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Gesti

Mino Ceretti  – La centralità della pittura
a cura di Simona Bartolena
Museo della Permanente – Milano
Sino al 25 luglio 2021

Un amore profondo per il disegno, per il formarsi dell’immagine. Un gesto fedele alla tradizione della grande pittura e che insieme però ne rinnova le forme. Come un condensarsi delle avanguardie, rimanendo tuttavia un figurativo. Alcuni titoli si ripetono, emblematici: Ritratto mancato; Figura probabile; Figura bersaglio. Una delle figure probabili è l’autoritratto del 1996, qui accanto.
E poi Pittore – Pittura (1978-1983; in alto), una serie che restituisce la poetica di Mino Ceretti, al di là di categorie, mode, definizioni, al di là delle contrapposizioni tra realismi e astrattismi, tra figure e geometrie, tra la matematica e le passioni. Pittura. Buona, complessa e cangiante pittura, capace di trasfigurare gli oggetti quotidiani, le citazioni, i segni alfabetici e numerici. Sullo sfondo la storia collettiva e le sue tecniche. Che riverberano come in una antologia del gesto pittorico del Novecento.
Nel presentare la mostra Simona Bartolena giustamente scrive che «l’arte può scuotere la società dalla sua pigra indifferenza, dallo stato narcolettico in cui pare caduta. In un’epoca che pare averla messa in un angolo – tra nuove tecniche di riproduzione dell’immagine, nuove tecnologie, nuove esperienze creative e lo strapotere del mondo digitale –, la pittura ha ancora un suo motivo di esistere ed è ancora capace di porre, scomporre, sezionare, ricomporre problemi».
Riprodurre, inventare, disvelare. Sono anche questi i gesti teoretici della pittura.

Segno / Forma

Arte e ibridazione
in Scienzarte. Arte e Tecnologia
A cura di Rosaria Guccione
Giuseppe Maimone Editore, 2020, pp. 115
Pagine 63-71

Indice del mio contributo
1. Ibridazione  / Arte
2. Il Postumano
3. Quattro esempi
-Il Nouveau Réalisme
-Igor Mitoraj e Ivan Theimer
-Arnaldo Pomodoro
-Studio Azzurro
4. Conclusioni

«Un itinerario che ha condotto l’opera d’arte a non significare nulla al di là del proprio stesso significare. Il segno si è infine dissolto, non indicando altro che il significante. La forza semantica del bello è diventata la potenza della forma. Questo non vuol dire, però, che l’arte sia soltanto un gioco. È anche un gioco ma nel suo carattere ludico diventa la sostanza stessa delle società e degli umani. Sta qui il nucleo delle avanguardie, la loro perenne fecondità».

Chagall, il coro umano

Marc Chagall
Una retrospettiva 1908-1985
Palazzo Reale – Milano
A cura di Claudia Zevi e Meret Meyer
Sino al 1 febbraio 2015

Chagall-Composizione-con-cerchi-e-capra-1920-Imponente riepilogo dell’opera di questo longevo Maestro (1887-1985), la mostra milanese ne percorre la vicenda dal villaggio russo della giovinezza alle capitali del mondo -Parigi soprattutto- nelle quali Chagall ebbe la fortuna di vedere riconosciuto da vivo il proprio valore. Si può, in questo modo, osservare la costanza nella differenza. Costanza nei temi -i contadini; gli animali simbolici come la capra, il gallo, l’asino, la vacca; la coppia; i riti ebraici-, differenza nelle forme, nel percorso dentro molti stili ma sempre con una inconfondibile spazialità capovolta e dinamica. I risultati più coinvolgenti miChagall_Don-Chisciotte_HD_1973 sembrano quelli segnati dal cubismo e da variabili geometrie. Mano a mano che si procede dentro l’opera e dentro il secolo, i colori diventano sempre più accesi, cupi, profondi; il simbolismo ebraico-cristiano sempre più pervasivo; la materia pittorica sempre più raggrumata sulla tela.
Rispetto alle assai conosciute spose volanti e rabbini preganti, tre opere spezzano un poco la monotonia simbolica. Un Bue squartato che è quello di Rembrandt ma sullo sfondo di un villaggio russo (1947), la Composizione con cerchi e capra (1920) frutto dell’iniziale slancio delle avanguardie post-rivoluzionarie, un quadro che va al di là del sogno e della felicità, cogliendo la pura forma come senso del dipingere; il Don Chisciotte del 1974, un dipinto storico e cosmico la cui struttura si ispira a El Greco e riassume la coralità che costituisce la vera cifra dell’opera di Chagall.

Immanenza verticale

Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti. La collezione Netter
Palazzo Reale – Milano
A cura di Marc Restellini
Sino all’8 settembre 2013

Storie anche di umani. Di persone che lasciano le loro terre e si trasferiscono a Parigi, confermando ancora una volta ed esaltando il ruolo principe di questa città nell’arte. Storie anche di miseria, di alcolismo, di dolore: Jeanne Hébuterne, la compagna di Modigliani, si uccide il giorno successivo a quello della morte del pittore; Utrillo è così perdutamente alcolizzato da arrivare a bere la trementina e l’acqua di colonia; la povertà attanaglia molti di questi artisti. Storie anche di successi e di ricchezza, come quella di Soutine e, naturalmente, dei mercanti d’arte. Storie di passione per le opere e di paziente e intelligente raccolta, quella che diede vita alla collezione di Jonas Netter.
Ma storie soprattutto di coraggio, di bellezza e di forma. Il coraggio che spinge a tentare strade sempre nuove nell’esprimere il mondo, gli umani, i luoghi. La bellezza che trasfigura anche gli spazi più miserabili -come molti angoli di Montmartre e Montparnasse- in autentiche epifanie della meditazione e dell’incanto. La forma che, in tutti i pittori qui raccolti ma soprattutto in Soutine, si mescola e rimescola; i colori che si ibridano e diventano anch’essi la densa sostanza del tempo.
Su tutto si staglia, ma senza nessuna prevaricazione, la geometria di Modigliani, la sua immanenza verticale, l’antico debito con la tradizione toscana e italiana, la capacità di trasformare gli effimeri soggetti che ritrae in sfavillanti icone della fede nella figura.

 

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