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Opera mistica

L’opera mistica di Eugenio Mazzarella
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
14 maggio 2023
pagine 1-3

C’è qualcosa di più che visionario nel libro che porta il titolo di Cerimoniale. C’è la forza antica e fondatrice del mistico. Mistica è stata sin dall’inizio la poesia di Mazzarella, che qui mostra senza più esitazioni, pudore e maschere la sua potenza nel testimoniare una realtà ultima e indicibile e che però i versi esatti e scabri di questo poeta sanno dire. La «nuova maniera con cui canti» è tale visione. Cosmica come in Giordano Bruno «di finito in finito l’infinito»; teoretica nel rivolgersi «alla forma delle cose»; fecondamente contraddittoria nell’affermare «Ora so tutto. Non chiedetemi cosa. / Non è niente. Solo un fiume al suo mare. / Il vuoto è dappertutto. Lo sapranno» e insieme «Non sono venuto a capo di nulla // Non ho capito il dolore».
Emerge in questi versi un dolore quasi immedicabile, una sofferenza che trasuda, un disagio inesorabile nell’esserci e tuttavia c’è qualcosa che di sé può dire «non ho bruciato invano l’universo. / Vi basterà l’angoscia di passare, / Anche di qui c’è luce».

Enrico Palma su Nomadismo e benedizione

Enrico Palma
Comprendere la sofferenza tramite Nietzsche 
Recensione a Nomadismo e benedizione. Ciò che bisogna sapere prima di leggere Nietzsche

in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
3 marzo 2023
pagine 1-6

«Grecità e modernità convergono dunque per Biuso nella proposta nietzscheana di “reintegrare i due mondi facendo della vita uno strumento per la conoscenza” (p. 68), una gnosi totale, un cammino costante, certamente pericoloso ma per ciò stesso aperto al rischio e fondato sulla libertà, un peana che avoca a un’’etica dell’immanenza” (ibidem), a una vita lieve, pura, giocosa, che non distrugge bensì trasforma e fa rilucere, tracimante ironia, soprattutto quando riferita agli umani, la convivenza con i quali “può essere frutto solo del disincanto” (p. 76) per via della loro ovvia infedeltà, sicura ferocia e incolmabile distanza. Bisogna dunque nutrire un sentimento greco, avere il coraggio di guardare questo male che ci schianta, conoscerlo e non indietreggiare, consapevoli del fatto che ciò che illumina è la possibilità che abbiamo nella nostra vita di fare conoscenza».

Colpa e tempo

Leopardi, Heidegger e la consapevolezza filosofica del limite umano
il manifesto
26 ottobre 2022
pagina 11

Ci sono dei libri che appaiono nella vita del loro autore come una rivelazione o una conferma o un compimento o un nuovo inizio. Colpa e tempo. Un esercizio di matematica esistenziale è l’insieme di tutto questo. Convergono qui il rigore teoretico di Eugenio Mazzarella, la sua incessante tensione esistenziale, uno stile che sembra seguire i contorni del mondo e descriverne come in un dipinto le fattezze.
In questo breve articolo per il manifesto ho cercato di entrare nella profondità del testo e di porlo in relazione con i primi due libri del filosofo, usciti nel 1981 e nel 1983 e riediti di recente dall’editore Carocci: Tecnica e metafisica. Saggio su Heidegger; Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia della vita. Ho dunque cercato di mostrare che se i grandi temi gnostici della colpa e del dolore sono stati affrontati tematicamente da Mazzarella soltanto nelle opere più recenti, la loro genesi è nel suo itinerario antica e ne illumina esiti, modalità, potenza.

Segnalo inoltre le riflessioni che a Colpa e tempo hanno dedicato Enrico Moncado (in Vita pensata, n. 27, settembre 2022) ed Enrico Palma (in Discipline Filosofiche, 27 settembre 2022).

Mitomania / Eracle

Sabato 4 giugno 2022 alle 15,00 a Lentini (Siracusa) terrò una lezione/conversazione nell’ambito dell’edizione 2022 di MitoMania, dedicata quest’anno a Eracle: il limite e l’illimite del divino e dell’umano.
Il titolo del mio intervento è «γενοίμην πέτρος; diventare un sasso». Πέρας e ὕβρις di Eracle.

