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Espressionismo manzoniano

I Promessi Sposi
di Mario Bonnard
Italia, 1922
Con: Domenico Serra (Renzo), Emilia Vidali (Lucia), Umberto Scalpellini (Don Abbondio), Mario Parpagnoli (Don Rodrigo), Enzo Billiotti (Fra’ Cristoforo), Rodolfo Badaloni (L’Innominato), Ida Carloni Talli (Agnese), Ninì Dinelli (Gertrude), Olga Capri (Perpetua)

Restaurato e accompagnato da musiche contemporanee, questo capolavoro del cinema muto mostra una coinvolgente originalità formale e narrativa. Mario Bonnard fa del romanzo di Manzoni un percorso dentro la storia, l’antropologia, il male. La vicenda di Renzo e Lucia quasi rimane sullo sfondo delle grandi scene collettive, fatte di folle, soldati, appestati, ribellioni. Scene nelle quali la violenza delle vicende, la malvagità degli umani, l’inesorabilità degli eventi emergono dallo sfondo ora idilliaco del lago ora concitato della città. I rappresentanti dell’ideologia religiosa di Manzoni – fra’ Cristoforo, il cardinale Federigo – appaiono costantemente rivolti verso l’alto, distanti, quasi emaciati, ininfluenti. Come se fossero estranei rispetto alla concretezza della manzoniana fenomenologia dell’umano. Le libertà narrative che Bonnard si è preso – l’Innominato alla guida dei suoi soldati contro i lanzichenecchi; Lucia malata in casa di Donna Prassede; i dettagli del tradimento del Griso e della sua morte; le lunghe scene del saccheggio di Mantova; – sono funzionali a una disincantata descrizione della città umana, così come essa va sempre o come andava ‘nel secolo XVII’:
«In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s’era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l’apparenza d’un oppressore; eppure, alla fin de’ fatti, era l’oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente a’ fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo…voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo»
(I Promessi Sposi, a cura di G. Getto, Sansoni, Firenze 1985, cap. VIII, p. 184).
E tutto questo viene narrato in una tonalità color seppia, con moderne dissolvenze delle forme, tramite giochi tra sfondo/primi piani e altre modalità espressionistiche. Un grande film.

Una muta nostalgia

The Artist
Di Michel Hazanavicius
Con Jean Dujardin (George Valentin), Bérénice Bejo (Peppy Miller), John Goodman (Al Zimmer), James Cromwell (Clifton), Penelope Ann Miller (Doris), Uggy (il cane)
Francia, 2011
Trailer del film

Hollywood, anni Venti del Novecento. George Valentin è un divo del cinema muto. Bello, osannato e ricco, incontra per caso Peppy Miller, un’ammiratrice che fa anche da comparsa in alcuni dei suoi film. Quando la casa produttrice decide di passare al sonoro, George rifiuta la svolta e realizza a proprie spese l’ennesimo film muto che però -ormai fuori tempo- lo porterà alla rovina finanziaria ed esistenziale. Peppy Miller, invece, fa carriera e diventa a sua volta una diva. Segretamente innamorata di George, cerca di aiutarlo con discrezione sino a quando l’uomo se ne accorge, per orgoglio rifiuta il sostegno di Peppy e pensa al suicidio. L’eroina riesce appena in tempo a salvarlo e a riportarlo sulle scene.

Raccontato così, è un polpettone sentimentale. E di questo in effetti si tratta. La particolarità è che il film è girato in bianco e nero, a una velocità leggermente superiore rispetto a quelli attuali e tipica invece delle opere degli anni Venti, e soprattutto è (quasi) completamente muto. Ci voleva un po’ di coraggio, è vero, per compiere una scelta simile ma è un coraggio piuttosto furbo nel compiacere buoni sentimenti e passioni cinefile. Il risultato è tecnicamente interessante ma anche assai noioso e del tutto prevedibile. Si salva, non a caso, la scena dell’incubo sonoro del protagonista. Per il resto, la nostalgia è una cattiva consigliera, anche al cinema.

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