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Diversa, diffusa, molteplice

Piccolo Teatro Grassi – Milano
Un amore di Swann
di Marcel Proust
Traduzione di Giovanni Raboni
Drammaturgia di Sandro Lombardi
Con: Sandro Lombardi (Charles Swann), Elena Ghiaurov (Odette de Crécy), Iaia Forte (Madame Verdurin)
Regia di Federico Tiezzi
Sino al 19 maggio 2013

La volgarità è uno dei temi della Recherche du temps perdu.
Volgarità dei salotti, di una società che vive di snobismo, di pettegolezzi, di meschinità elevate al rango di significati. Madame Verdurin ne costituisce l’emblema. Charles Swann la descrive come un uccello le cui piume sono state bagnate nel vino caldo. Questa donna spregevole articola con i suoni appunto di un uccello il proprio odio per tutto ciò che non riesce a comprendere e che la supera.
Volgarità della seduzione. Della finzione d’amore volta soltanto al dominio sull’altro. Di dolci parole vibrate come pietre a colpire il cuore di chi le ascolta. E sottometterlo. Per poi -una volta ottenuto l’obiettivo di farsi sposare o mantenere- volgere la seduzione in insulto, tradimento, ironia. Odette de Crécy -prostituta d’alto bordo, ignorantella e fasulla- conquista in questo modo il tempo e il rango di Charles Swann.
Volgarità del desiderio. Che non si accorge di come stiano arrivando tempeste di sabbia nella vita, onde di polvere, a intasare la lucidità dei neuroni e la calma dei sentimenti. Charles Swann in verità se ne accorge, tanto da rispondere ai primi gesti seduttivi di Odette dicendole che non vuole conoscerla meglio “per non diventare infelice”. Ma cede poi alla menzogna di una donna della quale, molti anni dopo, dirà «j’ai gâché des années de ma vie, j’ai voulu mourir, j’ai eu mon plus grand amour, pour une femme qui ne me plaisait pas, qui n’était pas mon genre!» (À la recherche du temps perdu, “Du côté de chez Swann”, Gallimard 1999, p. 305).
I tre attori che danno vita a questa fenomenologia della ferocia alternano la voce del Narratore con quella dei personaggi, riuscendo in tal modo a trasmettere almeno un’idea della magnifica ricchezza del testo proustiano. Esso ci mostra che L’Altro è un pericolo, l’Altro è un concorrente, l’Altro è un fastidio, l’Altro è anche “l’enfer” (Sartre) ma questa differenza dell’Altro è così drammatica perché l’Altro è la nostra identità, l’Altro siamo noi. L’alterità è costitutiva della vita mentale. Un’alterità che nella vita amorosa diventa  identità. Il soggetto amoroso è un soggetto nichilistico in quanto vorrebbe eliminare la differenza duale a favore dell’identità unica. Ma l’altro rimane irriducibile. È altro perché non è io, è un io che non è me e che non potrà mai diventare me come io non potrò diventare lui. Se lo diventassi, lo annullerei. Se lo diventassimo, ci annulleremmo come alterità. Se infatti l’Altro fosse raggiunto, esso sarebbe negato in quanto Altro. Anche per questo, dato che la ripetizione amorosa è una ripetizione seriale (Deleuze), l’innamorato è un serial killer che opera in base ai due principi della ripetizione e della differenza.
Insignificanza, volgarità, nullità costituiscono la condizione naturale dell’Altro. È soltanto il desiderio di possedere il suo corpotempo -fatto di eventi e di memorie, assai più che il corpo fatto di organi e tessuti- a trasfigurare l’oggetto amoroso nella favolosa e asintotica meta della nostra passione. L’oggetto amoroso è dunque un segno. Un segno dell’intero al quale vogliamo pervenire, là dove la scissione tra il tempo che siamo e il tempo che è possa finalmente annullarsi nella totalità. «Di per sé lei è meno di niente, ma nel suo essere niente c’è, attiva, misteriosa e  invisibile, una corrente che lo costringe a inginocchiarsi e ad adorare una oscura e implacabile Dea, e a fare sacrificio davanti a lei. E la Dea che esige questo sacrificio e questa umiliazione, la cui unica condizione di patrocinio è la corruttibilità, e nella cui fede e adorazione è nata tutta l’umanità, è la Dea del Tempo» (Beckett, Proust, SE 2004, p. 41).
La dea del tempo innamorato è una sorta di Madonna del Desiderio. Appare con volti diversi, abita istanti diffusi, occupa luoghi molteplici. Swann la incontra sotto le specie di una cortigiana bella e feroce. È per Swann e tramite Swann che Odette assume la figura di una Dea sotto il cui incedere “si volgono i mondi”: «Tout d’un coup, sur la sable de l’allée, tardive, alentie et luxuriant comme la plus belle fleur et qui ne s’ouvrirait qu’à midi, Mme Swann apparaissait. […] Or, autant que du faîte de sa noble richesse, c’était du comble glorieux de son été mûr et si savoureux encore, que Mme Swann, majestueuse, souriant et bonne, s’avançant dans l’avenue du Bois, voyait comme Hypatie, sous la lente marche de ses pieds, rouler les mondes» (À la recherche du temps perdu, “À l’ombre des jeunes filles en fleurs”, Gallimard 1999, pp. 503 e 506).

