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Italia

Il Bel Paese. Un progetto per 22.621 centri storici

Milano – Palazzo della Triennale
A cura di Benno Albrecht e Anna Magrin
Sino al 26 novembre 2017

L’alfabeto e le città sono probabilmente le due più importanti invenzioni umane. Lo spazio della vita comunitaria e lo strumento di scrittura perfetto e dinamico, con il quale comunicare al di là della presenza, hanno plasmato la nostra specie nei tempi storici diventando per noi natura.
L’Europa -continente assai piccolo- è il luogo delle città pensate e costruite con misura, sin dall’Atene antica e fino alla Rivoluzione Industriale. In essa l’Italia è stata l’ambiente nel quale la città ha mostrato ogni potenzialità di bellezza, di funzionalità, di adattamento armonioso all’orografia e al paesaggio.
Questa intensa e documentatissima mostra è dedicata a Leonardo Benevolo, architetto e storico dell’architettura che consacrò l’intera esistenza alla valorizzazione di tale ricchezza, alla vitalità dei centri storici, alla difesa della tradizione di armonia delle città italiane, strutture tanto complesse quanto fragili, che la «democrazia imperfetta» ha deturpato sino alla devastazione.
Benevolo scrisse infatti che «l’antico paesaggio italiano, e la cultura fondata sulla sua presenza consolatrice, appartengono al passato. Il paesaggio di oggi, fragile, precario, minacciato, ha un tono drammatico inevitabile, che la cultura, per restare all’altezza del suo compito è obbligata a riconoscere. In questo sta la sua originalità nel contesto mondiale. Il paesaggio delle città, dei paesi, delle campagne, delle coste, delle valli alpine, registra -insieme ai segni trasmessi dalla lunga storia passata- le storture di mezzo secolo di democrazia imperfetta: lo sperpero dei valori antichi, l’indugio a ideare e sperimentare i possibili adattamenti moderni, il disinteresse o l’aggressione all’ordine urbano e territoriale; questo quadro quotidiano è uno dei motivi della richiesta di cambiare le istituzioni e i comportamenti che sale dall’opinione pubblica» (L’architettura nell’Italia contemporanea, Laterza 1998, p. 222).
Nonostante tutto questo, e ciò che di peggio da allora è accaduto, un video girato negli ultimi mesi mostra la spettacolare e splendida stratificazione storica delle città italiane, tra le quali ben figurano la mia città natale e di lavoro -Catania- e quella d’elezione, Milano, nel cui centro storico continuano a vivere oggi ben 86.100 persone. Insieme ai video, le planimetrie e le mappe documentano la Forma Urbis come opera d’arte assoluta, scolpita dagli umani e dal tempo.
Alcuni versi di Byron restituiscono l’incanto che il paesaggio e le città italiane esercitano sempre su chi sappia guardare la bellezza ed esistere in essa:

The commonwealth of kings, the men of Rome!
And even since, and now, fair Italy!
Thou art the garden of the world, the home
Of all Art yields, and Nature can decree;
Even in thy desert, what is like to thee?
Thy very weeds are beautiful, thy waste
More rich than other climes’ fertility;
Thy wreck a glory, and thy ruin graced
With an immaculate charm which cannot be defaced.

L’unione dei re, gli uomini di Roma!
E da allora, e ora, fiera Italia!
Sei il giardino del mondo, la dimora
Di tutti i frutti dell’Arte, e la Natura può dire:
Anche nel tuo deserto, cosa ti somiglia?
Le tue stesse erbacce, i tuoi rifiuti sono belli
Più ricchi della fertilità di altri climi;
Il tuo relitto è una gloria, e la tua rovina lo irradia
Di un puro fascino che nulla può cancellare.

(Childe Harold’s PilgrimageThe Fourth, XXVI; traduzione mia)

Una terra fragile e indistruttibile, l’Italia. Una bellezza delicata e tenace, che non ci meritiamo. Ma ha detto bene il poeta: «Thy wreck a glory». Rispetto alla volgarità degli imperi contemporanei, persino i relitti delle nostre antiche dimore sono gloria.

