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Umanità

 

Tre notizie da Televideo Rai (19-20 marzo 2024), notizie tra le tante, notizie come sempre, notizie da millenni, notizie che mostrano e confermano con la chiarezza della sintesi che cosa l’umano sia, che cosa sia davvero.
L’umano è in gran parte – non del tutto, certo, ma appunto in gran parte – un grumo di profonda, istintiva, pura malvagità. L’umano è un animale non soltanto feroce ma di una ferocia anche sadica, vale a dire che gode, sinceramente gode, dei dolori che infligge e che vede. L’umano è un terrificante sterminatore di ogni altra specie animale; e infatti gli altri animali hanno ben imparato a guardarsi dall’essere umano: appena passiamo vicino a un gatto o a un cane randagio o a un uccello, questi subito si allontanano. L’umano è un’intelligenza posta in gran parte al servizio della guerra, della distruzione e della morte. L’umano, in sintesi, è non soltanto una nullità ontologica nel cosmo ma è anche un errore politico nella storia. L’umano è probabilmente una linea deviata e sbagliata dell’evoluzione animale, è un vicolo cieco.
L’umano è soprattutto la presunzione, l’arroganza e la ὕβρις di ritenersi, nonostante questa sua tenebrosa natura, «l’essere libero nel mondo della necessità, l’eterno taumaturgo, sia che agisca bene, sia che agisca male, la sorprendente eccezione, il super-animale, il quasi-Dio, il senso della creazione, il non pensabile come inesistente, la parola risolutiva dell’enigma cosmico, il grande dominatore della natura e dispregiatore di essa, l’essere che chiama la sua storia storia del mondo!» (Nietzsche, Umano, troppo umano II. Il viandante e la sua ombra, in «Opere», IV/3, af. 12, p. 141).
Le tre religioni del Libro – ebraismo, cristianesimo e islam – costituiscono l’espressione parossistica di tale pretesa. Esse ritengono che l’umano sia l’immagine di Dio e persino che Dio stesso sia diventato un uomo e sia stato torturato e ucciso per lui, un’idea francamente sconcertante. In sintesi, esse ritengono che l’essere umano sia un’espressione del sacro, pretesa che è una bestemmia e un sacrilegio. Ritenere entità sacre quelle che sono capaci di compiere azioni di gratuita, totale e inemendabile ferocia come quelle da cui sono partito e milioni di altre azioni analoghe delle quali la vicenda umana è costellata, ritenere davvero che i miliardi di essere umani transitati nella storia siano tutti figli di Dio e per questo sacri, è un’affermazione la cui tracotanza, narcisismo e stupidità appaiono palesi a ogni sguardo razionale, umilmente razionale, ontologicamente antropodecentrico.
In realtà alcuni, pochi, essere umani sono una luce per sé e per gli altri. La più parte costituisce una struttura ontologica miserabile e perduta. Questa è una delle verità della Gnosi, una tesi antropologica che mostra ogni giorno e ovunque la sua plausibilità.
È anche partendo da qui che uno gnostico contemporaneo ha potuto scrivere che la morale cristiana, e religiosa in genere, così come la morale kantiana sono in realtà un’immensa fatica «per non essere semplicemente, profondamente se stessi, cioè immondi, atroci, assurdi», una fatica volta a nascondere la radicale malvagità degli umani, la loro «sporca anima eroica e fannullona», una fatica volta a non capire «fino a qual punto gli uomini sono carogne», gli uomini, queste «bestie verticali» (Céline, Viaggio al termine della notte, Corbaccio 1995, pp. 459, 21, 33 e 159). Sono fatti, eventi e circostanze come quelli ricordati sopra, il cui numero è incalcolabile, a darne costante conferma.
L’umano è un orrore che l’intera storia della specie attesta e mostra. Due recenti testimonianze (tra le innumerevoli che sarebbe possibile addurre), sono un video di denuncia realizzato dalla LAV – Lega Antivivisezione  che documenta l’inaudita crudeltà di due esseri umani contro un gregge di pecore e una come sempre pacata e implacabile riflessione di David Benatar dal titolo Un argomento misantropico per l’antinatalismo (testo pubblicato sul numero 29 di Vita pensata).
Ripeto: che una religione o un’etica possano definire i membri di una specie siffatta come tutti sacri o perché figli di un Dio o in quanto semplicemente esseri umani, è qualcosa che a uno sguardo disincantato e razionale appare non soltanto privo di ogni fondamento ma anche perverso. 

La crudele commedia

La casa di Jack
(The House That Jack Built)
di Lars von Trier
Danimarca, Francia, Germania, Svezia 2018
Con: Matt Dillon (Jack), Bruno Ganz (Virgilio), Uma Thurman (Donna 1), Siobhan Fallon Hogan (Donna 2), Sofie Gråbøl (Donna 3), Riley Keough (Donna 4)
Trailer del film

Un Virgilio paziente e antico conversa con la figura crudele di un ingegnere che avrebbe voluto essere architetto -poiché «l’ingegnere legge la musica, l’architetto la esegue»- ma senza averne le capacità. Tenta così di costruire opere d’arte composte da materia viva, o che era viva, di plasmare i corpi dando loro morte. Le vittime tuttavia sono in qualche modo consapevoli.
La prima è una donna rimasta in panne che costringe Jack ad aiutarla e poi, garrula e insopportabile, gli dice esplicitamente che forse ha fatto male a salire sul furgoncino di lui, perché ha l’aria di un serial killer. E tutto questo sorridendo e ammiccando. La vanità.
La seconda è una signora che non gli apre la porta sino a quando Jack non le promette che può farle raddoppiare la pensione. L’avidità.
La terza è una madre che accetta un picnic insieme ai suoi due bambini, sui quali Jack esercita la propria abilità di cacciatore. La famiglia.
La quarta è una ragazza che lo giudica molto strano ma alla quale piace. Il desiderio.
E poi il gelo che mantiene i corpi; il sangue che «la grande pioggia» lava; le cattedrali medioevali; Glenn Gould che suona in vestaglia; l’inesorabile legge della fame; Goethe; le tesi di Albert Speer sulle rovine; una teoria dell’ombra; la produzione di vini da dessert; citazioni dai precedenti film di von Trier; La barca di Dante di Delacroix (immagine qui a sinistra).
Infine la catàbasi conclusiva, nella quale il film svela apertamente la propria natura simbolica e religiosa. Guidato da Virgilio e vestito di rosso come Dante, Jack visita i regni dell’oltretomba, giunge nel profondo dell’inferno, decide di tentare l’uscita anche se Virgilio lo avverte che nessuno c’è riuscito mai. Su questo tentativo si chiude la crudele commedia che lui stesso è stato.
Un film a tratti manierista, con un protagonista impressionante e indimenticabile. Un viaggio banale, desolato e atroce nel gorgo dell’umano, nella ferocia del nulla che noi siamo.

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