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Il pendolare

The Commuter
(Titolo italiano: L’uomo sul treno)
di Jaume Collet-Serra
USA, 2018
Con: Liam Neeson (Michael Woolrich), Vera Farmiga (Joanna), Patrick Wilson (Murphy)
Trailer del film

Il titolo originale è, more solito, più espressivo di quello italiano. Michael Woolrich è infatti un pendolare che da dieci anni prende sempre lo stesso treno per andare al lavoro e ritorna sempre allo stesso orario. È un ex poliziotto che su quel treno conosce tutti. Adesso fa l’assicuratore ma una mattina, di colpo, viene licenziato. I problemi finanziari che già lo affliggono ne vengono esasperati e comincia a pensare che siano diventati irrisolvibili. Sul treno del mesto ritorno a casa spunta dal nulla una donna che gli dice dove trovare su quel convoglio 25.000 dollari. Ne otterrà altri 75.000 se individuerà un uomo e la sua borsa, segnalandoli a lei. Nient’altro. Michael è incredulo ma trova davvero il danaro e comincia la sua ‘missione’. La quale si rivela complessa, inquietante, mortale e foriera di dilemmi etici piuttosto profondi.
È questo il nucleo di valore del film. Il quale è per il resto il consueto thriller spettacolare nel quale le più inverosimili scene d’azione disegnano un protagonista che da assicuratore attempato sembra diventare una specie di superman. Dal punto di vista formale è interessante il fatto che la pellicola sia girata quasi per intero dentro un treno in corsa, nel quale abita una vera e propria antologia dell’umanità solitaria e bisognosa di relazione. È però del tutto inverosimile che una organizzazione capace di agire in tempi rapidissimi dentro e fuori dal treno per costringere Michael a continuare la sua ricerca non sappia trovare da sé la persona che cerca.
Ma torniamo ai dilemmi che rendono interessante il film. Joanna, l’enigmatica donna che fa la proposta a Michael, presenta la cosa come un tipico esperimento mentale: «Che tipo di persona è lei? Sino a che punto è disposto a spingersi per ottenere un vantaggio in cambio di una piccola azione che però non sa quali conseguenze avrà su un’altra persona?».
Per rispondere a tali domande è in realtà necessaria una metaetica, intesa come il tentativo di individuare le condizioni di possibilità e di significazione dei comportamenti umani. Non a partire dunque da credenze (religiose o di altra natura) o da sentimenti (psicologici o di altri ambiti) ma dall’analisi quanto più rigorosa possibile sia dei comportamenti sia delle espressioni linguistiche e semantiche che li descrivono.
A partire dalle condizioni date, e create di proposito dall’organizzazione che intende incastrarlo, la risposta del protagonista non poteva essere diversa da quella che è stata. E questo al di là delle sue credenze morali e della sua visione del mondo. Gli sviluppi della vicenda, certo, mostrano la complessità dei dilemmi etici che Michael deve affrontare e ai quali dà di volta in volta risposte diverse, sino a quella finale che risulta abbastanza artificiosa, ma essi filano veloci su dei binari prestabiliti, esattamente come quelli di un treno.
«Una foglia si staccò da un alto ramo, / disse: ‘Di cadere a terra io bramo’. / Il vento dell’ovest, alzandosi, la fece turbinare. / ‘A est’, disse, or mi dovrò orientare’. / Il vento dell’est s’alzò con maggior forza. / Quella disse: ‘Sarebbe savio cambiar la mia corsa’. / Con egual poter si svolse la lor contesa. / ‘La mia scelta è meglio lasciar sospesa’. / Si spensero i venti e la foglia, non più afflitta, / esclamò: ‘Ho deciso: cadrò giù dritta’» (Ambrose Bierce, da Il dizionario del diavolo [1911], cit. in D.M. Wegner, L’illusione della volontà cosciente, Carbonio Editore 2020, epigrafe).