Legno e luce

Villa Necchi Campiglio 
FAI – Milano

Nel cuore di Milano. Una meraviglia. Lo spazio creato fra il 1932 e il 1935 da Piero Portaluppi esprime al meglio l’architettura razionalista, temperata dallo stesso Portaluppi con inconsuete stelle e rombi, trasformata poi da Tommaso Buzzi in linee più morbide, personalizzata infine dai proprietari con il calore delle loro vite. Sino al 2001, quando Gigina Necchi Campiglio muore all’età di 100 anni e regala questa dimora al Fondo Ambiente Italiano.
La geometria razionalista appare in tutta la sua armonia nella facciata, che sporge sulla piscina privata (la prima costruita in Italia), sui campi da tennis, su un bel giardino. All’interno l’atrio sale su per uno scalone che porta alle camere, luminosissime, funzionali, ampie. Al piano terra librerie, studi, sale da pranzo, salotti, giardini d’inverno, nei quali si vorrebbe studiare, conversare, scrivere, cenare. Tra gli spazi e alle pareti collezioni di quadri e oggetti d’arte provenienti da tutto il mondo.
Una borghesia ricca ma non volgare ha donato a se stessa e alla città l’esempio di un abitare intimo e insieme epico, attraversato in tutte le stanze dal calore del legno e dalla dolcezza della luce.

«Milano s’illimpidiva»

Milano – Storia di una rinascita
1943 – 1953
 
Dai bombardamenti alla ricostruzione
Milano – Palazzo Morando
Sino al 12 febbraio 2017

Nella prima sala un manifesto dal titolo Milano ferita dai ‘liberatori’ anglosassoni espone questi dati: «Chiese distrutte n. 63
Scuole distrutte n.144
Ospedali e istituti culturali distrutti n. 145
Case distrutte n. 10770»
Il 20 ottobre del 1943 era stata bombardata la scuola di Gorla, facendo strage di quasi 200 bambini. Il convergere della cialtroneria del regime fascista e del cinismo angloamericano portò a una devastazione della città quale non si era veduta dai tempi di Federico Barbarossa. Rasi al suolo alcuni dei palazzi storici più antichi e più belli, chiese come Sant’Ambrogio e Santa Maria delle Grazie, la Galleria di Piazza Duomo, tutto il tessuto delle fabbriche milanesi, i depositi dei trasporti pubblici, interi quartieri. Tutto distrutto. Quella che viviamo oggi è una Milano ricostruita, da sùbito riedificata. Guardandone le ferite e la rinascita, Alberto Savinio scrisse queste parole: «La morte ‘insudicia’. Insudicia quello che era pulito, intorbida quello che era limpido. Pure si dice che la morte è serenità, calma, e l’arte per parte sua…Quella calma, quella serenità non sono della morte», ma «della vita che si è celata nella morte e l’ha vinta. Il primo giorno vidi Milano ‘insudiciata’ dalla morte. Poi la notte calò e uno spettrale silenzio. L’indomani già Milano s’illimpidiva».
Ecco, Milano è sempre stata capace d’illimpidirsi. E questa mostra lo testimonia anche nell’allestimento: alla sezione dedicata alla guerra, dove tutto è nero e poco illuminato, segue quella dedicata alla rinascita, nella quale lo spazio appare invece bianco e luminoso.
In questa seconda sezione si viene accolti da una bella e lucente Lambretta del 1947. Poi immagini dei nuovi quartieri che sorgono negli anni Quaranta e Cinquanta: QT8, Quartiere Omero, Inganni, San Siro (dove ho la fortuna di abitare, in mezzo al verde). Vengono edificati nuovi palazzi e grattacieli, i quali -appena costruiti- appaiono limpidi, geometrici, funzionali, proiettati nel presente e nel futuro dell’architettura. La storia della ricostruzione diventa anche la storia del design milanese e italiano, la storia della fusione tra arte e arredamento.
Sono gli anni nei quali sorgono il Piccolo Teatro di via Rovello, i nuovi Musei, come la Galleria d’Arte Moderna, il Museo della Scienza e della Tecnica dedicato a Leonardo da Vinci, lo splendido Padiglione d’Arte Contemporanea. Tra gli altri edifici viene riedificato Palazzo Morando, sede di questa mostra.

