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Pavese poeta

Lunedì 8 aprile 2024 alle 18.00 alla libreria Feltrinelli di Catania parteciperò alla presentazione del volume che raccoglie tutta l’opera in versi di Cesare Pavese, i suoi testi editi e inediti, le traduzioni da poeti greci – specialmente Omero -, latini, moderni, soprattutto i romantici. Il libro, edito da Mondadori, è stato curato da Antonio Sichera e Antonio Di Silvestro, colleghi italianisti del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Unict.
Si tratta di un libro/oceano, non soltanto nella mole (1728 pagine) ma soprattutto nella potenza, nell’energia ermeneutica e filologica. È un libro necessario, che permette di avere con sé e davanti a sé l’opera poetica di uno dei maggiori scrittori italiani di ogni tempo. Un libro amico, per l’evidente affetto che traspare nella cura, negli apparati, nelle introduzioni; un’amicizia non priva di contrasti e di momenti di distanza, come tutte le amicizie profonde, autentiche, feconde.

Da Lavorare stanca

I mari del Sud
Camminiamo una sera sul fianco di un colle,
in silenzio. Nell’ombra del tardo crepuscolo
mio cugino è un gigante vestito di bianco,
che si muove pacato, abbronzato nel volto,
taciturno. Tacere è la nostra virtù.
Qualche nostro antenato dev’essere stato ben solo
– un grand’uomo tra idioti o un povero folle –
per insegnare ai suoi tanto silenzio.

(vv. 1-8; p. 77)

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Da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Sempre vieni dal mare (19-20 novembre ’45)
Sempre vieni dal mare
e ne hai la voce roca,
sempre hai occhi segreti
d’acqua viva tra i rovi,
e fronte bassa, come
cielo basso di nubi.
Ogni volta rivivi
come una cosa antica
e selvaggia, che il cuore
già sapeva e si serra.
[…]
Fin che ci trema il cuore.
Hanno detto un tuo nome.
Ricomincia la morte.
Cosa ignota e selvaggia
sei rinata dal mare.

(vv. 1-10 e 40-44; pp. 201-202)

«Usignolo della vita nuova»

Prefazione a:
Sofò e Fefilìa. Poesie
di Maria Emanuela Randazzo
BookSprint Edizioni 2023, pp. 92
Pagine 7-8

«Non sembra comunque che l’autrice ponga in primo piano la versificazione in quanto tale ma il suo obiettivo è piuttosto rivelare ciò che sinora ha scoperto del mondo: il suo arcano, il dolore che lo pervade e anche la nascosta e tenace dimensione di riscatto che affonda in antiche sapienze religiose dell’Oriente e dell’Occidente».

D’Annunzio / Pescara

Museo Casa Natale di Gabriele D’Annunzio
Pescara

In occasione del III Convegno della SIFiT ho visitato Pescara, una città insolita per il territorio italiano. Nata dall’unione di due piccoli borghi sulle sponde del fiume omonimo, Pescara esiste solo dal 1927. Un luogo giovanissimo, quindi, senza storia, senza stratificazione, ma che esercita un fascino dato dall’ampiezza delle strade, dalla loro ariosità, dalla luce del mare e del cielo che si riflettono l’uno nell’altro. Mare che tocca la città, arrivando la sabbia dell’Adriatico proprio dentro l’Esplanade che separa e unisce il Viale della Riviera con il Lungomare Matteotti. Un luogo pianeggiante e piacevolissimo da percorrere.
Poco lontana dal fiume c’è la casa natale di Gabriele D’Annunzio, oggi restaurata e diventata un Museo che raccoglie e conserva i mobili posseduti dalla famiglia, documenti di varia natura, manoscritti del poeta, fotografie, immagini, abiti, quadri. E che trasmette soprattutto l’atmosfera elegante e raccolta di una dimora altoborghese della seconda metà dell’Ottocento, atmosfera testimoniata anche dai soffitti affrescati, dal bel cortile interno con un pozzo, dalla struttura insieme moderna e medioevale del palazzetto.
Ho visitato questo spazio in compagnia dell’amico professore Pio Colonnello, con il quale condivido l’apprezzamento e l’interesse per la poesia di D’Annunzio, che nei suoi migliori esiti ed espressioni è musica, pura musica verbale, nella quale a contare non è il significato ma il significante.
Non sarà dunque illegittimo attribuire il significante della strofa conclusiva di Stabat Nuda Aestas non soltanto alla donna intravista e posseduta su una spiaggia ma alla città intera di Pescara, elegante e sinuosa accanto al mare:

Tra i leandri la vidi che si volse.
Come in bronzea mèsse nel falasco
entrò, che richiudeasi strepitoso.
Più lungi, verso il lido, tra la paglia
marina il piede le si torse in fallo.
Distesa cadde tra le sabbie e l’acque.
Il ponente schiumò nei sui capegli.
Immensa apparve, immensa nudità.

