Skip to content


Le riviste

Il respiro delle riviste
in Dialoghi Mediterranei
n. 61, maggio-giugno 2023
pagine 156-161


Indice

-L’utilità e il danno del digitale per le riviste
-Riviste universitarie, il caso del CORIFI
-La valutazione (anche) delle riviste
-La valutazione come dispositivo politico
-Conclusione: il respiro del labirinto 

Il numero 61 di Dialoghi Mediterranei ha dedicato una sezione alle riviste scientifiche e di cultura, alla funzione che esse svolgono nel presente, ai rischi che scompaiano, alla possibilità che invece rafforzino il loro statuto di indispensabile luogo di dialogo, scienza e libertà.
Ho partecipato molto volentieri a questa discussione, con un testo nel quale ho cercato di indicare, appunto, «l’utilità e il danno del digitale per le riviste»; di accennare alla loro vicenda dal Settecento a oggi; di approfondire il caso delle riviste di area filosofica in Italia; di discutere della funzione che le riviste e la loro classificazione – scientifiche/non scientifiche; normali/di classe A – svolgono nell’attribuzione dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), vale a dire del requisito da alcuni anni indispensabile per accedere ai concorsi per diventare professore universitario.
Ho concluso citando un grande bibliotecario, Jorge Luis Borges, e ribadendo la convinzione che qualunque cosa accada, qualunque sia l’evoluzione, il destino, la metamorfosi dei libri e delle riviste nelle quali da secoli trova spazio, si esprime e si condensa la conoscenza che tentiamo del mondo e di noi stessi, in ogni caso la parola scritta, la parola pensata, rimane il respiro dell’umano, la sua condizione di vita, la sua nobiltà. 

Il corpo nello spazio

Carlo Traini. Il corpo nello spazio
in Gente di Fotografia. Rivista di cultura fotografica e immagini
anno XXIX – numero 80 – marzo 2023
pagine 62-67

‘Fèrmati dunque, sei così bello!’ sembra dire Carlo Traini al corpo umano. Corpo non sempre bello, anzi a volte sgraziato, obeso, anziano. Più spesso, certo, è un corpo giovane, muscoloso, desiderabile, forte. In ogni caso il fotografo lo osserva a lungo e con cura e poi lo ferma nell’istante in cui il corpo parla senza bisogno di proferire parola. A esprimersi è infatti il dinamismo dei corpi, il loro muoversi rapido nello spazio, il loro capovolgersi in verticale scattanti o in attesa di un pallone che arriva dal cielo, nelle capriole dentro le onde del mare, scrutando l’orizzonte nella luce, persino in un abbraccio sulla sdraio che sembra disegnare un ibrido, un androgino dalla testa di maschio e dal flessuoso e attraente corpo di femmina.
Un gesto d’intelligenza del fotografo è aver tradotto tutto questo in un limpido bianco e nero che ha depurato i corpi dall’eccesso di luce dell’estate, mantenendo in questo modo l’εἶδος, la loro essenza.

Matera

Un luogo abitato sin dal Paleolitico, per la sua posizione strategica e agevolmente difendibile; per la roccia calcarenite della quale è fatto, facilmente scavabile e lavorabile; per le terre che lo circondano. Un luogo dalla storia complessa e tragica, ricco nei secoli XVI e XVII e poi progressivamente immiserito sino alle condizioni davvero impensabili descritte da Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli  e da Rocco Scotellaro, il quale espresse la forza di questa terra e dei suoi abitanti nei versi di Sempre nuova è l’alba: «che all’ilare tempo della sera / s’acquieti il nostro vento disperato. / Spuntano ai pali ancora / le teste dei briganti, e la caverna – / l’oasi verde della triste speranza – lindo conserva un guanciale di pietra…».
Parole che descrivono e cantano l’identità di Matera e in generale della Lucania, identità che in questa città si raggruma. Di grotte, di palazzi, di chiese rupestri sono fatti i Sassi, i due quartieri ripidi e bianchi collegati dalle strade, dalle scale e dalle abitazioni della Civita. Sotto a queste strutture urbane, in una gola  precipite e scoscesa, scorrono le acque della gravina, un ampio torrente che non forniva di acqua la città ma che raccoglieva le sue deiezioni e che continua nella notte a riempire di suoni il silenzio delle strade.

