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Un Nobel atomico

Leggo da Televideo del 23.5.2016 – ore 8,19 la seguente notizia:

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Obama: non chiederò scusa per Hiroshima

Barack Obama conferma che non chiederà scusa a nome degli Stati Uniti per il bombardamento atomico di Hiroshima nell’agosto 1945. «Penso sia importante riconoscere che in guerra i leader debbano prendere ogni tipo di decisione», ha detto il presidente Usa alla tv pubblica giapponese Nhk,in vista della sua storica visita di venerdì a Hiroshima. Sbarcato ieri in Vietnam,dove discuterà anche la revoca dell’embargo (ultime vestigia della guerra), Obama sarà venerdì in Giappone, dove parteciperà al suo ultimo G7.
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E dunque «penso sia importante riconoscere che in guerra Truman sia stato giustificato nel prendere la decisione di distruggere con il fuoco atomico Hiroshima, Nagasaki e tutti i loro abitanti, per varie centinaia di migliaia di morti, compresi vecchi, donne, bambini e animali»; «penso sia importante riconoscere che in guerra Hitler sia stato giustificato nel prendere la decisione di opporsi alla resistenza antitedesca nei Paesi occupati, Italia compresa, con varie stragi di civili da parte delle SS nazionalsocialiste»; «penso sia importante riconoscere che in guerra Stalin sia stato giustificato nel prendere la decisione di massacrare a Katyń nel 1943 più di ventimila soldati e cittadini polacchi».

Questa è la logica del Premio Nobel per la Pace 2009. Un premio, come si vede, meritato.

Crisi

Mi sembra sorprendente ed estremamente positivo che un popolo innamorato del calcio come quello brasiliano stia avendo la forza di denunciare «le spese faraoniche in vista dei Mondiali, a scapito della qualità dei servizi sanitari e educativi, e la gigantesca corruzione, vero buco nero delle risorse statali. […] Negli stadi, incuranti del divieto della Fifa, molti tifosi hanno sostenuto le proteste: “Brasile svegliati, un professore vale più di un Neymar”». Ma anche di questa rivolta, come di quella turca, l’informazione italiana parla il meno possibile. E allora di fronte alla pervicacia istupidente del mainstream mediatico -teso sempre a sopire, troncare, tacere, ingannare– è opportuno ricordare come e perché si sia generato quell’insieme di eventi che vengono definiti «crisi»:

Il punto di partenza della crisi del 2008 è stato, da un lato, la deregolamentazione quasi totale delle prassi dei mercati finanziari e, dall’altro, la comparsa di “paesi emergenti”, a cominciare dalla Cina, che si sono accaparrati una parte crescente della produzione mondiale grazie al dumping salariale. Quella concorrenza, che spiega anche le delocalizzazioni, ha comportato un calo generale dei redditi nei paesi occidentali, calo che i nuclei familiari sono stati incoraggiati a compensare con un indebitamento crescente, che si supponeva potesse permettere di conservare il loro livello di vita. Ovviamente, le cose non sono andate affatto così, e il sistema è crollato quando i mancati pagamenti si sono accumulati. È quel che è accaduto negli Stati Uniti con la crisi dei crediti ipotecari (subprimes). Gli Stati sono stati allora costretti ad indebitarsi a loro volta per impedire al sistema bancario di sprofondare. Il problema dell’indebitamento privato si è così tramutato in problema dell’indebitamento pubblico.
[…]
Le banche, che potranno contrarre presiti all’1% dalla Bce, concederanno presiti al Mes [Meccanismo europeo di stabilità] ad un tasso di interesse nettamente superiore, dopo di che il Mes presterà agli Stati ad un tasso ancor più elevato. […] In ultima analisi, le banche daranno agli Stati, imponendo interessi, del denaro che consentirà a quei medesimi Stati di rimpinguare le casse di quelle stesse banche. Una situazione davvero surrealista, la cui causa prima, come è noto, è la proibizione fatta a partire dal 1973 agli Stati di contrarre prestiti ad interesse minimo o nullo con le loro banche centrali, il che li ha posti sostanzialmente alle dipendenze del settore privato. (Alain De Benoist, Diorama letterario, n. 314,  pp. 8-9)