Una città/donna che somiglia a Letizia de Felici, la Mèlitta di D’Annunzio la cui foto si trova nel Museo e che meritò dal poeta questa luminosa dedica: «a Mèli – nella notte dorata dalla sua nudità e dall’alabastro come da due lampade segrete».

Poesia e filosofia

Poesia, filosofia, americanismo
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
15 settembre 2023
pagine 1-4

Non il ‘vero’, il ‘bene’, il ‘bello’, concetti intesi come ‘valori’ e quindi del tutto moderni, che in Platone significano tutt’altro e che con i Greci e con la filosofia non c’entrano nulla, ma gli enti come ciò che sorge da sé e l’essere come φύσις, vale a dire come sorgenza. Questo è l’ambito della filosofia e della poesia, della grande poesia, la cui ‘grandezza’ consiste nel cogliere e nel dire, nel tentare di dire, l’essere.

Poesia a Giardini

Sabato 16 settembre 2023 alle 18.00 nel Parco Archeologico di Giardini-Naxos parleremo con il poeta e filosofo Eugenio Mazzarella di Cerimoniale e di poesia.
L’evento, curato da Fulvia Toscano, si inserisce nel ciclo «Naxoslegge – ποιεἶν / fare».

Eugenio Mazzarella è filosofo ed è una tra le voci più significative della poesia contemporanea. In lui infatti poesia e filosofia sono identiche e diverse. Sono identiche nella potenzialità e potenza che possiedono di andare al fondo dell’enigma del mondo e della presenza di una vita cosciente in esso. E di saper dire questo enigma. Sono diverse nello sgorgare delle voci: la filosofia da un disincanto rigoroso e insieme sempre aperto alla salvezza che il comprendere rappresenta; la poesia dal suo gorgogliare dalla vita miserabile e splendente degli umani, dal suo emergere dalla notte e vincere nella luce. Entrambe – filosofia e poesia – sono colme di pietas perché sono forma e figura della redenzione, costituiscono il pegno che ci è dato di un significato.

«sono sopravvissuto alla mia nave
alle anfore di oli e di profumi
al sapore del giorno della polpa
all’orgoglio spezzato delle gonfie vele

e tutto è un solo andare
un solo ascendere
più vicino alla polpa della luce».

Cerimoniale

“Cerimoniale”, la forza antica e fondatrice del mistico
in Il Mattino
22 giugno 2023
pagina 34

Cenere che assale, fiume che va, ferita della sera, silenzio che riposa, sono alcune delle immagini che il poeta disegna per indicare l’essere del vivente dentro il mondo e il destino di ogni cosa dentro l’essere. «Io vedo il fiume andare / Ma non so la montagna e non so il mare» (p. 81); il risultato è che «non si torna. […] Il senso è questo traffico col niente» (p. 132).
Una visionarietà dell’oltre attraversa i versi di Cerimoniale, quinta opera poetica di Eugenio Mazzarella, visionarietà che è ben piantata nel qui e ora dell’effimero, del tempo. La teologia poetica di questo filosofo sa volgere la nostra condizione, la condizione umana, in «stella stabilita del cammino» (p. 158).

Opera mistica

L’opera mistica di Eugenio Mazzarella
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
14 maggio 2023
pagine 1-3

C’è qualcosa di più che visionario nel libro che porta il titolo di Cerimoniale. C’è la forza antica e fondatrice del mistico. Mistica è stata sin dall’inizio la poesia di Mazzarella, che qui mostra senza più esitazioni, pudore e maschere la sua potenza nel testimoniare una realtà ultima e indicibile e che però i versi esatti e scabri di questo poeta sanno dire. La «nuova maniera con cui canti» è tale visione. Cosmica come in Giordano Bruno «di finito in finito l’infinito»; teoretica nel rivolgersi «alla forma delle cose»; fecondamente contraddittoria nell’affermare «Ora so tutto. Non chiedetemi cosa. / Non è niente. Solo un fiume al suo mare. / Il vuoto è dappertutto. Lo sapranno» e insieme «Non sono venuto a capo di nulla // Non ho capito il dolore».
Emerge in questi versi un dolore quasi immedicabile, una sofferenza che trasuda, un disagio inesorabile nell’esserci e tuttavia c’è qualcosa che di sé può dire «non ho bruciato invano l’universo. / Vi basterà l’angoscia di passare, / Anche di qui c’è luce».

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