Nel Sasso Barisano si trovano la chiesa romanica di San Giovanni, perpendicolare rispetto all’ingresso e alla piazza, ricca di affreschi ben conservati; la chiesa di San Pietro Barisano, la più grande fra le chiese rupestri, in gran parte spogliata dei suoi colori e con l’inquietante «Sepolcrario» dove scolavano i cadaveri degli ecclesiastici, in modo che la carne corruttibile evaporasse per lasciare la perennità delle ossa; l’imponente Sant’Agostino e il suo convento, costruiti a precipizio sulla gravina.
Dal Sasso Caveoso pende sulla gravina la chiesa di San Pietro, dalla quale partono le scale e i sentieri che vanno verso altre chiese rupestri (sono decine e decine in tutta la città); particolarmente ben tenuta tra di esse è S. Lucia alle Malve, dietro la quale si estende il Convicinio di Sant’Antonio con le sue cripte monacali. Al centro visivo e geometrico del Sasso sta il Monte Errone, sotto e dentro il quale si trovano i complessi della Madonna De Idris e S. Giovanni in Monterrone; di fronte a essi l’altro Sasso e la Civita appaiono riempiti di una identità che da ogni punto di Matera rende uniforme il paesaggio urbano e di una differenza che in ogni punto cambia diagonali, luce e prospettive.
Nella Civita gli spazi/chiese scavate nella roccia della Madonna delle Virtù e di San Nicola dei Greci, ambienti complessi su più piani, che affondano nella terra e si alzano in balconi naturali e luminosi; il Convento di S.Lucia che sembra pendere sul baratro del torrente.
Nel Piano emergono una chiesa – S. Francesco – romanica all’esterno e barocca nel suo interno e la Piazza del Sedile, dalla quale parte la strada che porta al più grande edificio religioso di Matera, il Duomo romanico con il suo campanile visibile da qualsiasi punto della città, con il grande rosone che sembra in movimento, con il colore bianco di dolcezza che i lunghi restauri hanno restituito allo sguardo che prima era opaco, scuro. Tornando a San Francesco, si scende verso l’elegante via Ridola, che ospita le chiese di S. Chiara e del Purgatorio e finalmente, un luogo non cristiano, il Museo Archeologico Nazionale intitolato a Domenico Ridola, che intuì, raccolse e conservò i tesori pagani di queste terre: magnifici vasi di ogni dimensione che raccontano i miti greci; una sezione permanente dedicata alla Collezione Rizzon, a Tiresia e ai poemi omerici (Tiresia, il mito tra le tue mani), ricostruzioni di insediamenti preistorici e reperti tra i più antichi che gli umani in questi luoghi abbiano inventato per vivere, coprirsi, nutrirsi, camminare. 

