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Del sempre

Davide Susanetti
Il simbolo nell’anima
La ricerca di sé e le vie della tradizione platonica
Carocci 2020
Pagine 173

Il mondo antico, le civiltà, le culture, i testi e i riti mediterranei, la sapienza dell’umano, dell’intero e del mondo, si pongono oltre ogni dualismo tra lo spirito e la materia, tra l’anima e il corpo.
Il loro apprendimento va dunque oltre il pur necessario rigore storico e filologico, per «procedere alla ricerca di un pensiero vivente, che crea e riplasma incessantemente i mondi» (p. 12); va oltre le illusioni di un bene e di un male assoluti; va oltre il presente e la sua banale potenza d’esserci, per cercare di attingere invece le radici e le forme del sempre.
Del sempre come tempo nel quale ogni comprensione è anche azione, ogni teoria è anche un fare. Del sempre come molteplicità di strade, itinerari e credenze; come ricchezza incomprimibile di principi, luoghi, simboli.
Tra questi, nel mondo antico, Delfi. Uno spazio dove agiscono forze impalpabili, sottili ma evidenti. Dove «tutto diviene suprema unità e presenza assoluta. Là cielo e terra, uomini e dei, storia e natura, passato, presente e futuro paiono coagularsi, con inatteso e sorprendente prodigio, in un unico magico punto che offre, alle anime ricettive, la percezione del principio di ogni cosa. Un punto in cui due linee invisibili s’intersecano: il tracciato orizzontale del divenire e la verticale luminosa dell’essere» (13). Essere e divenire che non sono, ancora una volta, due ma costituiscono l’unità molteplice della materia dalla quale tutto sgorga, nella quale tutto sta e tutto insieme diviene.
Un testo chiave che si immerge in tali dinamiche e di esse cerca di rendere conto è Timeo, nel quale l’essere appare come fatto di un’identità immutabile e incorruttibile e della differenza che suddivide, trasforma, moltiplica, produce, fa. In un movimento circolare che è «il moto del tutto, nella duplice intersezione del cerchio del diverso e dell’identico» (143).
I simboli nei quali e con i quali l’intera cultura greca, compreso il neoplatonismo, intese tutto questo sono i nomi di Ecate, Rea, Cibele.
Ecate è la signora della notte e della luna, è madre feconda ed è insieme vergine, è mediatrice tra i mondi superiori e inferiori. L’asiatica Cibele e l’ellenica Rea sono la stessa titana generata da Gea e Uranos, dalla Terra e dal Cielo e dunque Cibele/Rea è la Grande Madre di tutti gli dèi, ai quali Plotino, Giuliano, Sinesio, Proclo dedicarono le loro azioni, i riti, gli inni.
Uno di questi, composto da Proclo, canta la vita umana come un nulla che diventa qualcosa soltanto perché coniugato alle forze profonde del cosmo, al di là dei «tenebrosi recessi della caduta», delle «fredde onde della nascita»  (Inno 4, A tutti gli dèi, vv. 5 e 14), per diventare «una pura scintilla di luce, / una scintilla che dissolva la nebbia» (Ivi, vv. 7-8; qui a p. 152).

Paura

L’apparizione
(L’apparition)
di Xavier Giannoli
Francia, 2018
Con: Galatéa Bellugi (Anna), Vincent Lindon (Jacques Mayano), Patrick d’Assumçao (Padre Borrodine), Anatole Taubman (Anton Meyer)
Trailer del film