Eracle, figlio di Zeus e di Alcmena, il più forte dei mortali e uno dei più generosi, è certamente il più grande degli eroi greci. E tuttavia Eracle viene annientato come uno qualsiasi dei figli dell’uomo, viene colpito negli affetti più fondi, nell’onore, nella saggezza. Perché?
Cercheremo di comprendere l’enigma della gloria e della morte di questo eroe, ancora una volta emblema dell’umano.

Napoli, il dolore

È stata la mano di Dio
di Paolo Sorrentino
Italia, 2021
Con: Filippo Scotti (Fabietto Schisa), Toni Servillo (Saverio Schisa), Teresa Saponangelo (Maria Schisa), Luisa Ranieri (Patrizia), Renato Carpentieri (Alfredo), Betti Pedrazzi (Baronessa Focale), Marlon Joubert (Marchino Schisa), Ciro Capuano (Capuano), Massimilano Gallo (Franco)
Trailer del film

Appeso al tempo e al suo dolore appare Paolo Sorrentino nell’immagine più emblematica di un film come sempre interamente simbolico. Appare nella geometrica Galleria Umberto di Napoli, appeso con delle corde a testa in giù in una scena del regista Ciro Capuano. Il liceale Fabietto Schisa osserva con trasporto, incanto e sorpresa una scena così inusuale e a poco a poco trascorre dall’aspirazione a studiare filosofia alla decisione di diventare regista. E ora, diventato Fabietto/Paolo il regista noto a tutti, racconta Napoli e se stesso. Racconta la famiglia allargata, bizzarra, divertente e feroce. Racconta la famiglia intima, il fratello aspirante attore fallito, la sorella sempre chiusa in bagno e soprattutto i genitori amati, amanti, tradenti, sempre giovani, borghesi, comunisti, in vena di scherzi crudeli, morti.
Racconta queste famiglie dentro il Golfo, le Isole mediterranee, le case di montagna, le feste e i conflitti. Racconta con esplicito e ripetuto debito alla poetica di Federico Fellini, la cui voce si sente da una stanza, e a quella di Sergio Leone, i cui film Fabietto vede e rivede. Che cosa fanno Fellini, Leone e Sorrentino? Trasformano il dolore d’esserci in ironia, desiderio, simbolo e cultura. E in questo modo aiutano a capire con la leggerezza del cinema, con il suo sogno amniotico, che cosa la vita sia, che cosa sia ζωή. Essa è l’inestricabile compenetrarsi e lottare di amore e morte, del desiderio che spinge alla riproduzione e del finire inevitabile dell’entità temporale che dall’orgasmo è nata: un corpo, una vita singola dentro il ripetersi noioso dell’intero. Con la certezza che alla fine a vincere è sempre θάνατος.
Il tono apparentemente lieve della prima parte del film, il tornare a intervalli regolari della mano di Maradona che agli occhi dei suoi devoti riscatta l’Argentina alle Malvine, salva Fabietto dalla morte e regala a Napoli la gioia, è un tono che non nasconde la follia che intrama la prima scena, con un San Gennaro che percorre le strade della sua città dentro una vecchia elegantissima Rolls Royce e regala alla conturbante zia Patrizia il miracolo della fecondità; non nasconde la violenza della famiglia intera che aspetta al varco il nuovo e anziano fidanzato di una strabordante carnosa nipotina; non nasconde la «cattiveria dei napoletani» esplicitamente indicata in una delle battute più disvelatrici.
La seconda parte, di conseguenza, vibra di dolore, di «abbandono» anch’esso esplicitamente menzionato oltre che vissuto, di una malinconia profonda che la scena ultima e ripetuta del gol di Maradona rende terribile e definitiva. È stata la mano di un demiurgo crudele a produrre tutto questo. Arte, scienza e filosofia sono i modi più profondi per capirlo e per condannare con un sorriso a testa in giù il fatto d’essere appesi alla fune del tempo, d’essere nati.