Alla fine della strada, in basso, sta l’antico Palazzo vescovile Lanfranchi, solenne e ampio, nelle cui sale è ospitato il grande dipinto di Carlo Levi Lucania ’61, un poema per immagini forse anche un poco retorico ma che con le sue centinaia di figure umane esprime con singolare efficacia la durezza della vita contadina in queste terre, la sua rassegnazione, il progressivo elemento di riscatto.
Di Levi, nei piani superiori, il Palazzo ospita numerose tele donate dall’artista: dagli inizi ispirati al realismo magico sino alle tendenze astrattiste degli anni Sessanta del Novecento; dipinti di pittori lucani, tra i quali è particolarmente intrigante l’opera del materano Luigi Guerrichio;  l’ampia raccolta del collezionista privato Camillo D’Errico, una antologia di storia dell’arte napoletana tra Sei e Settecento; numerosi oggetti d’arte sacra che affondano sino all’Alto Medioevo.
Dalla parte opposta della via si trova la Piazza Vittorio Veneto, con la Fontana Ferdinandea e soprattutto il «Palombaro Lungo», un’enorme cisterna che raccoglieva milioni di metri cubi d’acqua alla quale i materani attingevano per ogni loro esigenza di lavoro, di pulizia e di nutrimento. Oggi è visitabile con delle scale che tutta la attraversano e che danno plasticamente il senso della capacità che l’animale umano ha di trasformare ogni spazio, struttura e pietra in strumento di sopravvivenza nella storia.
Davvero unico è poi il MUSMA, il Museo della Scultura Contemporanea. Si trova nel cinquecentesco Palazzo Pomarici e si ramifica su due piani, tre cortili e sette ipogei, grotte che per secoli hanno ospitato conventi, stalle, magazzini, cantine e che ora alternano bronzi, pietre, ferri, ceramiche, marmi in quella che è forse l’espressione artistica più pura del presente, la scultura appunto, nella quale la materia è capace di diventare qualsiasi cosa, assumere le forme più diverse, comunicare la vibrazione nello spaziotempo che sempre la materia densa rappresenta.

Dietro il Duomo si trova anche la Casa Noha, donata dalle famiglie Fodale e La Torre al Fondo Ambiente Italiano (FAI), nelle cui stanze è possibile seguire un coinvolgente video che racconta la vicenda di Matera dalla preistoria al presente. Presente che è fatto anche dell’ospitalità dei suoi abitanti, rinnovati nei nomi ma in continuità con l’identità antropologica materana. Abitanti che hanno fatto della loro storia e della bellezza anche una fonte di reddito. La città è colma di viaggiatori e di turisti, i locali sono pieni, la prenotazione di una cena di fatto obbligatoria. Clamorosa smentita della stolta opinione di un commercialista di Sondrio, tale Tremonti, che da ministro delle finanze affermò che “con la cultura non si mangia”. Con la cultura a Matera si banchetta.
Tra questi abitanti ci sono Guido, proprietario del B&B «Madonna degli Angeli» le cui stanze si aprono sul magnifico paesaggio rupestre del torrente, e Pietro, gestore del ristorante «Dedalo», non soltanto una gioia per il gusto ma anche per il tatto e per la vista, con le pietre del suo ipogeo trasformate in sculture che rappresentano, tra gli altri, Demetra, Andromeda e soprattutto Dioniso. 

È questo uno dei segreti di Matera. Nessuno dei luoghi di culto cristiani è dedicato al Dio, alle sue tre persone, ma tutti sono rivolti ai santi e alla Grande Madre, della quale la Maria della Bruna conservata nella Cattedrale è simbolo chiarissimo e pacato. Si tratta dunque di una religiosità politeistica, l’elemento che fa del cattolicesimo la forma più teologicamente ricca ed esteticamente magnifica tra le tante della religione cristiana. Dietro la maschera dei santi e di Maria, nelle pietre di questo luogo abitano ancora gli dèi.
La visita di una città permette di solito di viaggiare lungo i secoli. Matera permette di farlo nei millenni.

Pagani e cristiani

Recensione a:
Giancarlo Rinaldi
Pagani e cristiani
La storia di un conflitto (secoli I-IV)
Carocci Editore 2020, pagine 492
in Vita pensata, n. 27, settembre 2022
pagine 85-88

