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Contro il gregge

Aldous, o del presente
Aldous, 2 agosto 2022

Nel Nuovo Mondo di Huxley si ha il «dovere di essere infantili» e lo strumento principale per riuscirci – oltre la droga – è la televisione che «si lasciava funzionare, come un rubinetto aperto, dalla mattina alla sera». Il mezzo televisivo, infatti, non comunica qualcosa di vero o di falso ma, semplicemente, di irreale, di insignificante. Il Nuovo Mondo è l’«Era del Vizio Televisivo», con gli umani trasformati da carne da cannone in «carne da televisione». Nel Nuovo Mondo il vero e unico nemico è la persona capace di pensare al di là ed eventualmente contro i decisori politici, le celebrità mediatiche, coloro che hanno ridotto il sapere scientifico, tecnico, medico a dogma, minaccia, religione.
Televisione, infantilismo, conformismo; un’esistenza del tutto in superficie e volta a impedire qualsiasi anche piccolo “trauma psicologico”; il culto del nuovo e la negazione del passato; il disprezzo per la creatività e per il sapere a favore del “saper fare”; i libri sostituiti dalle immagini e dal consumo di inutili prodotti e miriadi di “distrazioni”; l’appartenere a una qualche forma di collettivo alla moda; la paura di star soli; l’adesione spontanea alle minacce, alle lusinghe e alle decisioni di chi comanda.
Giustamente, Huxley definisce tutto questo «avvelenamento da gregge».

[L’articolo è stato ripreso da Sinistrainrete, 4.8.2022]

El Paso

Il corriere – The Mule
di Clint Eastwood
USA, 2018
Con: Clint Eastwood (Leo Sharp), Bradley Cooper (Colin Bates), Dianne Wiest (Mary), Alison Eastwood (Iris), Taissa Farmiga (Ginny)
Trailer del film

Un attore, un regista, un cittadino statunitense e però capace di una eleganza, profondità e misura europee. Anche questo fa l’identità di Clint Eastwood, che offre il proprio corpo di ottantottenne alla vicenda di un floricultore che ha dedicato l’intera esistenza a una sola specie di fiore, che per questo ha trascurato moglie e figlia, che viene rovinato dal commercio on line e che, senza porre troppe domande a chi gli offre un nuovo lavoro, accetta di attraversare gli States da El Paso (Texas) a Chicago (Illinois). Migliaia di chilometri senza una multa, senza un problema. La merce che trasporta è cocaina, quintali di cocaina che lo rendono agiato tanto da finanziare gli studi e il matrimonio della nipote, la riapertura di un pub per reduci di guerra, il riacquisto della propria azienda. Sino a quando gli dèi glielo concedono.
Eastwood biasima il commercio su Internet, la patologia della connessione continua e della dipendenza dai cellulari, persino la violenza della polizia (in una scena molto significativa un automobilista latino fermato dai poliziotti dice per due volte «sono i cinque minuti più pericolosi della mia vita»). Chiama lesbiche le lesbiche, nigger i nigger e mangiafagioli i messicani. Un uomo, insomma, che può permettersi la libertà dalle buone maniere e dalle obbedienze politiche. Ma non è questa la cosa più importante. A fare di The Mule l’ennesimo classico di Eastwood sono il ritmo e la misura della narrazione. La vicenda è infatti ripetitiva e scontata ma il modo in cui viene raccontata scava nella miseria umana, nell’aggressività di questo animale e nella sua capacità di empatia. Anche tra criminali, anche tra la preda e il cacciatore.
Il corpo ormai piegato ma sempre bello di Eastwood detta la cadenza, el paso del racconto, lo rende lento, meditativo e a volte struggente, senza concedere troppo all’inevitabile sentimentalismo americano.
Il film si chiude su una battuta ovvia e sempre vera: «Con i soldi puoi acquistare tutto ma non puoi acquistare il tempo», il cui passo tranquillo e inesorabile è la vita stessa.

