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Paura

L’apparizione
(L’apparition)
di Xavier Giannoli
Francia, 2018
Con: Galatéa Bellugi (Anna), Vincent Lindon (Jacques Mayano), Patrick d’Assumçao (Padre Borrodine), Anatole Taubman (Anton Meyer)
Trailer del film

Una commissione istituita dal Vaticano indaga sulle presunte apparizioni della Madonna in un paesino del Sud della Francia, diventato naturalmente meta di pellegrinaggi, televisioni, gadget e mercanti. A coordinare i lavori della commissione canonica viene chiamato un laico, un giornalista appena tornato dalle guerre del Vicino Oriente e angosciato per la morte del fotografo con il quale ha lavorato per decenni. Jacques accetta e a poco a poco entra nel labirinto di passioni, segreti, illusioni, macchinazioni, sincerità e paure in cui consistono le apparizioni.
Paura è una parola che nel film ritorna con regolarità. «Non avere paura» è ciò che la Madonna dice ad Anna nella prima apparizione alla ragazza. Paura è ciò che sussulta a ogni istante. Paure diverse, opposte e convergenti. È questa l’intuizione più profonda di un film per tre quarti abbastanza coinvolgente ma che naufraga nel finale, dove non sa in che modo concludere e sceglie l’opzione più confusa, inverosimile e sentimentale.
La paura invece è reale. È la fonte di molto sentimento religioso. È il capitale sul quale chiese e sette di ogni genere basano la propria ricchezza. La paura del morire, anzitutto. Di questa cosa che proprio non accettiamo, credendoci degni di una durata illimitata. Una pretesa non confinata certo alle chiese tradizionali e che muove ad esempio movimenti come i transumanisti e gli estropiani, i quali sostengono tesi siffatte:
«Gli estropici (extropians) perseguono il continuo miglioramento personale, nonché della cultura e dell’ambiente in cui vivono. Vogliamo migliorarci sul piano fisico, intellettuale e psicologico. Per noi è importante che la ricerca di nuova conoscenza sia un processo continuo. Gli estropici rifiutano l’idea che la natura umana debba essere lasciata sostanzialmente invariata per evitare di contraddire il ‘volere divino’ o per evitare di andare ‘contro natura’. Come gli umanisti, che sono nostri cugini dal punto di vista filosofico, sosteniamo il progresso su tutti i fronti. Ci spingiamo poi ben oltre le proposte umaniste per quanto riguarda le alterazioni della natura umana da noi volute per raggiungere tale progresso. Mettiamo in discussione i limiti imposti al nostro progresso ed alle nostre potenzialità da tradizione, biologia, genetica e cultura […]  L’estropianesimo è una filosofia transumanista. I Principi Estropici descrivono una specifica versione del pensiero transumanista. Come gli umanisti, i transumanisti sono per la ragione, il progresso ed i valori centrati sul proprio benessere, piuttosto che su di una autorità religiosa esterna. I transumanisti spingono l’umanesimo verso la sfida alle limitazioni della specie umana con l’uso di scienza, tecnologia, creatività e pensiero critico. Noi sfidiamo l’inevitabilità dell’invecchiamento e della morte».
Il brano è citato da Selenia Anastasi nel primo capitolo della tesi che sta preparando, dal titolo Per un’etica del Transumanesimo, nella quale giustamente osserva che «l’idea della morte, l’idea di trascendere una condizione di limitatezza temporale e spaziale, le promesse di eternità spirituale delle religioni, esercitano su noi umani un fascino innegabile». Quelle degli estropiani sono infatti affermazioni veramente emblematiche della dismisura umanista e antropocentrica che caratterizza movimenti antichi e contemporanei i quali pongono al centro della φύσις l’umano, la sua natura, il suo destino, come se esso avesse un valore e una funzione ontologica intrinsecamente diversi rispetto a ogni ente destinato a finire.
Questa paura fondamentale si esprime e diventa -nel film e nelle esistenze individuali e collettive- paura del corpo, paura dell’autorità, paura della solitudine, paura dell’ignoto dentro cui dobbiamo pur abitare. Tutto ciò che a tale paura dia un poco di sollievo viene dagli umani bramato e accolto. Da qui il profluvio di libri sacri (la Bibbia ebraico-cristiana è uno dei più famosi e discutibili), di etiche, di organizzazioni, di ricatti, di apparizioni della Grande Madre (capace di dare la vita e di dare la morte), di un contatto purchessia con una qualche certezza sul destino unico, grande, felice dell’umanità e di ogni suo sparuto rappresentante.
Paure naturali ma che ci perdono, che dissolvono la vita nel pulviscolo delle angosce presenti e future. La filosofia è anche il modo più libero ed equilibrato di affrontare tali paure e, se possibile, vincerle.