C’è una vicenda, fondamentale per l’Europa, nella quale il detto secondo cui ‘la storia la scrivono i vincitori’ appare con evidenza in tutte le sue pervasive e immense conseguenze. Questa vicenda è quella assai complessa che si racchiude nel termine Cristianesimo.
Studiare la genesi del modo in cui questa religione si è presentata nei secoli e continua a presentarsi oggi significa comprendere sino in fondo l’importanza della metapolitica, dell’egemonia culturale, della scrittura che sopravvive e della scrittura che si inabissa. È noto che migliaia di testi della cultura greca e romana sono andati perduti. Meno noto è che la misura di questa perdita arriva sino a novanta testi su cento, forse meno noto ancora è che gran parte di tale perdita sia stata progettata, voluta e realizzata coscientemente dai gruppi, individui, istituzioni che vanno sotto il nome di ‘Chiesa’, la quale iniziò il IV secolo dell’e.v. «come soggetto perseguitato e lo chiuse come agente persecutore», una persecuzione contro l’intera civiltà antica.

Culture animali

Recensione a:
Carl Safina
Animali non umani
Famiglia, bellezza e pace nelle culture animali
Adelphi, 2022
Pagine 565
in Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia
vol. 13, n. 2/2022
pagine 173-174

Dati, fatti, eventi, situazioni, comportamenti mostrano che è arrivato il tempo nel quale la riflessione filosofica, e più in generale un approccio scientifico al mondo, abbandonino antichi e potenti dualismi, ormai falsificati. Tra questi, uno dei più importanti e pervasivi è il dualismo di cultura e natura, di culture nurture, di acquisito e di innato, di apprendimento e ‘istinto’.
Questo libro di Carl Safina scioglie il nodo naturacultura mediante l’osservazione e l’analisi sul campo di alcune strutture viventi molto diverse tra di loro: i capodogli, i pappagalli ara dell’Amazzonia, gli scimpanzé dell’Uganda. Sul campo poiché soltanto se studiati nel loro ambiente, nelle loro condizioni naturali e culturali, le creature viventi possono essere comprese nella loro struttura, nei comportamenti individuali e collettivi, nella complessità e nell’evoluzione.
In tutti e tre i casi osservati emerge con grande chiarezza l’esistenza, la ricchezza, la differenziazione e la varietà di culture animali caratterizzate da numerosi elementi che da sempre vengono pensati come esclusivi della specie umana ma che non lo sono affatto.
In modi tra di loro diversi anche all’interno dei gruppi e della comunità nelle quali si dividono, capodogli, are e scimpanzé costruiscono e modificano continuamente acquisizioni naturali e culturali quali i linguaggi, gli strumenti, le strutture estetiche, l’apprendimento, la comunicazione, la trasmissione intergenerazionale.
Nel mondo animale, umani compresi, sono all’opera molte intelligenze; esistono una varietà di strutture mentali che hanno in comune il senso del tempo, della memoria e del futuro, tanto che «oggi alcuni psicologi e altri scienziati si stanno rendendo conto, sistematicamente e con prove, che noi condividiamo il mondo con menti di altro tipo». Aver visto in questa straordinaria ricchezza di forme insieme ‘naturali’ e ‘culturali’ soltanto delle risorse, delle materie prime, degli oggetti – ciò che Heidegger definisce come Bestand, un fondo al quale attingere per le umane esigenze – produce conseguenze catastrofiche per tutto il pianeta. Sterminando le balene, ad esempio, si impoverisce l’oceano e quindi si pongono le condizioni per la decadenza dell’intera biosfera. Il provincialismo antropocentrico ha avuto e ha come conseguenza «qualcosa di spaventoso e tremendo, e cioè che la specie umana si è resa incompatibile con il resto della Vita sulla Terra» poiché «più gli uomini riempiono il mondo, più lo svuotano».
Le culture degli altri animali, il loro costruire strumenti, le attività educative che sanno mettere in atto, la consapevolezza del tempo e della morte, confermano la chiara continuità tra la specie umana e le altre, anche e soprattutto nell’ambito che definiamo cultura.