Malevite

Milano e la Mala
Storia criminale della città dalla rapina di via Osoppo a Vallanzasca
Milano – Palazzo Morando
A cura di Stefano Galli
Sino all’11 febbraio 2018

Di fronte alla ferocia dei singoli e delle società, si potrebbe dire che ogni essere umano è un criminale sino a prova contraria. Siamo infatti animali astuti, tenaci e raffinati. Animali capaci di una violenza che nessun’altra specie conosce e pratica. Perché alle ragioni comuni a tutto il mondo animale -procurarsi il cibo, possedere le femmine, difendere il territorio- l’Homo sapiens aggiunge in non pochi dei suoi membri il piacere che si prova nel vedere la sofferenza, l’angoscia, la disperazione disegnarsi sui volti e nei corpi dei propri simili. Una specie tremenda, insomma, che gli altri animali fanno bene a temere, cercando di tenersene alla larga.
Se posti nelle condizioni sociali, educative e culturali opportune, esponenti di questa specie trasformano la pratica della violenza, del sopruso, dell’arroganza, del furto e dell’assassinio nell’unica pensabile e possibile forma di esistenza. E nascono le bande, le camorre, le mafie, le male, come quella che caratterizzò Milano dal Secondo dopoguerra alla metà degli anni Ottanta del Novecento.

Questa interessantissima mostra racconta il lato oscuro della città mediante molte fotografie, documenti della questura, prime pagine dei giornali milanesi, oggetti e armi utilizzate dai criminali. I quali hanno subìto destini diversi ma tutti accomunati da un profondo squallore. Alcuni sono morti in carcere, come Luciano Liggio; altri in povertà, come Franco Restelli; alcuni uccisi per le strade, come Otello Onofri e Carlo D’Argento; altri trucidati in carcere, come Francis Turatello; qualcuno si è anche rassegnato, come Renato Vallanzasca che sconta i suoi ergastoli e lavora fuori dal carcere. Gli ultimi due compaiono nella foto qui sopra. Turatello fu massacrato nel carcere di Nuoro dal camorrista Pasquale Barra -autore di 67 omicidi- che per sfregio azzannò parte delle sue viscere. Esistenze inutili per chi le ha vissute e dannose per chi le ha incontrate.
A questi banditi, pullulati per lo più dal degrado culturale e dalla miseria economica, si aggiungono i criminali della finanza e i loro protettori politici, responsabili in vario modo della rovina e della morte di tante persone, tra le quali l’avvocato Giorgio Ambrosoli, che cercò di resistere alle lusinghe e alle minacce del banchiere Michele Sindona (poi avvelenato in carcere), personaggio che rappresentò il vero cuore nero dell’Italia di quei decenni. Sindona fu protetto dal Vaticano e da Giulio Andreotti. Entrò in competizione con Roberto Calvi (assassinato a Londra), Guido Carli (a lungo governatore della Banca d’Italia) ed Enrico Cuccia (regista di molte operazioni politiche e finanziarie del dopoguerra).

Tra le fonti di guadagno della mala milanese c’erano le bische clandestine e lo spaccio della droga.
Le bische non hanno più ragion d’essere, visto che lo Stato in prima persona è diventato il grande biscazziere che concede migliaia di licenze per le «macchine mangiasoldi» (Slot machines) e per i vari «gratta e vinci», il cui utilizzo frenetico e diffuso va rovinando moltissimi cittadini. Giocando con queste macchinette -legali e diffusissime- si possono perdere 1000 euro in meno di dieci minuti. Viva la legalità, verrebbe da dire.
Per quanto riguarda le droghe, dopo decenni di utilizzo e di spaccio (mi ricordo che su questo argomento scrissi un tema alle elementari, un po’ di tempo fa…) i loro effetti sono talmente noti a tutti che iniziare a farne uso è indice di pura -direi distillata- stupidità. Nessuna comprensione, quindi, per i tossici. Drogarsi significa elevare la demenza a padrona della propria vita. Sembra interessante, sulla questione, il recente saggio di Afshin Kaveh Fare di tutta l’erba un fascio. La spettacolarizzazione della droga  (Sensibili alle foglie, 2017), dal quale -secondo la sintesi che ne fa Gianpaolo Cherchi- si evince che «la droga è una sostanza intimamente fascista, una ‘Istituzione totale’ in cui la ‘cultura dello sballo’ è in grado di articolarsi e differenziarsi a seconda delle esigenze del mercato» (il manifesto, 1.2.2018)
Nella mostra si può anche leggere un dettagliato dizionario della Mala, il cui gergo è davvero efficace e mostra la pervasiva potenza del linguaggio in qualunque gruppo umano. Qualche esempio: Balordista, spacciatore di banconote false; Batteria, squadra di malviventi organizzati; Bidonista, truffatore; Boga, spia, confidente; Cabriolet, assegno scoperto utilizzato per delle truffe; Cantamessa, mitra; Caramba, carabiniere; Casché, furto con destrezza; Dannato, la persona rapinata; Dura, la rapina; Grattà, rubare; Lasagna, il portafogli; Madama, la polizia; Polenta, l’oro; Soffia, informatore della polizia; Volada, una rapina compiuta assai velocemente.

