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Sul nichilismo politico-sanitario

Ho il piacere di condividere una testimonianza audio della bella esperienza che ho vissuto a Firenze lo scorso 19 febbraio, invitato dall’Osservatorio permanente sulla contemporaneità a tenere un incontro sulle radici e sulle dinamiche dell’epidemia Covid19.
L’ho fatto nel cuore della città, in un antico palazzo dove ho parlato in una modalità che non accadeva dal marzo del 2020, data dell’ultima vera lezione che ho svolto presso il Dipartimento di Catania nel quale insegno. Ricordo gli studenti l’uno accanto all’altro nell’aula, alcuni seduti a terra, nessuno -ovviamente- con maschere addosso. Lo scambio degli occhi, i volti che parlano, i sorrisi, il moto degli zigomi coerenti con il movimento degli occhi, la serenità, la libertà. E insieme a tutto questo una competenza e lucidità testimoniate da quasi quaranta minuti di dialogo con colleghi, studenti, cittadini (quest’ultima parte non è riportata nel file che allego). La presentazione è della Prof. Roberta Lanfredini, ordinario di Filosofia teoretica nell’Università di Firenze.
Durante la lezione ho fatto due sole citazioni, una dalla Politica di Aristotele, l’altra da Ivan Illich: «Quando tutta una società si organizza in funzione di una caccia preventiva alle malattie, la diagnosi assume allora i caratteri di una epidemia. Questo strumento tronfio della cultura terapeutica tramuta l’indipendenza della normale persona sana in una forma intollerabile di devianza. […] L’individuo è subordinato alle superiori ‘esigenze’ del tutto, le misure preventive diventano obbligatorie, e il diritto del paziente a negare il consenso alla propria cura si vanifica allorché il medico sostiene ch’egli deve sottoporsi alla diagnosi non potendo la società permettersi il peso d’interventi curativi che sarebbero ancora più costosi» (Nemesi medica. L’espropriazione della salute [Limits to medicine-Medical Nemesis: the expropriation of health, 1976], trad. di D. Barbone, Red!,  2021, pp. 81-82).
Aggiungo qui, dallo stesso testo, una affermazione altrettanto lucida e profetica: «Ormai il cittadino, finché non si prova che è sano, si presume che sia malato. […] Risultato: una società morbosa che chiede una medicalizzazione universale, e un’istituzione medica che attesta una universale morbosità» (pp. 96-97).

 

Contro l’irrazionalismo

Su invito dell’Osservatorio permanente sulla contemporaneità, sabato 19.2.2022 alle 11,30 nel Palazzo Tolomei di Firenze (Via De Ginori, 19) terrò un incontro dal titolo Nella luce di un virus.
Questo l’abstract del mio intervento.

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L’epidemia Sars-Cov2, ciò che scatena nel corpo collettivo, è una forma sempre più evidente di nichilismo, di nascondimento dei volti, di dissoluzione della socialità, di timore diffuso e contagioso, di ignoranza dei corpi, di tramonto del senso, di declino della razionalità, di ubbidienza fanatica, di rifiuto del limite, di negazione della insecuritas, di terrore. È questa la follia del presente, è questo il cuore nero della desacralizzazione del mondo, lo sgomento per la sua misura mortale e finita.
A chi osserva senza pregiudizi dovrebbero risultare evidenti:
-la funzione politica che il virus sta svolgendo;
-l’accelerazione imposta ai processi di dematerializzazione;
-gli enormi interessi economici in gioco da parte delle piattaforme;
-il ritorno a un ‘positivismo’ così rozzo da non meritare neppure la denominazione comtiana;
-l’infantilizzazione del corpo sociale;
-il dilagare dell’ignoranza come frutto della chiusura e dell’impoverimento delle aule scolastiche e universitarie;
-la cancellazione del significato stesso del vivere e del morire.

Il virus disvela tutto questo. Esso ci aiuta a comprendere il potere pressoché assoluto dell’informazione in mano alle grandi potenze economico-finanziarie. E ci aiuta soprattutto a comprendere quanto tremanti siano diventati gli umani, pronti a rinunciare alle libertà e alla razionalità, indipendentemente dal loro grado di istruzione, di ricchezza economica, età e condizione. Abbiamo il privilegio, per dir così, di assistere con i nostri occhi a degli eventi politicamente e antropologicamente epocali. Che ci insegnano, che devono, insegnarci, saggezza e sapienza, φρόνησις e σοφία.
In ogni caso non prevarranno, la tirannide si spezzerà, come sempre è accaduto nella storia. E chi avrà resistito a questa ondata di irrazionalismo avrà contribuito a portare alla luce quanto di più inquietante abita dentro l’umano.
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[Registrazione audio di una parte dell’incontro]

Silvia

Renzo Zenobi
Silvia
 (mp3)
(1975)

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Una poesia struggente, malinconica, distante, profonda, temporale.
Versi ermetici nati dentro una musica colma di dolcezza.

La canzone di Zenobi mi ha ricordato che una volta, secoli fa, scrissi a una donna questo: «Sei un sorriso che ubriaca persino i campi distesi delle viti».

Tutto su un tramonto viola acceso
Con il tè sopra Firenze
Nuovi giorni prometteva aprile
Cerchi di limone alle colline
Il tuo glicine sognava
Nodi di mare sulle nostre dita

Silvia, ti ricordi la commedia
Recitata ad un sorriso
La mia voce si accordava lenta
E Beato Angelico negli occhi
E mio padre nel cervello
Essenza di ambra
Consolava il mio mantello

Il fuoco di quercia triste
Mi guardava con occhi saggi
Da domani un’altra storia
E un’altra faccia
Fra i suoi legni
Ed ancora un Giorgione
Sopra il letto non ha
Svegliato i sogni

Piove piano sopra terra scura
E un cipresso maschio e canne
Si corteggiano con suoni di foglie
Dolce latte aumenta la coscienza
Soffia via la mente adulta
Da un cappa sale sopra il fumo

Silvia, ti ricordi la paura
Tanta gente dietro i vetri
E nessuno ti gettava un fiore
E la rabbia ormai non ha più voce
Lascia il posto a indifferenza
Suona forte se non torna
La pazienza

Che strano, con il mattino
Le montagne sono di sabbia
E non sapere dove volare
Non vuol dire
Sei senza amore
Ed ancora il mio nome
Puoi usarlo
Per un ventaglio al sole

Stanco di lottare contro il bianco
Il tuo glicine si è arreso
E sulle palme adesso è già l’inverno
La licenza è quasi terminata
La stazione e il mio maglione
La domenica è già consumata

Silvia, benedetta la tua mano
Calda al vento in tramontana
Fresca per le fronti di fatica
La Toscana ha vinto, ha già rubato
I tuoi occhi ai suoi colori e cavalchi
Ad una caccia fra le monete
Nella mia tasca.

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