[Ricordo che, per quanto possa essere più o meno ampio, ciò che scrivo in queste pagine è sempre soltanto un abstract delle mie pubblicazioni, per leggere le quali basta visitare i link indicati sopra: i pdf o le pagine delle riviste nelle quali i testi appaiono]

Ethoanthropology

Towards an ethoanthropology  
in Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia
Anno 13 – Numero 1/2022
Pagine 72-78

Indice
1 Paradigms
2 Ethoanthropology
3 Natureculture
4 Animal Experimentation
5 Biotechnology

Abstract
In this paper, I propose we replace the anthropocentric paradigm with an ethoanthropological one that can account for the fact that the human being is just a part of the world and of “nature”. Theoretical reflection and recent findings in the natural sciences confirm that ancient anthropocentric dualisms – the ancient body/soul, and res extensa/res cogitans divide – are obsolete. Here I argue that the human being is a bodymind continuum (an embodied mind), comprising action, experience, nurture, and culture. To develop a broader and at the same time more specific science of man is possible only on the condition that we give up the anthropocentric view and replace it with an ethoanthropology. This would also provide compelling reasons to forego harmful experimentation and exploitation of other animal species, including animal biotechnology.

Per una etoantropologia – In questo articolo si avanza la proposta di rimpiazzare il paradigma antropocentrico con un paradigma etoantropologico volto a comprendere l’essere umano all’interno del mondo e all’interno della “natura”. La riflessione teorica e le scienze naturali confermano che l’antico dualismo antropocentrico – tra corpo e mente, tra res extensa e res cogitans – è semplicemente obsoleto. L’essere umano è un continuum di corpomente (una mente incarnata), azione, esperienza, educazione e cultura. Sviluppare una scienza dell’uomo che sia più ampia e al contempo più precisa è possibile a patto di superare il provincialismo antropocentrico e di sostituirlo con una etoantropologia. Questa potrebbe fornirci delle ragioni forti per rinunciare alle pratiche più distruttive operate sugli animali, comprese quelle biotecnologiche.

========

Vorrei aggiungere qualcosa ai dai bibliografici di questo saggio. Vorrei dare qualche informazione ulteriore che possa essere utile soprattutto ai miei allievi e in generale a dei giovani studiosi. Un’informazione che li aiuti anche a non scoraggiarsi quando ricevono dei rifiuti alle loro proposte di pubblicazione da parte delle riviste scientifiche. Anche la ormai consueta peer review, ‘valutazione tra pari’, non sfugge infatti agli umani, troppo umani sentimenti e comportamenti.
Questo saggio, dedicato a un tema centrale della mia ricerca, mi era stato in realtà chiesto da una collega come contributo a un volume collettaneo. Dopo qualche tempo dall’invio ricevo non da lei ma da una sua collaboratrice il giudizio di un reviewer che bocciava decisamente il testo. Può capitare, naturalmente, ma in questo caso la procedura era stata scorretta.
In primo luogo perché si trattava di un solo revisore, quando la regola ne prevede due.
In secondo luogo, e soprattutto, si trattava di un revisore che probabilmente aveva capito chi fosse l’autore, verso il quale evidentemente non nutre molta simpatia; aveva quindi approfittato dell’occasione non per redigere un giudizio negativo ma per insultare il testo (e quindi il suo autore) con un linguaggio e delle modalità che la pratica di valutazione tra pari esclude.
Poco male se non per chi mette in atto simili comportamenti, non certo per me. Proposi infatti il testo a una delle più prestigiose riviste internazionali di filosofia, i cui due revisori diedero giudizi positivi: uno con un apprezzamento incondizionato, scrivendo tra l’altro: «The author expresses with mastery and competence the multiple and complex articulations of the topic of the paper. […] The essay is an excellent reflection on the issues highlighted above, written in clear and engaging language at the same time»; il secondo revisore con un giudizio nel quale mi dava dei consigli su come chiarire e migliorare due passaggi e argomentazioni del testo: «The manuscript can be considered as a position paper expressing a strong and heartfelt accusation against anthropocentrism. Even if it does not have the classic structure of a regular article, the proposed arguments are compelling and constitute at least a challenge for our life style and for a number of beliefs that we typically take for granted.
For this reason, I consider this work worth publishing.
Yet, I strongly suggest to clarify to passages concerning the notion of vivisection.
[…] In any case the relationship between animal and environment exploitation should be expressed more clearly».
Ho naturalmente modificato i brani e integrato le questioni segnalate da questo revisore, che quindi ringrazio per avermi aiutato a migliorare il testo. Come ringrazio il primo per il giudizio totalmente positivo da lui formulato.
Per quanto riguarda il poveretto che aveva concluso la sua valutazione con queste parole (comunque tra le più gentili rispetto al resto): «Il paper non presenta alcuna innovativa posizione nel dibattito sull’argomento; tenta di farlo, ma in maniera pressoché pamphlettistica, che poco ha del paper scientifico», gli auguro di crescere scientificamente e umanamente.

