo il quale è essenziale per un verbo avere qualche riferimento al tempo. […] Solo il semplice ‘è’, e questo neppure in tutti i casi, è un puro verbo, stando a tale criterio» (Prior, 100). Dire ad esempio che ‘quest’uomo era vivo’ equivale a dire che ‘quest’uomo è un ex vivente’. Oppure: ‘x inizierà la lettura di un nuovo libro’ significa ‘ è colui che si sta accingendo alla lettura di un nuovo libro’. In questo modo è possibile volgere al presente qualsiasi tipo di enunciato temporale trasformando ogni ‘p’ in un ‘è vero che p’.
In realtà un simile modo di esprimersi è per Prior  flatus vocis, un modo di parlare che non rappresenta gli stati del mondo. E ha avuto molto coraggio a rilevarlo, poiché si è trattato di proporre un nuovo paradigma nel senso kuhniano, in quanto l’atemporalità era diventata un vero e proprio dogma logico-scientifico, nonostante la sua evidente distanza dalla realtà degli enti, degli eventi, dei processi.

La logica formale moderna ha pensato un mondo statico, nel quale ogni proposizione sia per sempre vera o per sempre falsa. Una prospettiva evidentemente contraria alla fenomenologia del mondo e alle sue trasformazioni. Ma «dopo che la teoria logica ha esteso il suo ambito oltre la struttura di un mondo statico per abbracciare un mondo di azione e cambiamento, anche il concetto di tempo ha acquisito un interesse nuovo e cruciale per il logico» (von Wright, 259). Tempo e cambiamento sono dunque legati tra di loro in modo ricco e complesso.
Di fronte alla plausibilità di tutto questo, la detemporalizzazione logica e l’atemporalità ontologica mostrano di potersi sostenere su un fondamento soprattutto teologico, come aveva intuito Peirce, secondo  il quale «una logica puramente assertorica è la logica modale di una creatura onnisciente, per la quale il solo stato di cose ‘possibile’ è quello attuale» (Prior, 110-111). Fisica e logica della modernità costituiscono dunque un tentativo di negare il tempo ponendosi dal punto di vista di un dio. Un punto di vista che non può essere filosofico. La filosofia infatti -conclude in modo del tutto sensato Prior- si fonda sul fatto «che le cose di cui facciamo le nostre predicazioni, ‘i valori delle nostre variabili vincolate’, comprendono cose che non sono sempre esistite e/o non esisteranno sempre» (391).
Gli anni che ci separano da queste affermazioni hanno dato ragione alle intuizioni temporizzanti di Prior e degli altri logici che ne hanno accettato la prospettiva.

Aión

 

aionAión. Teoria generale del tempo
Villaggio Maori Edizioni
Catania 2016
Collana Ellissi, 7
Pagine 132
€ 14,00

Sommario
Teoresi
Filosofia
Fisica
Antropologia
Estetica
Metafisica

 

«Nel linguaggio, specialmente in quello artistico e poetico ma non soltanto in esso, l’umano dà ordine al mondo come successione di eventi. In questa unità estetica ed estatica del tempo si compie l’esistenza umana, il suo senso, il senso del morire. Che cos’è dunque il tempo? Il tempo è la convergenza che accade d’improvviso ma scaturendo dall’eterno di identità e differenza nell’istante e nel sempre, nel Kαιρός e nell’ Aἰών»

 