Colpa / Danno

Recensione a:
Daniel Merton Wegner
L’illusione della volontà cosciente
(The Illusion of Conscious Will, Massachusetts Institute of Technology 2018)
Trad. di Olimpia Ellero
Carbonio Editore, 2020
Pagine 460
in Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia
vol. 11, n. 3/2020
pagine 422-423

Del libro di Daniel Wegner avevo parlato qualche mese fa sul manifesto; sulla RIFP ho avuto più spazio e ho quindi cercato di far emergere ancor meglio il significato e il valore di un’indagine documentata, approfondita, pacata, che conferma -con gli strumenti della psicologia e della neurobiologia- le tesi metafisiche di Spinoza, secondo cui è libero l’ente il quale «ex sola suæ naturæ necessitate existit, & agit», costretto è invece quell’ente «quæ ab alio determinatur, ad existendum, & operandum certa, ac determinata ratione», consistendo la libertà  «non in libero decreto; sed in libera necessitate» (Lettera 58 a H.G. Schuller, 1674, in Tutte le opere, Bompiani, p. 2110).
Ogni ente infatti è determinato a esistere e ad agire per un insieme ben preciso di cause. «L’illusione della volontà cosciente» nasce dalla consapevolezza degli scopi per i quali si agisce e dall’ignoranza delle cause che spingono a indirizzarsi proprio verso quegli scopi e non altri.
Non c’è dunque merito nella rosa che profuma come non c’è colpa nell’escremento che puzza. Ciascuno agisce in modo conforme alla propria natura, al di là del bene e al di là del male.
Nonostante la naturale propensione a ritenere che i nostri gesti siano per lo più voluti da noi e che quelli che invece compiamo in automatismo siano una piccola parte, è vero esattamente il contrario, «l’automatismo è la regola, e l’illusione della volontà cosciente è l’eccezione» (Wegner, p. 188). Se ogni volta che ci muoviamo, rispondiamo a delle domande, interagiamo in tempo reale con gli altri e con l’ambiente dovessimo pensare a ciò che stiamo facendo e calcolare consapevolmente tutte le cause e implicazioni, di fatto non agiremmo più o il nostro agire sarebbe così lento da risultare vano. E dunque anche «chi erra non lo fa per cattiva volontà. Ciò non è concepibile per l’uomo greco, il quale non ha neppure il termine per indicare quel che noi chiamiamo volontà» (Walter F. Otto, Teofania. Lo spirito della religione greca antica, a cura di G. Moretti, Adelphi 2021, p. 72).
La questione teologico-giuridica diventa così quasi inestricabile, una volta che, rispetto ai Greci, si è privilegiata la colpa interiore e soggettiva invece del danno oggettivo che un’azione eventualmente produce: «gran parte dei timori relativi alle spiegazioni meccanicistiche del comportamento umano può essere fatta risalire alla cultura occidentale e alle sue ideologie religiose» (Wegner, p. 417), in particolare a quelle monoteistiche nelle quali il posto dell’anima individuale diventa preminente, se non totale. Ma anche l’anima è parte del tutto, inseparabile dalla complessità infinita degli eventi.

Sul determinismo

La sensazione del libero arbitrio
il manifesto

20 agosto 2020
pagina 11

L’illusione della volontà cosciente dello psicologo Daniel Wegner è un libro fecondo anche perché sostiene e conferma sul piano empirico una verità logico-teoretica evidente, quella per la quale il libero arbitrio è una sensazione assai potente e certamente funzionale ma non per questo relativa a qualcosa di reale. Come scrive Wegner, «il libero arbitrio è una sensazione, mentre il determinismo è un processo. Sono incommensurabili».
A un tema come questo, che ritengo fondamentale sia in chiave antropologica sia metafisica, ho dedicato alcuni anni fa un intero corso e un saggio dal titolo Il libero arbitrio tra neuroscienze e filosofia.
Nell’articolo è saltata un’affermazione di Einstein, che recupero qui: «un Essere, dotato di una capacità di intuizione superiore e della più perfetta intelligenza, osservando l’uomo e le sue azioni, sorriderebbe di fronte all’umana illusione di agire in base al proprio libero arbitrio». Esattamente ciò che pensava Spinoza.

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