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Ibla

La dea Iblea era feconda, una delle grandi Madri che costellano il mito umano alle sue origini. Il terremoto del 1693 costrinse i ragusani a ricostruire la loro città in un luogo diverso e un poco più alto. Separatosi dalla nuova città, l’antico centro vittima del sisma fu chiamato Ragusa inferiore. L’ambiguità dell’aggettivo nella nostra lingua indusse i suoi abitanti a cercare una denominazione più consona alla bellezza di quel luogo. La Madre antica venne in soccorso e Ragusa diventò Ibla.
La topografia a forma di pesce raccoglie intorno a sé il vuoto dei burroni dentro i quali nuota, mentre la coda si spinge verso il nuovo centro. Percorsi gli scalini che dall’anonimato di Ragusa -riscattato da alcune suggestive strade dritte e a perpendicolo tra loro– conducono a Ibla, si apre uno scrigno barocco, fatto di chiese che vorrebbero diventare templi, di conventi, di lastricati che splendono al Sole, di un giardino che percorre l’antica strada verso Giarratana, di circoli di conversazione, di angoli fiocamente illuminati, di resti di edifici medioevali, di squarci stupefatti nel tessuto urbano, di silenzio.
Dentro questo spazio abita anche un teatro che ha nome Donnafugata. Un teatro piccolo, privato, ma di nulla mancante, come si vede dall’immagine che ho avuto la fortuna di scattare. Mentre gli attori e le note scandiscono lo spazio ellittico della finzione, altre verità emergono nelle strade, sotto i balconi dei palazzi fieri. Si chiamano cagnoli e sono i mascheroni che reggono quei balconi dai quali ogni tanto si affaccia una bellezza femminile che sembra venuta da altri amori. Reggono quella bellezza secolare perché sono pietra duttile alla mano, fragile ai venti ma resistente al desiderio. I balconi fatti di cemento crollano invece dopo pochi decenni dalla loro triste nascita seriale.
Alcuni luoghi di questo pianeta vivo e doloroso rimarranno quando dentro i resti delle civiltà umane le foreste, i deserti, le lucertole, gli uccelli avranno riacquistato il loro legittimo diritto alla potenza.
Uno di questi luoghi sarà Ibla, il suo cielo, le sue pietre, la sua luce.

Ultima Sicilia

Ultima Sicilia
Fotografie di Giovanni Chiaramonte
Catania – Castello Ursino
Sino al 23 luglio 2017

Il cuore immobile e pulsante della Sicilia. Sempre uguale e sempre cangiante. Assolato e solitario. Fuorilegge e implacabile. Orgoglioso e morente. La vita. La vita che scorre sempre, che mai si ferma. La vita mirabile e orrenda degli umani. La vita dei bambini. Una calda geometria emerge da questi luoghi: Gela, Licata, Ragusa, Chiaramonte Gulfi, Dirillo, Butera, Modica, Ponte Olivo, Manfria.
Ultima Sicilia perché posta al limitare di una ‘modernità’ che ha tentato di omologarla all’Impero, riuscendoci in alcune esteriori manifestazioni ma fallendo nella sua sostanza, la quale non ammette metamorfosi che non sgorghino dalla propria ironia. La Sicilia è ancora fuori dalla storia, per fortuna. L’Isola è ancora dentro la propria mortale grazia. Le immagini di Giovanni Chiaramonte colgono questo καιρός. Per ciò sono così desolate, per questo sono così belle.

Chiaro Monte

Una visita a Chiaramonte Gulfi

Su un’altura che domina la piana di Vittoria lo sguardo si estende verso il mare e le pinete. Il luogo dal quale si ammira tanto spazio è un paese antico, in provincia di Ragusa, dal bel nome di Chiaro Monte. Il labirinto urbano è ricco di chiese, di palazzi, di porte, di giardini, di musei. Questi ultimi sono davvero numerosi rispetto alla modestia demografica dell’abitato (8.000 abitanti circa) e sono in parte ospitati nel Palazzo Montesano, che sta proprio a ridosso del Duomo. Di tali Musei, due sono particolarmente originali per il tema al quale sono dedicati: uno raccoglie varie centinaia di strumenti musicali provenienti da tutto il mondo (una bella affermazione platonica sulla musica vi fa da epigrafe); l’altro è la ricostruzione assai accurata di un appartamento in stile Liberty.
La strada principale accoglie parte soltanto di una ricchezza architettonica che si diffonde in ogni angolo del borgo e che viene esaltata dall’azzurro del cielo, capace di fendere le nebbie dei boschi. È così che in Sicilia ogni ombra si scioglie e il tempo è fatto di Luce.

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