La Madonna

Troppa grazia
di Gianni Zanasi
Italia, Spagna, Grecia, 2018
Con Alba Rohrwacher (Lucia), Hadas Yaron (la Madonna), Elio Germano (Arturo), Giuseppe Battiston (Paolo), Rosa Vannucci (Rosa)
Trailer del film

Un meteorite, una stella, una luce cade sulla campagna dolce e solitaria. Una bambina assiste insieme alla madre a questa pienezza. Molti anni dopo Lucia, diventata geometra e molto pignola, viene incaricata da un sindaco e da una impresa di costruzioni chiaramente corrotti di realizzare la mappatura di quel campo. Lucia si accorge che nelle rilevazioni c’è qualcosa che non va ma non sa spiegarsi che cosa sia. Mentre insieme a un collega lavora su quel campo, vede una donna che ha tutta l’aria di una profuga e parla una strana lingua. Cerca qualche soldo da darle ma non la vede più. La incontra di nuovo in mezzo alla strada mentre di notte torna a casa e poi di nuovo quando a casa è arrivata. La donna le dice di essere «la madre di Dio». Lucia è terrorizzata, fugge con la figlia Rosa da un’amica, va da uno psichiatra, cerca conforto dal padre. Ma la donna, implacabile, le ripete che su quel campo devono costruire non il centro commerciale progettato dal Comune e dall’impresa edile ma una chiesa. Alla risposta di Lucia, «No, mi dispiace. Io non costruisco chiese», la donna comincia un corpo a corpo con Lucia, picchiandola, abbattendola, mostrando una forza con la quale l’umano non può combattere. Il film si chiude su altre luci.
Una Madonna molto fisica, determinata, immersa nelle passioni umane e nello stesso tempo da esse distante. Con uno sguardo dolce e duro che non ammette repliche. E che entra nel quotidiano degli umani, con la sua stranezza e la sua forza, per opporsi alla profanazione dei luoghi, delle memorie, del tempo. Una bella dea pagana, insomma. Benvenuta tra noi, Maria! 

Nora / Matriarcato

Teatro Franco Parenti – Milano
Una casa di bambola
di Henrik Ibsen
Con Filippo Timi, Marina Rocco, Mariella Valentini, Andrea Soffiantini, Marco De Bella, Angelica Gavinelli, Elena Orsini, Paola Senatore
Traduzione, adattamento e regia di Andrée Ruth Shammah
Sino al 24 febbraio 2016

Casa_di_bambolaLa bambolina Nora è in realtà la vera regista della casa, colei che guida le relazioni, che le sceglie, che seduce, che agisce, che nasconde e che rivela. Nora costituisce uno dei più nascosti e dissimulati ma chiarissimi esempi della potenza della donna, di fronte alla quale il potere del maschio è quello di un principe consorte che però si illude di essere lui il sovrano.
Davvero efficace e disvelatrice la scelta di affidare allo stesso attore -un eccellente Filippo Timi- i tre ruoli maschili. Non si tratta infatti qui del marito, dell’amico, del nemico ma semplicemente del maschio, le cui figure sono intercambiabili e sempre sottoposte alla potenza femminile.
L’esplicita critica di Ibsen ai criteri etici e sociali borghesi si trasforma lentamente e inesorabilmente in un riconoscimento del matriarcato nascosto che rimane al fondo delle società cristiane; queste soltanto, infatti, hanno potuto concepire l’idea di una donna «Madre di Dio» che non fosse essa stessa una dea.
Una forza quindi che in origine era inferiore diventa l’oggetto di un culto molteplice e pervasivo che sovrasta e oscura quello della ben più ardua -teologicamente- Trinità. «Donna, se’ tanto grande e tanto vali, / che qual vuol grazia e a te non ricorre, / sua disïanza vuol volar sanz’ali» (Paradiso, XXXIII, 13-15). Nel testo di Ibsen la metafora delle ali ricorre spesso. Alla fine «l’allodoletta» prende il volo da sola e il suo maschio rimane a terra, affranto e poveretto.

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