Uscendo dal Palazzo si fa incontro il cuore della città. Uscendo poi dalla linea 5 della metropolitana (‘la lilla’), che mi riporta a casa, appare il complesso abitativo di via Harar, progettato dagli architetti Figini, Pollini e Ponti negli anni Cinquanta. Un’invenzione urbanistica -i cosiddetti ‘grattacieli orizzontali’- tra le più funzionali e antropologicamente gentili che siano state realizzate nel Novecento.
Una mostra ricca e molto bella che i milanesi non dovrebbero perdere e chi ama la città dovrebbe gustare. L’antica Aurelia Augusta Mediolanum, capitale dell’Impero dal 286 al 402: l’orgoglioso Comune che si oppose agli Hohenstaufen; l’inquieta città descritta da Manzoni nel romanzo, legata fortemente al suo territorio; la protagonista del Risorgimento; la città bombardata e rinata, la metropoli borghese e quella attuale -che affronta la non facile ricerca di un equilibrio tra le nuove etnie che sono venute ad abitarla e il suo antico cuore europeo- è una città viva, nonostante tutto. Chi, come me, l’ha scelta, la ama e cerca di viverla sino in fondo, non può non riconoscere che, ben al di là dei luoghi comuni negativi di cui è vittima, Milano è una donna dalla bellezza discreta, ricca di tesori architettonici e urbanistici tra i più importanti d’Europa, capace di regalare nuove scoperte, giardini, case, angoli di intimo splendore. La condizione per gustare tale dono è, naturalmente, che si sia disposti a scoprire il suo fascino sottile, non immediatamente visibile ma anche per questo coinvolgente e profondo.

Architettura

Made in Europe 1988-2013
Milano – Palazzo della Triennale
Sino all’8 gennaio 2017

Venticinque anni di progetti esposti e premiati dalla Fondazione Mies van der Rohe di Barcellona. Una grande varietà di soluzioni -estetiche, tecniche, concettuali- al bisogno dell’abitare umano.
Anche nell’ultima edizione sono stati presentati centinaia di progetti da e per tutti i Paesi d’Europa. Li documentano modellini, fotografie, filmati che ritraggono e descrivono abitazioni civili, piazze, musei (magnificamente antico e nuovo quello di Ravensburg, Germania, come si vede dalla foto qui in alto), ristoranti, moschee, crematori, asili infantili, ospedali, sale da concerto, sedi universitarie, piazze, parchi urbani, l’ampio splendido lungomare di Thessaloniki, enoteche, stazioni ferroviarie.
Anche i materiali sono i più vari: vetro, pietra, ferro, trasparenze, legno, acciaio. I risultati sono molto diversi e spesso suggestivi. Alcuni sono rispettosi dell’esistente -i migliori, naturalmente-, altri meno o per nulla. Emerge la fecondità della grande lezione del Bauhaus, la sua semplicità, la chiarezza, la funzionalità, la luce. Un solo esempio: gli appartamenti costruiti nel 2001 alla Giudecca di Venezia.
Architettura e Filosofia sono lo stesso sapere declinato nello spazio e nel tempo. L’architettura consente di abitare i luoghi, la filosofia di vivere gli istanti. La filosofia è vita pensata, l’architettura è tempo abitato. Entrambe aiutano gli umani a dimorare nello spaziotempo, a illuminarne il divenire, a concepirne la forma.
L’architettura è uno degli elementi più profondi e peculiari di un Continente fatto di identità e differenza. In questa mostra l’Europa -uno dei miei grandi amori- emerge nell’arte che la intesse, nel pensiero che l’attraversa, nella bellezza che la segna, nell’intimità dei suoi spazi, sempre raccolti rispetto alla dismisura asiatica o americana. Ovunque in Europa ci si sente a casa e ogni volta in un luogo sempre nuovo. Identità e differenza.