La natura non soltanto assurda di queste transazioni -assurda per il bene pubblico ma assai sensata per gli interessi dei banchieri- è aggravata dal fatto che essa è stata resa per legge irreversibile, privando in questo modo parlamenti e governi di ogni potere, riducendoli a ornamento della finanza. Ha dunque ragione Gaby Charroux -deputato francese comunista e sindaco di Martigues- a osservare che in questo modo «consegniamo direttamente le chiavi della nostra politica economica e di bilancio ai tecnocrati di Bruxelles e scivoliamo verso […] una forma morbida, giuridicamente corretta, di dittatura finanziaria» (Ivi, p. 11). Con l’ascesa al potere anche politico di impiegati e funzionari della Goldman Sachs ad Atene, a Roma, a Francoforte (Mario Draghi), gli Stati sono diventati evidentemente degli Stati di classe diretti dal capitalismo finanziario: «Le banche, che controllano anche i mezzi di pagamento dei cittadini, hanno preso lo Stato in ostaggio per conto dei loro ricchi azionisti. Lo Stato diventa una macchina per ricattare le popolazioni a beneficio dei più ricchi» (Emmanuel Todd in un’intervista a Le Point, 13.10.2011).
Uscire da una spirale irrazionale e violenta come questa sarebbe possibile se il potere politico fosse altro da quello finanziario e prendesse provvedimenti come i seguenti: applicazione di un protezionismo europeo, nazionalizzazione delle banche, rifiuto di pagare il debito pubblico. Provvedimenti gravi ma praticabili se -appunto- i governi non fossero ormai ridotti alla condizione di impiegati della finanza il cui mandato è di agire contro i loro popoli, cominciando con l’ingannarli. Popoli i quali «non credono più nell’Europa, che confondono a torto con l’Unione europea. Non hanno più fiducia nella polizia […], non hanno più fiducia nei tribunali, che non sanzionano mai i delinquenti in colletto bianco e nemmeno i banditi della finanza di mercato» (de Benoist, Diorama letterario, n. 214, p. 23).
Anche le operazioni di killeraggio internazionale sono mosse dagli stessi scopi speculativi e di controllo delle risorse, come accaduto in Libia, con i massacri perpetrati da Sarkozy e Obama, «assassinando il capo dello Stato libico Muammar Gheddafi e la sua famiglia, inclusi i bambini piccoli»; come accaduto  in Iraq, dove le potenze anglosassoni e i loro servi italici hanno causato «due milioni di morti, affamato intere popolazioni, distrutto un paese unificato, allora il più evoluto industrialmente, socialmente ed economicamente della regione, averlo consegnato alla guerra civile, agli scontri tribali o religiosi, alla persecuzione delle minoranze come quella cristiana e agli attentati omicidi quotidiani. Del resto, George W. Bush non aveva dichiarato di voler riportare l’Iraq all’età della pietra?» (Maurice Cury, ivi, p. 24). La stessa operazione si sta ferocemente tentando contro il popolo siriano.

 