 

Du côté de chez Swann

La strada di Swann
di Marcel Proust
(Du côté de chez Swann, 1913)
Trad. di Natalia Ginzburg
Einaudi, 1978 (1964)
Pagine LXXIX- 491

Il massiccio edificio del reale si sgretola nella luce di una prosa, di un linguaggio, di un ritmo narrativo che è aurora e insieme è l’imbrunire. Ricchezza sempre eguale e sempre nuova di paesaggi, sfumature, ombre, amori, infanzie, viaggi. L’affresco di un’aristocrazia che è tale non soltanto per il ceto. Dipinti, scritti, sonate che diventano il tessuto dei giorni. La passione di Charles Swann per Odette de Crécy come archetipo di ogni innamorarsi.

Gli esseri ci sono di consueto così indifferenti che, quando collochiamo in uno di essi simili possibilità di sofferenza e di gioia, esso ci sembra appartenere a un altro universo, si aureola di poesia, fa della nostra vita come una commovente distesa in cui sarà più o meno vicino a noi. (p. 251)
[Les êtres nous sont d’habitude si indifférents que, quand nous avons mis dans l’un d’eux de telles possibilités de souffrance et de joie pour nous, il nous semble appartenir à un autre univers, il s’entoure de poésie, il fait de notre vie comme un étendue émouvante où il sera plus ou moins rapproché de nous. (À la recherche du temps perdu, Gallimard, Paris 1999, p. 194) ]

Innamorarsi significa vivere una meraviglia e un incanto senza pari, che hanno poco a che fare con la natura reale dell’Altro. Reale? Tutto avviene nella mente e quindi tutto è in qualche modo vero. È ben poco esperto di umanità chi, come la signora di Saint-Euverte, compatisce Swann -uomo molto intelligente- per essere tanto preso da «una persona di quel genere e che non è nemmeno interessante, poiché dicono sia idiota, -soggiunse con la saggezza di chi non è innamorato, che pensa che un uomo d’ingegno non dovrebbe essere infelice se non per una persona che ne mettesse conto; all’incirca è come stupire che ci si degni di soffrire del colera per opera d’un essere così piccolo come il bacillo virgola» (p. 363) [« “Je trouve ridicule au fond qu’un homme de son intelligence souffre pour une personne de ce genre et qui n’est même pas intéressante, car on la dit idiote”, ajouta-t-elle avec la sagesse des gens non amoureux qui trouvent qu’un homme d’esprit ne devrait être malheureux que pour une personne qui en valût la peine; c’est à peu près comme s’étonner qu’on daigne souffrir du choléra par le fait d’un être aussi petit que le bacille virgule» (Gallimard, pp. 275-276) ]

Germinazione, nascita, declino di vite e di storie, di eventi e di sogni, in uno sforzo immane di evocazione che ricrea il mondo. La Recherche, questa grande fenomenologia della vita, ha il suo nucleo pulsante nella dinamica di identità e differenza tra il passato e il presente, fra ciò che non è più e ciò che rimane ancora poiché tutto in realtà accade dentro di noi. Un umano è vivo sino a che altri restituiscono linfa alla sua persona, la linfa potente del ricordo.

Mi sembra molto ragionevole la credenza celtica secondo cui le anime di quelli che abbiamo perduto son prigioniere entro qualche essere inferiore, una bestia, un vegetale, una cosa inanimata, perdute di fatto per noi fino al giorno, che per molti non giunge mai, che ci troviamo a passare accanto all’albero, che veniamo in possesso dell’oggetto che le tiene prigioniere. Esse trasaliscono allora, ci chiamano e non appena le abbiamo riconosciute, l’incanto è rotto. Liberate da noi, hanno vinto la morte e ritornano a vivere con noi. (p. 49)
[Je trouve très raisonnable la croyance celtique que les âmes de ceux que nous avons perdus sont captives dans quelque être inférieur, dans une bête, un végétal, une chose inanimée, perdues en effet pour nous jusqu’au jour, qui pour beaucoup ne vient jamais, où nous nous trouvons passer près de l’arbre, entrer en possession de l’objet qui est leur prison. Alors elles tressaillent, nous appellent, et sitôt que nous les avons reconnues, l’enchantement est brisé. Délivrées par nous, elles ont vaincu la mort et reviennent vivre avec nous. (Gallimard, p. 44) ]

La memoria, immensa, ricostruisce la vita, la parola, il senso enigmatico della favola umana, in una fisicità intrisa di luce:

Ma, quando niente sussiste d’un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l’immenso edificio del ricordo. (p. 52)
[Mais, quand d’un passé ancien rien ne subsiste, après la mort des êtres, après la destruction des choses, seules, plus frêles mais plus vivaces, plus immatérielles, plus persistantes, plus fidèles, l’odeur et la saveur restent encore longtemps, comme des âmes, à se rappeler, à attendre, à espérer, sur la ruine de toute le reste, à porter sans fléchir, sur leur gouttelette presque impalpable, l’édifice immense du souvenir. (Gallimard, p. 46) ]

La realtà non è il pratico e banale susseguirsi di istanti smarriti nel momento stesso in cui la vita fugge. La realtà è la scrittura che nell’infinito intrattenimento della memoria fonda l’esistere e il suo significato.

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