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The Square
di Ruben Östlund
Svezia, Danimarca, USA, Francia, 2017
Con: Claes Bang (Christian), Elisabeth Moss (Anne), Terry Notaryy (Oleg)
Trailer del film

«Rigore è quando arbitro fischia» diceva Vujadin Boskov . «Arte è quando artista lo dice», potremmo parafrasare. «È così? Non c’è dubbio. Per ora. Finché dura il party generalizzato. La festa immobile dell’anti-arte, della spiritualizzazione banalizzata del far-niente estetico d’un inafferrabile ‘Io è un altro’, del trionfo dell’autofeticizzazione servo/sovrano» (Giuseppe Frazzetto, L’artista sovrano. L’arte contemporanea come festa e mobilitazione, Fausto Lupetti editore, Bologna 2017, p. 206).

Il party generalizzato è gestito da Christian, direttore di un Museo d’arte contemporanea di Stoccolma. Il prossimo spazio situazionale sarà The Square, un’opera spiegata con queste parole: «Il quadrato è un santuario di fiducia e altruismo, entro i cui confini tutti hanno uguali diritti e doveri». Nobile e banale idea, per promuovere la quale vengono chiamati due ‘creativi’ che realizzano un video decisamente violento, il quale suscita le reazioni indignate della gente, della stampa, delle istituzioni. Il fatto è che Christian non ha seguìto personalmente la produzione del filmato promozionale, perché occupato a recuperare portafoglio e cellulare che gli sono stati sottratti con destrezza in una piazza. Evento dal quale scaturiscono a cascata altri fatti, grotteschi e inquietanti.
Come grottesca, inquietante e aggressiva è la performance di Oleg, artista che durante una elegantissima cena appare muscoloso al modo dell’incredibile Hulk, si comporta come un animale selvaggio -è così, infatti, che viene presentata la sua opera/corpo- ed esercita violenza sui commensali sino a essere alla fine da costoro pestato. È questo il momento forse più alto -un momento che ben ricorda il Buñuel del Fascino discreto della borghesia– di un film intelligente e ironico. Un film dissacratorio dell’unico Valore Supremo che sembra pervadere il mondo contemporaneo. Il Valore che sacralizza le minoranze, le donne, i mendicanti, i ‘diversamente abili’, i profughi, gli studenti dei corsi zero, i credenti di tutte le fedi, i piangenti di ogni latitudine, salvo poi escluderli ferocemente da ogni autentico riscatto. Infatti «nel regime neoliberale post-democratico la classe dominante è legittimata a esercitare il dominio solo se si dichiara preoccupata per le sorti dei dominati», scrive Stefano Jorio in un’analisi del film condivisibile in gran parte ma non nelle conclusioni: Violenza di classe (in «il Tascabile», 14.11.2017)

Quanto più il politically correct agisce, tanto più intollerante diventa l’omologazione, tanto più l’ingiustizia trionfa nell’orgia del narcisismo spettacolare, dei social network, delle migliaia di petizioni, dell’ossessione di non offendere nessuno -proprio nessuno– quando si parla, condizione che impone il silenzio a ogni critica rivolta al mondo e alle sue manifestazioni.
È di questo che tratta The Square, del quadrato illogico del conformismo contemporaneo il quale vince nel rispetto assoluto e maniacale dovuto alla condizione e alla sconclusionatezza di tutti e di ciascuno, anche di chi -in un’altra scena emblematica- disturba una conferenza con un continuo turpiloquio (una delle manifestazioni della sindrome di Tourette). Tutti rispettati e tutti servi del sistema spettacolare, del quale il sistema dell’arte -ciò che Frazzetto definisce «il Collettivo» (op. cit., p. 45)- è metafora e sineddoche.
Il politicamente corretto esprime un nichilismo profondo, il nichilismo dell’identità che cancella ogni differenza con l’affermare che le differenze devono essere tutte eguali.

La montagna sacra

di Alejandro Jodorowsky
(La montaña sagrada)
Messico-USA, 1973

Un percorso di iniziazione dalla pianura politica e sociale alla montagna splendente e solitaria. La ricerca dei nove immortali che vi abitano è una foresta di simboli attinti dalle più diverse tradizioni religiose -compresa la cristologica-, magiche, astrologiche, esoteriche, alchemiche. Paure e potenze ancestrali si coniugano a un erotismo quasi meccanico e freddo; l’animalità intride ogni scena; i corpi vengono dipinti, sventrati, crocifissi, imbalsamati, ibridati; le istituzioni ecclesiali rappresentano la decadenza di ogni autentico sentimento religioso e sono punite con una costante irrisione; il potere è pura e insensata violenza; l’individuo un frammento del mondo.
Lo stile underground tipico dei Settanta appesantisce la già strabordante simbologia di colori, di costumi, di sfondi, nei quali prevalgono spesso il grottesco e l’orrorifico. L’invenzione espressiva è però ammirevole e probabilmente frutto di sostanze allucinogene. Il surrealismo diventa psicomagia e Jodorowsky -che del film è anche interprete, compositore, sceneggiatore- sembra porsi tra i Buñuel-Dalí di Un chien andalou e il Cronenberg di Videodrome e Naked Lunch. Lo scarto rispetto a ogni genere codificato emerge nell’imprevedibile chiusa, dove la finzione è svelata e il percorso deve ricominciare. Come sempre.

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