Dimenticare

Prefazione a:
Disobbedire alla mente errante
di Vincenzo Di Spazio
Edizioni Spazio Interiore
Roma 2021, pp. 112
Pagine 7-12

I testi dei pazienti di Enzo Di Spazio – tutti riprodotti nell’originale delle scritture di ognuno – sono espressione sia della banalità del male che intesse le vite, sia della sua così enigmatica profondità. Un enigma che da molti anni l’autore studia sulla base di una consapevolezza fondamentale: che l’umano sia tempo incarnato (embodied time) e che ogni evento di questa nostra vita si installa nel corpomente sino, a volte, a stritolare la persona, «facilitando così la malattia e infine la morte».
La dimensione temporale della psiche genera anche molta inquietudine, frutto dell’essere l’umano una wandering mind, di possedere «la capacità di spostarci a piacimento lungo il cursore del tempo lineare per tuffarci nel passato e per proiettarci nel futuro», dell’essere noi tutti una mente errante tra i ricordi traumatici che paralizzano e le angosciose attese che anch’esse paralizzano. Rompere queste paralisi e fare dell’organismo, degli arti, dell’intera corporeità una realtà dinamica è uno degli obiettivi delle diverse terapie che Di Spazio pratica e propone.
Come questo libro ben mostra, l’umano e la sua salute sono costituiti da una memoria viva che si muove nello spaziotempo dei ricordi che abitano il corpo e dagli eventi che si susseguono nel mondo. Entrambi, ricordi ed eventi, non possiedono la struttura massiccia e uniforme di una strada e del muro che la delimita, non sono rigidi e continui ma somigliano alla complessità delle isole di un arcipelago, che emergono dal mare profondo del tempo. 

Il mondo di Frida

Frida Kahlo. Il caos dentro
Fabbrica del Vapore – Milano
A cura di Milagros Ancheita, Alejandra Matiz, Maria Rosso, Antonio Arévalo
Sino al 2 maggio 2021 – La mostra riaprirà poi dal 25 maggio sino al 25 luglio

Non Frida Kahlo ma il mondo di Frida Kahlo (1907-1954). Ambienti, stanze, oggetti da lei utilizzati, medicine, relazioni. Tutto in gran parte dentro Casa Azul, una magnifica dimora alla periferia di Città del Messico.
Poliomelitica a sei anni e poi quasi uccisa in un incidente tranviario che le conficca acciaio nel ventre, il percorso del corpomente di Kahlo dentro il mondo è una sofferenza che si redime di volta in volta nell’amore, nel sesso, nella pittura. Amante, moglie, figlia (20 anni in meno) del più famoso pittore messicano del Novecento, Diego Rivera, Frida segue un percorso che è solo suo: figurativo e simbolico, dolente e solare, cromaticamente molteplice e fulgente.
Al centro di questo percorso gli antichi miti mesoamericani, le statue, i totem, gli amuleti, gli scheletri, vale a dire la morte e il morire, come si vede anche nel lungo e ritmato piano sequenza con il quale inizia 007 Spectre, ambientato proprio durante la festa dei morti a Città del Messico.
Insieme ai miti l’impegno politico che condivideva con Rivera. Era bambina infatti quando la Rivoluzione messicana (1910) segnò la liberazione dalle potenze coloniali e la rinascita delle antiche culture di quel Continente. Amante di Trockij e insieme ammiratrice di Stalin, a lei non si chiede conto di questa convinta e contraddittoria opzione politica.
I miti, la politica e se stessa. Si dipinse viva, variabile, dentro il Sole e dentro il sangue. Come una regina. E come una regina abbigliata di gioielli. Come una regina vestita di potenza, di colori, di gloria. Fiori ovunque, anche in questa mostra, la quale non presenta di Kahlo neppure un’opera ma solo delle copie digitalizzate degli autoritratti.
Una scelta che non mi piace mai ma che in questo caso permette comunque di comprendere a fondo la personalità dell’artista. Anche con i francobolli a lei dedicati, con alcuni dipinti di Diego Rivera, con le assai belle fotografie che le scattò Leo Matiz, come quella che apre questo testo. E poi anche con i busti ricreati e ridipinti da alcuni artisti contemporanei. Il più lieve, il più leggiadro è quello che si vede qui sotto, opera di Alice Cumbo, che di Frida coglie la vitalità, nonostante tutto.

«Ho provato ad affogare i miei dolori, ma hanno imparato a nuotare.
Non sono malata. Sono rotta. Ma sono felice fintanto che potrò dipingere.
Innamòrati di te, della vita e dopo di chi vuoi».

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