Skip to content


Cosmologia e Metafisica

Vorrei indicare brevemente qual è il fondamento fisico della prospettiva metafisica che in vari libri e saggi cerco di formulare. Si tratta di un fondamento cosmologico che rende assai evidente la completa insignificanza del nostro pianeta nell’universo e quindi l’inessenzialità della nostra e delle altre specie viventi.
Tale realtà è descritta in modo semplice e chiaro in un articolo del numero 60 (aprile 2025) del mensile Cosmo2050. L’articolo si intitola Il respiro dell’universo, l’autore è Marco Sergio Erculiani. Ne riporto qui l’incipit (p. 28), particolarmente efficace. Invito a porre attenzione al significato dei numeri che si utilizzano in questo testo e ricordo che la luce viaggia alla velocità di quasi 300.000 km al secondo; già immaginare quindi che cosa sia un solo anno luce è per la nostra mente un’impresa improba:

Se ci limitiamo alla materia ordinaria, l’universo è un insieme di centinaia (o migliaia) di miliardi di galassie, tutte connesse fra di loro dalla forza di gravità. Come una immensa rete neurale che respira e si espande alla velocità che aumenta all’aumentare della distanza a cui si osserva: circa 73,2 km al secondo per ogni megaparsec (Mpc), dove 1 Mpc equivale a 3,26 milioni di anni luce.
Non è semplice comprendere l’Universo. Sia dal lato fisico che dal lato esperienziale. Basti pensare alla unità di misura delle distanze che si usa in astronomia: l’anno luce, la distanza che la luce può percorrere in un anno. Stiamo parlando di 9460 miliardi di chilometri, equivalenti al percorso che compie la Terra intorno al Sole in 10.000 anni. Nonostante le grandi dimensioni di questa unità, le misure dell’Universo richiedono dei numeri giganteschi. La nostra Galassia ha un diametro di 100mila anni luce, la galassia di Andromeda, la più vicina a noi, dista 2,45 milioni di anni luce. Il raggio dell’Universo osservabile è stimato in circa 46,5 miliardi di anni luce…
Queste cifre sono utili come strumenti matematici ma sono inafferrabili dalla nostra coscienza.

L’articolo prosegue inserendo il nostro sistema solare all’interno della Via Lattea, la quale è soltanto una delle miliardi di galassie che compongono il Superammasso della Vergine, che fa parte a sua volta di una immensa e impensabile struttura chiamata Laniakea (in hawaiano: ‘Paradiso infinito’). Ma anche Laniakea è parte di una realtà più ampia denominata Superammasso di Shapley.

Per capire ancora meglio, consiglio anche la lettura di un breve testo pubblicato sul sito della rivista: Dalla Terra ai confini dell’Universo.
Di fronte a tali dati e all’impensabile (alla lettera) vastità dell’Universo, ritengo che l’unico atteggiamento metafisico e scientifico sensato sia l’antropodecentrismo.
Prospettiva che era già assai chiara nei Dialoghi di Giordano Bruno, in particolare nella Cena de le Ceneri, nel De la causa, principio e uno, nel De l’infinito, universo e mondi. Prospettiva che fonda anche una filosofia assai diversa da quello di Bruno, la Teodicea di Leibniz, il quale pensa correttamente che la Terra

n’est qu’une planète, c’est-à-dire un des six satellites principaux de notre soleil ; et comme toutes les fixes sont des soleils aussi, l’on voit combien notre terre est peu de chose par rapport aux choses visibles, puisqu’elle n’est qu’un appendice de l’un d’entre eux. […] Que ce soit le ciel empyrée ou non, toujours cet espace immense qui environne toute cette région pourra être rempli de bonheur et de gloire. […] Que deviendra la considération de notre globe et de ses habitants ? Ne sera-ce pas quelque chose d’incomparablement moindre qu’un point physique, puisque notre terre est comme un point au prix de la distance de quelques fixes ?

 

La Terra è soltanto un pianeta, vale a dire uno dei sei principali satelliti del nostro Sole; e come tutte le stelle fisse sono anch’esse dei soli, si vede come la nostra Terra sia poca cosa in confronto all’insieme delle cose visibili, poiché non è altro che un’appendice di una di tali stelle. […] Che si tratti o meno dell’Empireo, questo immenso spazio che circonda l’intera regione [visibile] potrebbe essere colmo di felicità e di gloria. […] Che cosa diventerà la considerazione del nostro globo e di chi lo abita? Non sarà qualcosa di incomparabilmente inferiore a un punto fisico, poiché la nostra Terra è come un punto rispetto alla distanza delle [stelle] fisse? (Théodicée, I, § 19).