Dio

aristotele_2La filosofia è per Aristotele conoscenza delle cause, degli elementi, dei principi primi del reale. Il mondo, infatti, è assai complesso e i concetti che cercano di darne conto non sono mai univoci. Anche per questo nella Fisica (trad. di A. Russo e O. Longo, Laterza 1983) lo Stagirita afferma che a dirsi «in molti modi» non è soltanto l’essere (A, 185 a) ma anche l’uno (A, 185 b), il divenire (A, 190 a), le cause (B, 195 a). Agli «antichi» che, «spinti dalla loro inesperienza» (A, 191 a), cercarono un principio o una modalità unica del divenire e dell’essere, Aristotele oppone delle indicazioni metodologiche molto precise. In generale, la sensazione è in grado di apprendere il particolare, il “pensiero” -invece- l’universale (A, 189 a); coniugando dunque sensazione e pensiero Aristotele cerca di costruire una teoria completa e plausibile del cielo, del movimento e del tempo.
«Che la terra sia immobile, valga per ammesso» (De caelo, Ivi, B, 289 b); qui l’empirismo mostra tutta la propria efficacia come anche i suoi limiti. Il constatare con i sensi l’immobilità e la centralità della Terra non rende per questo meno falsa tale concezione; avevano maggior ragione, invece, i Pitagorici con il loro fare “mistico e matematico”, poiché ritenevano «che al centro è posto il fuoco, mentre la terra è uno degli astri, e si muove in circolo attorno al centro, producendo in tal modo la notte e il giorno» (De caelo, B, 293 a).
Tra le due ipotesi alternative della sfericità o piattezza del nostro pianeta, Aristotele opta per la prima: la Terra è «una sfera non molto grande, perché altrimenti non renderebbe così rapidamente visibile il mutamento degli astri, quando noi ci spostiamo di così poco» (De caelo, B, 298 a). Incorruttibile, ingenerato, eterno, il cielo è mosso di moto uniforme (De caelo, B, 289 a), formando con la Terra tutta la materia; la quale è soggetta a trasformazione sul nostro pianeta e che invece nel resto del cosmo è immodificabile perché perfetta. Fuori del cielo non si dà luogo, né vuoto, né tempo.
L’eternità del movimento è gemella dell’eternità del tempo. Una tesi, questa, che separa con chiarezza la prospettiva aristotelica da quella cristiana, in particolare agostiniana, per la quale il divino è fuori dal tempo. Per Aristotele, invece, il divino è il tempo stesso: «Ma se sono impossibili l’esistenza e il pensiero del tempo senza l’istante, e se l’istante è una certa medietà e ha simultaneamente principio e fine -principio del futuro, fine del passato-, è necessario, allora, che ci sia sempre un tempo […] Ma se c’è un tempo, è ovviamente necessario che ci sia anche un movimento, dato che il tempo è un’affezione del movimento» (Θ, 251 b).
Tuttavia non è di solo movimento che il tempo si compone. Aristotele coniuga infatti il tempo della materia con quello della psiche. Lo Stagirita riconosce un’aporia di fondo che fa apparire il tempo come esistente e insieme inesistente poiché «una parte di esso è stata e non è più, una parte sta per essere e non è ancora. E di tali parti si compone sia il tempo nella sua infinità, sia quello che di volta in volta viene da noi assunto. E sembrerebbe impossibile che esso, componendosi di non-enti, possegga un’essenza» (Δ 218 a). Impalpabile e sfuggente, il tempo sembra anche motore della corruzione e della fine (Δ 221 b e 222b) ma soprattutto esso è presente ovunque e «in ogni cosa, sulla terra e nel mare e nel cielo» (Δ 223 a).
Nel mondo oggettivo della quantità, il tempo irrompe con la misura scandita dalla mente:

Si potrebbe, però, dubitare se il tempo esista o meno senza l’esistenza della mente. Infatti, se non si ammette l’esistenza del numerante, è anche impossibile quella del numerabile, sicché, ovviamente, neppure il numero ci sarà. Numero, infatti, è o ciò che è stato numerato o il numerabile. Ma se è vero che nella natura delle cose soltanto la mente o l’intelletto che è nella mente hanno la capacità di numerare, risulta impossibile l’esistenza del tempo senza quella della mente […]. Ma il prima e il poi esistono in un movimento, e appunto essi, in quanto sono numerabili, costituiscono il tempo. (Δ 223 a)

L’ordine fisico e la razionalità matematica della Natura trovano dunque nel tempo il loro emblema, la realtà più piena, la prova della unità di ogni ente e dimensione. Tempo e movimento, insieme, costituiscono ancora una volta l’eternità. Tale è il cosmo ordinato dei Greci: eterno come il tempo, essendo il tempo Dio.
Oltre che del movimento, il tempo è anche «numero della sfera, perché mediante questo si misurano gli altri movimenti ed il tempo medesimo» (Δ 223 b). Una circolarità che coniuga la mente e l’Universo nell’istante eterno: «Anche questo nome di αἰών si direbbe pronunciato dagli antichi quasi per divina ispirazione: si dice infatti αἰών di ciascuno l’ultimo termine che circoscrive il tempo di ogni singola vita, al di fuori del quale non c’è più nulla secondo natura. Parimenti, anche il termine perfetto di tutto il cielo, che contiene ed abbraccia la totalità del tempo e l’infinità di esso, anche questo si dice αἰών, e prende questo nome da αιει εἶναι [essere sempre], immortale e divino» (De caelo, A, 279 a).
La materia è eterna, il tempo è sempre. Materia e tempo sono Dio.

Anassimandro / Gravità quantistica

Il_manifesto_3.9.2014

 

 

Nel campo unificato del tempo e dello spazio
il manifesto
3 settembre 2014
pag. 11

Alla ricerca della struttura elementare delle cose. Una spiegazione che ruota attorno a un sistema primordiale in continuo divenire.

[Segnalo un refuso: la frase “una costante e passabile incostanza” va intesa come “una costante e inoltrepassabile incostanza”]

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