[In questo numero della RiFP è uscito anche un ampio studio del mio allievo e collaboratore Andrea Pace Giannotta, dal titolo Corpo funzionale e corpo senziente. La tesi forte del carattere incarnato della fenomenologia (pp. 41-56)].

 

Intervista sul lasciapassare

La testata Live Unict mi ha chiesto un’intervista sul cosiddetto Green Pass, uscita il 13.9.2021. Spero che la conversazione con Rosario Gullotto possa chiarire, a chi fosse interessato, alcune delle ragioni della mia netta opposizione a un lasciapassare che non è uno strumento sanitario ma costituisce l’ennesima implementazione dell’esperimento biopolitico in corso da molto tempo nelle nostre società e che dall’epidemia Covid19-Sars2 ha ricevuto un decisivo impulso.
L’intervista si può leggere qui: Prof. universitari contro Green Pass, Biuso: “Da abolire, è discriminatorio”

Sullo stesso tema segnalo un testo del collega Davide Miccione, che è tra le riflessioni migliori che abbia letto (e sono tante) sulla questione, forse la migliore in assoluto anche per la sua prospettiva corretta e originale (biomaccartismo è formula geometrica ed esatta), per la chiarezza e non ultimo per la sintesi: Tranquilli, è solo biomaccartismo (Aldous, 13.9.2021).

Sintetico non è un testo di Wu Ming, che consiglio di leggere con attenzione perché rappresenta una summa di quanto è accaduto e sta accadendo dal febbraio del 2020 in Assurdistan, una summa di sinistra (di quello che in Italia ne rimane), comunicata con la franca vivacità di questo gruppo: l’emergenza; le macerie; significato e funzione delle mascherine;  le possibili soluzioni per non arrendersi; le grandi aziende e tutti gli altri; una selezione di casi empirici; il vero nemico del decisore politico virocentrico, vale a dire il sapere, la conoscenza, un’appassionata razionalità, la cultura.
Questa la conclusione del testo:
«Insomma siamo ostaggi in Assurdistan.
Come molte altre persone, ci toccherà fare lo slalom tra le norme, tentare stratagemmi, trovare escamotages… In sostanza, bere l’amaro liquido verde. Non possiamo nemmeno aggiungere “fino alla feccia”, perché è tutta feccia, fin dal primo sorso. Dovremo sorbircelo, ‘sto lasciapassare.
Al contempo, continueremo a denunciarlo a gran voce, valorizzando come possiamo ogni resistenza, ogni mobilitazione contro l’Emergenza. Che almeno questa nuova branca del nostro never ending tour sia un’occasione per fare inchiesta, discutere e pensare insieme forme di lotta, spargere il contagio del malcontento.
E poi, può sempre capitare che gli ostaggi si ribellino, e abbiano la meglio sui loro carcerieri».
Questo è l’indirizzo dove leggere l’intervento: Ostaggi in Assurdistan, ovvero: il lasciapassare e noi / Seconda puntata (Giap, 9.9.2021).

Vai alla barra degli strumenti