Di fronte alla potenza e alla densità del cosmo appaiono inoltre veramente bizzarri la pretesa di negare la realtà fisica del tempo (che invece con l’universo coincide) e di attribuire alla nostra specie una qualche funzione produttiva del reale (il Geist, lo Spirito), come fanno le diverse forme di idealismo e di trascendentalismo.
La critica marxiana all’idealismo della Heilige Familie, della sacra famiglia degli idealisti, per essere completa deve diventare una critica anche e specialmente dell’antropocentrica famiglia, della quale fanno parte, insieme agli idealisti, anche e soprattutto i monoteismi religiosi e le filosofie del soggetto umano sovrano.
La misura, il senso e la funzione di Homo sapiens sono ciò che la cosmologia indica con implacabile chiarezza: un nulla.

La perfezione, la pura energia senza dolore, la luce, il divino.
Essere questo, non un umano, essere il Sole, essere stella.

Il Sole in una foto di Salvo Lauricella

Federico Nicolosi su Chronos

Federico Nicolosi
Essere, tempo, materia
Recensione a Chronos. Scritti di storia della filosofia
in Dialoghi Mediterranei
n. 71, gennaio-febbraio 2025
pagine 538-542

«Il cammino di quest’opera, che in certo qual modo ingloba e supera i precedenti lavori Temporalità e differenza e Tempo e materia, collocandosi sulla medesima scia di ricerca da essi inaugurata, si dispiega in una metafisica dell’immanenza drasticamente materialista e disincantata, la quale affonda le proprie radici nel gioco dialettico che mette perpetuamente in relazione tra loro l’Identità e la Differenza, l’essere e l’ente, la Zoè della materia organica e il Bìos che l’uomo è, il tempo cosmico e la temporalità dell’esserci umano. […]
Tutto ciò, sovente in maniera esplicita e altre volte più velatamente, filtra da ogni pagina di Chronos, che di questa tesi di fondo – ovvero, di oltre venti anni di ricerche – è il coronamento e forse la realizzazione migliore; un quadro unico e molteplice capace di compendiare con tagliente schiettezza e con finezza talora quasi poetante l’intero sistema filosofico di Alberto Giovanni Biuso o, come sopra mi è piaciuto chiamarlo, il suo cammino verso il Tempo, dal Tempo, nel Tempo».

In apertura il fotomosaico (realizzato dal telescopio spaziale Hubble) della Galassia di Andromeda (M31), la più vicina alla nostra (dista 2,5 milioni di anni luce) e a essa molto simile. M31 si compone di circa mille miliardi di stelle. Quelle che si vedono nell’immagine sono soltanto una piccola frazione. Le immagini in basso sono un ingrandimento di alcune sezioni della foto principale, con la relativa descrizione.
Utilizzo immagini astronomiche per illustrare le pagine di questo sito, in particolare di quelle che parlano dei miei libri, poiché in essi, soprattutto nella tetralogia dedicata al tempo ma anche in Chronos, uno dei concetti fondamentali è l’antropodecentrismo. Concetto e realtà che ha nella immensità del cosmo – per la nostra mente di fatto inimmaginabile – una delle sue prove più semplici e più evidenti. Platone si chiede (Repubblica, VI 486a) quanto possa essere e apparire μέγα τὸν ἀνθρώπινον βίον (grande la vita degli umani) di fronte alla potenza senza pari dell’essere e del tempo. E risponde che essa non può che apparire vicina al nulla. Ecco: sta qui, esattamente in questo, l’identità della filosofia e della sua storia. Sta in questo sguardo rivolto alla ζωή dalla prospettiva della Φύσις, dalla prospettiva del Cosmo, dell’Intero.