Sensazione / Ascesi

Domenica 9 giugno sono stato al cinema, a Catania. Come è ormai fastidiosa necessità, ho dovuto richiamare al silenzio un gruppo di persone: non degli adolescenti toppo vivaci ma alcuni maturi signori e signore tra i cinquanta e i sessanta anni. È la maleducazione, certo, ma è anche la consuetudine di vedere i film in televisione e di scambiarsi le opinioni sul film stesso o su altro. Il cinema vero, naturalmente, lo si gusta e percepisce soltanto nelle sale cinematografiche.
Ma non basta: davanti a me c’era un tizio che ha acceso almeno una dozzina di volte il suo cellulare per controllare qualcosa sulla propria pagina di facebook. Una vera addiction, una dipendenza grave, una droga che crea dei fenomeni di astinenza pari a quelli di qualunque altro stupefacente. Non è un caso che della sensazione sia parte la Sucht, parola che in tedesco indica insieme desiderio, passione, malattia, tossicodipendenza. Presente in quasi tutte le società umane, l’utilizzo delle droghe è diventato tossicodipendenza soltanto quando l’ebbrezza è stata separata dalla festa collettiva per diventare esperienza del singolo e quindi sua personale debolezza. Ma la sensazione è anche un’esperienza di ricchezza percettiva, intellettuale ed esistenziale; non è soltanto un sensazionale tanto più stordente quanto più psichedelico. La sensazione è lo stesso stare al mondo. Non è il televisivo oppio del popolo.
Ne abbiamo parlato quest’anno nel corso di Sociologia della cultura. E lo abbiamo fatto anche tramite un libro ricco e profondo come La società eccitata. Filosofia della sensazione di Christoph Türcke (Bollati Borighieri, 2012; ne ho accennato pure qui). Di fronte a fenomeni così pervasivi non si può secondo Türcke invitare all’astinenza ma piuttosto praticare un atteggiamento da “freno d’emergenza”, per citare il Benjamin (Sul concetto di storia, Einaudi 1977, p. 101) che alla rivoluzione come “locomotiva della storia universale” (Marx) contrapponeva le rivoluzioni come -appunto- freno d’emergenza del genere umano che sul treno della storia viaggia :

Sulle strade, nei centri commerciali, negli alberghi, nelle banche, nei luoghi di lavoro, ovunque uno, se vuole continuare a pensare con la propria testa, deve tentare di tirar su le paratie contro l’imperversare di imbonimenti e stimolazioni. […] Qualcosa di così poco importante come la decisione di tollerare o meno la musica di sfondo in un ristorante può diventare improvvisamente una questione di principio, una cartina di tornasole del coraggio civile. […] Il ricopiare testi e formule, che un tempo era il contrassegno del tutto comune della scuola repressiva, nelle condizioni dell’universale irrequietezza degli schermi, da cui anche le classi scolastiche sono sempre meno risparmiate, può diventare inaspettatamente una misura di concentrazione motoria, affettiva e mentale, di ingresso nella propria interiorità […] Insegnanti che prestano seriamente attenzione affinché non ci sia qui un sottodosaggio operano resistenza, per quanto in base alla terminologia politica tradizionale possano passare per conservatori. Dove ogni concessione al solleticamento mediatico dei sensi porta avanti l’autoespropriazione estetico-neurologica, là il tirare su delle paratie contro l’ininterrotta radiazione audiovisiva, equivale a prendere partito per la sensibilità dei sensi. Li mantiene aperti a un’esperienza conforme alle cose, diventa luogotenente del miglior godimento alternativo e porta nuovamente in luce il senso fondamentale dell’ascesi. […] Là dove essa diventa l’ultima ratio contro il vampirismo audiovisivo, si avvicina nuovamente al rimedio d’emergenza arcaico. (La società eccitata, pp. 331-332)

 

Les Fleurs

I fiori del male
(Les Fleurs du mal)
(1857-1868)
di Charles Baudelaire
Garzanti, 1978
Pagine XXIII-349