Una commissione istituita dal Vaticano indaga sulle presunte apparizioni della Madonna in un paesino del Sud della Francia, diventato naturalmente meta di pellegrinaggi, televisioni, gadget e mercanti. A coordinare i lavori della commissione canonica viene chiamato un laico, un giornalista appena tornato dalle guerre del Vicino Oriente e angosciato per la morte del fotografo con il quale ha lavorato per decenni. Jacques accetta e a poco a poco entra nel labirinto di passioni, segreti, illusioni, macchinazioni, sincerità e paure in cui consistono le apparizioni.
Paura è una parola che nel film ritorna con regolarità. «Non avere paura» è ciò che la Madonna dice ad Anna nella prima apparizione alla ragazza. Paura è ciò che sussulta a ogni istante. Paure diverse, opposte e convergenti. È questa l’intuizione più profonda di un film per tre quarti abbastanza coinvolgente ma che naufraga nel finale, dove non sa in che modo concludere e sceglie l’opzione più confusa, inverosimile e sentimentale.
La paura invece è reale. È la fonte di molto sentimento religioso. È il capitale sul quale chiese e sette di ogni genere basano la propria ricchezza. La paura del morire, anzitutto. Di questa cosa che proprio non accettiamo, credendoci degni di una durata illimitata. Una pretesa non confinata certo alle chiese tradizionali e che muove ad esempio movimenti come i transumanisti e gli estropiani, i quali sostengono tesi siffatte:
«Gli estropici (extropians) perseguono il continuo miglioramento personale, nonché della cultura e dell’ambiente in cui vivono. Vogliamo migliorarci sul piano fisico, intellettuale e psicologico. Per noi è importante che la ricerca di nuova conoscenza sia un processo continuo. Gli estropici rifiutano l’idea che la natura umana debba essere lasciata sostanzialmente invariata per evitare di contraddire il ‘volere divino’ o per evitare di andare ‘contro natura’. Come gli umanisti, che sono nostri cugini dal punto di vista filosofico, sosteniamo il progresso su tutti i fronti. Ci spingiamo poi ben oltre le proposte umaniste per quanto riguarda le alterazioni della natura umana da noi volute per raggiungere tale progresso. Mettiamo in discussione i limiti imposti al nostro progresso ed alle nostre potenzialità da tradizione, biologia, genetica e cultura […]  L’estropianesimo è una filosofia transumanista. I Principi Estropici descrivono una specifica versione del pensiero transumanista. Come gli umanisti, i transumanisti sono per la ragione, il progresso ed i valori centrati sul proprio benessere, piuttosto che su di una autorità religiosa esterna. I transumanisti spingono l’umanesimo verso la sfida alle limitazioni della specie umana con l’uso di scienza, tecnologia, creatività e pensiero critico. Noi sfidiamo l’inevitabilità dell’invecchiamento e della morte».
Il brano è citato da Selenia Anastasi nel primo capitolo della tesi che sta preparando, dal titolo Per un’etica del Transumanesimo, nella quale giustamente osserva che «l’idea della morte, l’idea di trascendere una condizione di limitatezza temporale e spaziale, le promesse di eternità spirituale delle religioni, esercitano su noi umani un fascino innegabile». Quelle degli estropiani sono infatti affermazioni veramente emblematiche della dismisura umanista e antropocentrica che caratterizza movimenti antichi e contemporanei i quali pongono al centro della φύσις l’umano, la sua natura, il suo destino, come se esso avesse un valore e una funzione ontologica intrinsecamente diversi rispetto a ogni ente destinato a finire.
Questa paura fondamentale si esprime e diventa -nel film e nelle esistenze individuali e collettive- paura del corpo, paura dell’autorità, paura della solitudine, paura dell’ignoto dentro cui dobbiamo pur abitare. Tutto ciò che a tale paura dia un poco di sollievo viene dagli umani bramato e accolto. Da qui il profluvio di libri sacri (la Bibbia ebraico-cristiana è uno dei più famosi e discutibili), di etiche, di organizzazioni, di ricatti, di apparizioni della Grande Madre (capace di dare la vita e di dare la morte), di un contatto purchessia con una qualche certezza sul destino unico, grande, felice dell’umanità e di ogni suo sparuto rappresentante.
Paure naturali ma che ci perdono, che dissolvono la vita nel pulviscolo delle angosce presenti e future. La filosofia è anche il modo più libero ed equilibrato di affrontare tali paure e, se possibile, vincerle.

Paganesimi

Ho inserito su Dropbox il file audio (ascoltabile e scaricabile sui propri dispositivi) della conversazione svolta lo scorso primo ottobre a Lercara Friddi, dal titolo Vivere con pienezza: per una spiritualità pagana.
La registrazione dura un’ora e trenta minuti. I principali temi dei quali abbiamo discusso sono: i libri e gli alberi; il Credo dei cattolici e la sostanza aristotelica; i santi e la Grande Madre; il politeismo cristiano; differenza contro invidia; astrologia e new age; il sacro e il divino; l’unità del cosmo e la molteplicità degli dèi che lo abitano; il corpo; «Le cose che mai avvennero e sempre sono»; Delphi; il chiasmo Apollo/Dioniso; I miti greci di Robert Graves; la Sicilia pagana. E infine l’intenso dialogo con gli amici che hanno partecipato a questa lezione 🙂
Il numero 167 della rivista Eléments (significativamente intitolato: «Di fronte ai fondamentalismi. La risposta politeistica») a p. 67 afferma giustamente che «par définition, le paganisme est pluriel. Polythéisme des valeurs, disait Max Weber. C’est une école de sagesse, un art d’habiter la terre et d’en magnifier la beauté, une prédisposition à l’émerveillement, une façon de peupler la solitude cosmique».
Ecco perché paganesimi, al plurale.

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