Don Giovanni / Il teatro

Piccolo Teatro Grassi – Milano
Elvira
(Elvire Jouvet 40)
di Brigitte Jaques – da Molière e la commedia classica di Louis Jouvet
Traduzione: Giuseppe Montesano
Con: Toni Servillo, Petra Valentini, Francesco Marino, Davide Cirri
Regia di Toni Servillo
Coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatri Uniti
Sino al 18 dicembre 2016

Il legame di Toni Servillo con Louis Jouvet è fatto di ammirazione, gratitudine, continuità. Ammirazione per il modo assoluto con cui questo attore, vissuto tra il 1887 e il 1951, intende il recitare; gratitudine per ciò che da lui ha imparato; continuità per la presenza costante dei suoi insegnamenti in ogni battuta e in ogni gesto di Servillo.
Per Jouvet e Servillo gli attori devono sapere «che quando si misurano con un testo si confrontano con un materiale poetico, che essi stessi devono diventare poesia vivente» (Programma di sala, p. 10). E poesia sono anche le lezioni che Jouvet impartì a una giovane attrice tra il 14 febbraio e il 21 settembre del 1940 a Parigi. Lezioni dedicate all’atto IV, scena 6 del Don Giovanni di Molière, nel quale Elvira incontra per l’ultima volta Don Giovanni, chiedendogli di redimersi, di salvarsi. Queste lezioni vennero stenografate da Charlotte Delbo e trasformate nel 1986 da Brigitte Jacques in un testo che Servillo ha messo in scena con la dedizione e la stupefacente bravura di chi abbandona totalmente i personaggi cinematografici che gli hanno dato fama, per concentrarsi in modo direi ascetico sull’essenza del teatro.
Nelle sue lezioni Jouvet rimprovera l’allieva per il suo ‘sentirsi bene’, dicendole: «Ogni volta che avete la sensazione che una cosa vi viene facile, parlo di una cosa ottenuta senza sforzo, questo non è bene. L’esecuzione di una parte, quale che sia, comporta sempre qualcosa di difficile, di doloroso, qualcosa a cui deve prendere parte uno sforzo» (p. 46). Una riflessione drammaturgica che in Servillo diventa anche meditazione civile: «Siamo vittime, in questo Paese, negli ultimi trent’anni, di una cultura che ha messo al centro il modello della mediocrità. Si crede che tutto sia facilmente raggiungibile» (p. 14).
Ma più a fondo, più a fondo si pone il teatro rispetto a ogni contingenza storica. Il teatro è da sempre una struttura asintotica, che si avvicina all’infinito al suo obiettivo senza mai riuscire a coglierlo. Una frase detta da Jouvet all’attrice ne è segno: «In questo passo c’è qualcosa di sconvolgente, a cui non arrivi» (p, 51). Nella vita c’è qualcosa di sconvolgente, di antico, di enigmatico, a cui non arriviamo. La cultura è un tentativo di venirne a capo, un tentativo di comprendere nel duplice senso del capire e del portar dentro.
«Jouvet ha messo in parallelo il mistero di Don Giovanni col mistero della recitazione» (p. 11), afferma ancora Servillo. Don Giovanni è l’asintoto, è la metafora, è il sogno, è l’abbandono, è la pienezza, è la menzogna, è la verità. Don Giovanni è il teatro.

Cangianti forme

Metamòrphosis.
Saba Masoumian e i vincitori del premio Arti Visive San Fedele

Milano – Galleria San Fedele
Sino al 16 dicembre 2016

Le Scatole di Saba Masoumian sono ambienti domestici in miniatura, nei quali il degrado, l’umido, lo sporco sono quasi insostenibili ed esprimono paure, traumi, antichi incubi. Il rosso di un paio di scarpe con il tacco sta accanto al rosso di un animale appeso nella doccia. La metamorfosi della vita in sguardo senza luce.
Amedeo Abello fotografa umani allo specchio, dove si fatica a trovare anime. Due grandi foto raccontano invece un viandante immerso dentro un bosco, sempre più una sola cosa con esso.
Le fotografie di Iacopo Pasqui sono la metamorfosi del bianco in luce. La Majella vi appare davvero come la Montagna Madre dell’Abruzzo. Una dea enorme, abbagliante, solida, semprica. Alla quale si affianca e contrappone un uomo che si avvia verso il mare. Piatto, uniforme, disabitato, sempre uguale. Le cangianti forme non mutano la radicale solitudine dei viventi.
Matilde Piazzi accosta ritratti di persone con immagini di luoghi, trovandone e indicandone la somiglianza. Che a volte è netta, impressionante. E poi leggende, guerra, totem, riviste, canti, devozioni, alchimia, simboli, paure, musiche. La metamorfosi di tutto in tutto è profonda. È il tempo signore.

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