«Mais mon coeur, que j’amais ne visite l’extase» (L’irreparabile), eppure è tutta un’estasi questo canto notturno, ironico e fremente, che sembra precipitarsi verso il Nulla. Satana lodato e benedetto, padre delle tenebre e protettore dei disperati, è una maschera rovesciata del Dio che mai è stato; l’amore si trasforma in spettro; l’oppio e il vino diventano gli strumenti del nirvana. E il Tempo, il Tempo che precipita, annienta e purifica, è odiato dal poeta come l’immagine di un «dieu sinistre, effrayant, impassible» (L’orologio). «Amour…gloire…bonheur!» sono delle chimere e nonostante la magnificenza di alcuni paesaggi -«La gloire du soleil sur la mer violette, / La gloire des cités dans le soleil couchant»- la vera «chose capital» è «le spectacle ennuyeux de l’immortal péché». Il Baudelaire che loda San Pietro per aver rinnegato Gesù ha nel fondo il sentimento più desolato e irreparabile del peccato che involve l’umano sin dal suo apparire. E dunque disgusto, putrefazione, violenza, assassinio, illusioni, voluttà, maledizioni, demenza, oppio, «Tel est du glob entier l’éternél bullettin» (Il viaggio).
C’è tuttavia in questo libro l’affermazione decisa di un sì, l’affermazione della potenza dell’arte come unico «Inconnu» nel quale si possa «trouver du nouveau!» (Il viaggio). Così se «Lorsque, par un décret des puissances suprême, / Le Poëte apparaît en ce monde ennuyé» (Benedizione) l’universo intero sembra rifiutare questa creatura strana e insensata, tuttavia nel procedere dei tempi la poesia appare compagna e amica della vita, la bellezza splende come «unique reine» della mente e di quei pochi uomini che sanno ancora ascoltare la Terra sacra e maledetta (Inno alla bellezza).

La famiglia presa a pugni

The Fighter
di David O. Russel
Con: Mark Wahlberg (‘Irish’ Mickey Ward), Christian Bale (Dickie Eklund), Amy Adams (Charlene), Melissa Leo (Alice)
USA, 2010
Trailer del film

Cresciuti a Lowell, uno squallido borgo alla periferia di Boston, i due fratelli Mickey e Dickie si dedicano sin da bambini al pugilato. Dickie, il maggiore, brucia il proprio talento nel crack e nella galera ma rimane il punto di riferimento di Mickey, oltre che il suo allenatore. Entrambi sono sotto il controllo della determinata e terribile madre Alice, che fa loro da manager senza averne le capacità, e di altre sette sorelle. Quando Dickie incontra l’intelligente Charlene, comprende che se rimane dentro questa famiglia sanguisuga non potrà ottenere alcun risultato dal proprio impegno e dalle botte che continuamente prende sul ring. Tra rotture e riconciliazioni, la vittoria del titolo mondiale arriverà nella maniera più insperata. Il film si chiude con un breve video che ritrae i due veri fratelli che salutano gli spettatori.

Per chi non è interessato al pugilato, un film come questo potrebbe apparire noioso. E invece no. Perché insieme alle numerose e comunque coinvolgenti scene di combattimento, The Fighter scava nei desideri, nelle angosce, nella tenacia e nei fallimenti delle persone, qualunque sia il loro obiettivo. Dà anche un segnale di speranza mostrando la degradazione alla quale può arrivare un tossico ma anche il suo possibile riscatto. Gli attori partecipano con convinzione, soprattutto un eccellente Christian Bale nel ruolo dell’insopportabile ma anche determinante fratello. Prima del finale, il film si sfilaccia e perde un po’ del ritmo che lo sostiene ma rimane un’opera interessante soprattutto perché capace di descrivere un intero ambiente sociale attraverso la coralità che tutto la attraversa. Quando la famiglia ti abbraccia con troppa energia, il risultato può essere peggiore di un pugno.

Pestiamoli

Alcuni siti e quotidiani hanno pubblicato le fotografie di Stefano Cucchi, un tossico ammazzato dalle “forze dell’ordine” perché trovato in possesso di 20 grammi di hashish. Vari benpensanti ritengono che in fondo lui, come anche per esempio Aldo Branzino o Federico Aldrovandi, se la sia cercata; che se non vai in giro con la droga queste cose non ti succedono.
Sono sempre d’accordo con le persone per bene e quindi propongo di riservare il medesimo trattamento ai numerosi deputati, senatori, ministri o sottosegretari della Repubblica, amministratori pubblici, agiati e noti imprenditori privati, uomini e donne di spettacolo che utilizzano, comprano, cercano ogni giorno cocaina e analoghe sostanze, in questo modo alimentando il crimine. Pestiamoli, pestiamoli duro, pestiamoli sino a cavare loro il sangue. Se le cercano, no? E se poi vanno pure a puttane (“escort” o “trans” che siano) eviriamoli, così imparano.
Non sono soltanto servi e ladri, gli italiani, ma anche un popolo di ipocriti, ammirando nei potenti le stesse azioni che ai deboli costano la morte.

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