Imperialismo

Poche cose sono emblematiche della servitù di un individuo e di un popolo come il prendere posizione per l’uno o per l’altro di due padroni, le cui differenze sono per quell’individuo e per quel popolo irrilevanti. Il coro dell’atto III dell’Adelchi è assai efficace nel descrivere tale situazione.
Che dunque a vincere le imminenti elezioni che designeranno il rappresentante legale del sistema finanziario e militare statunitense sia il guerrafondaio premio nobel per la pace Barack Obama o il plurimiliardario cristiano-mormone e ultraliberista Mitt Romney, la politica statunitense verso il resto del mondo rimarrà quella ben esemplificata da Hiroshima, dal Vietnam, dalla distruzione dell’Iraq, dell’Afghanistan e della Libia, dal terrorismo che sta colpendo la Siria.
Ed Husain, analista del Council on Foreignis Relations -uno degli istituti di ricerca che elaborano la strategia statunitense verso gli altri Paesi- scrive che «i ribelli siriani oggi sarebbero incommensurabilmente più deboli senza Al Qaeda. I battaglioni dell’esercito libero siriano (Fsa) sono stanchi, divisi, confusi e inefficaci. Si sentono abbandonati dall’Occidente e sempre più demoralizzati mentre affrontano la potenza di fuoco superiore e l’esercito professionista del regime di Assad. L’arrivo di jihadisti di Al Qaeda porta disiciplina, fervore religioso, esperienza bellica dalle battaglie in Iraq, finanziamenti dai simpatizzanti nel Golfo e soprattutto risultati letali. […] In breve, l’Fsa ha bisogno di Al Qaeda ora» (Fonte: www.cfr.org/syria/al-qaedas-specter-syria/p28782 ).
Questo significa, commenta Francesco Labonia su Indipendenza, (anno XVI, n. 32, pp. 30-35) che «Washington e i suoi alleati/subalterni NATO sostengono (con finanziamenti e forniture di armi) quella che per anni è stata dipinta come una Spectre planetaria, cioè al Qaeda», con la quale invece gli USA si sono adesso alleati allo scopo di annientare «l’ultimo Stato arabo laico caratterizzato da un pluralismo multiculturale, integrato con il riconoscimento degli stessi diritti alle varie religioni che si intrecciano nella complessità dei vincoli tribali-familiari», come vari esponenti cristiani che vivono in Siria confermano.

Nel flusso di menzogne che i media filoamericani diffondono «straordinario è il ruolo dell’influente Al Jazeera, di proprietà della famiglia regnante del Qatar. Ora, il Qatar è il regno di un piccolo satrapo di stampo feudale e teocratico. […] Il Qatar brilla per il fatto che non esiste alcun Parlamento, non vige alcuna Costituzione, non è ammessa l’esistenza di alcun partito e ovviamente non sono mai state indette, anche solo pro forma, consultazioni elettorali. La parola “diritti”, di qualsiasi natura, è semplicemente sconosciuta. La sua importanza le viene soprattutto dall’essere sede di una gigantesca base militare statunitense, considerata la più grande esistente fuori dagli Stati Uniti. […] Da questo emirato Al Jazeera lancia le sue crociate suppostamente democratiche d’interventismo militare in casa d’altri. Anche al prezzo di mistificazioni e falsificazioni colossali. […] Di democrazia è fantasioso parlare anche per altri Stati dell’area come gli Emirati Arabi Uniti l’Oman o la monarchia hashemita della Giordania o nello stesso Yemen. Per Al Jazeera (e non solo), però, è la Siria laica, multiconfessionale, non sottomessa e sovrana a dover essere democratizzata, cioè, come da relativa accezione linguistica euroatlantica,  dominata».
Tutto questo è non soltanto grottesco ma anche esemplare di una società -la società dello spettacolo- nella quale il dominio appartiene a chi controlla la comunicazione e l’informazione. Ancora una volta Orwell e Debord ci hanno insegnato l’essenziale.
Ma nonostante questa imponente propaganda della quale naturalmente tutti i media italiani, escluso in parte il manifesto, sono strumento e voce «quel che principalmente conta –e non è assolutamente cosa da poco– è che gran parte della società siriana sinora non si è piegata ed ha scelto la strada della resistenza, nelle diverse forme in cui la sta esprimendo. La migliore risposta che si possa dare all’oscurantismo di matrice salafita-alqaedico e alla sudditanza atlantica».
Tacito fa dire al generale caledone Calgaco «Auferre, trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant» (Agricola, 30, 7). Rubare, massacrare, rapinare. Questo, con falso nome, chiamano impero. Creano il deserto, e lo chiamano pace. E democrazia.

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