Astronomia

Massimo Capaccioli
L’incanto di Urania
Venticinque secoli di esplorazione del cielo
Carocci, Roma 2020
«Sfere / 157»
Pagine 531

Urania è la musa dell’astronomia, l’unica scienza dura ad avere una propria musa. Una scienza del tutto particolare, nella quale non sono possibili i comuni esperimenti da laboratorio ed è invece richiesto un grande talento ermeneutico/teorico nella interpretazione dei dati, che per millenni sono stati raccolti con il semplice ausilio degli occhi e da quattro secoli con quello di strumenti all’inizio ancora soltanto ottici e ora multimessaggeri, vale a dire capaci di conservare e far interagire tra loro fonti diverse di informazione sulla materia, come fotoni (la luce, appunto), raggi cosmici, neutrini, onde radio, onde gravitazionali.
L’astronomia è stata anche uno dei grandi ingressi alla civiltà postmedioevale. Fu essa infatti a mettere in crisi il paradigma antropocentrico – sostenuto per millenni dalla cosmologia tolemaica e aristotelica – e poi ad ampliare gli spazi della mente e della materia verso misure impreviste e impensabili. Se l’astronomia antica dava conforto alla mortalità umana ponendo la nostra specie in ogni caso al centro del cosmo, la scienza contemporanea ha aperto agli astronomi e a tutti gli umani «il regno delle galassie e relegato la Via Lattea a semplice esemplare di un universo isola» (p. 278).
Una ‘contemporaneità’ assai recente – un secolo circa – nella quale le misure lineari si sono dilatate tanto da richiedere un nuovo criterio che non è più lo spazio statico ma uno strumento dinamico e temporale quale la velocità della luce. Come tutto ciò che esiste, anche le stelle hanno mostrato una natura temporale, iniziando la loro esistenza «con un collasso gravitazionale di una nube di gas che scalda il cuore della protostella, completandosi con l’accensione di una fornace centrale. Qui la fusione dell’idrogeno in elio procura l’energia con cui vengono rimpiazzate le perdite per irraggiamento» (437). Un’esistenza che può durare più o meno a lungo ma sempre su tempi per l’umano immensi.

Il valore dell’energia che è in gioco nelle stelle è diventato inimmaginabile, come hanno confermato la scoperta (nel 1934) delle supernovae, «astri ipertesi, con una massa come quella del Sole e grandi come una città» (362) a dimostrazione di quanto estrema possa diventare la densità della materia, e poi la scoperta (nel 1964) delle sorgenti radio quasi stellari, quasar e ancora (nel 1968) la scoperta delle pulsar, sorgenti radio capaci di variare più volte al secondo i propri valori. E su tutto sta il duplice enigma dei buchi neri e della materia oscura, la conoscenza della cui natura è lenta e difficile.
I black holes costituiscono delle singolarità, vale a dire fenomeni per i quali non valgono le leggi fisiche conosciute e che rimangono inaccessibili all’esperienza, «oggetti talmente compatti da essere contenuti entro il proprio orizzonte, ossia entro un ideale guscio che demarca il confine tra lo spazio-tempo reale e quel non mondo dal quale nemmeno la luce può fuggire» (435).
Della dark matter si conosce ancor meno. Sostanzialmente si sa che si tratta di materia «relativamente fredda, cioè animata da velocità modeste rispetto alla luce (il che implica particelle ‘oscure’ con masse individuali relativamente grandi) e non collisionale, ossia che non interagisce né con sé stessa né con la materia ordinaria, gravità a parte» (442). Una presenza pervasiva, dagli effetti decisivi sulla costituzione della materia visibile, della luce e del vuoto. Quasi il 75% della materia/energia sarebbe infatti oscura e la luce rappresenterebbe soltanto una parte piuttosto piccola del cosmo, «un ingrediente marginale dell’universo» (440).
E questo significa che «il vuoto non è affatto vuoto e anzi possiede risorse che crescono proporzionalmente alla dilatazione dello spazio. […] Ci sono invece molte e diverse osservazioni a conferma di un paradigma di universo dove la materia ordinaria è ormai poco più che una traccia spersa in un mare di componenti oscure» (447).
Il lungo percorso – reso da questo libro avvincente – che dall’osservazione dei cieli babilonesi e greci perviene all’astrofisica del XXI secolo è molto differenziato ma è anche segnato da costanti teoretiche, sociologiche e psicologiche.

La prima e più importante riguarda l’indissolubilità del legame tra astronomia e temporalità. Studiare gli astri vuol dire analizzare lo spaziotempo in qualche modo infinito, in qualche modo eterno, in qualche modo costante e insieme dinamico. Se le ipotesi di Wright, Kant, Laplace mettevano «la parola fine al lungo capitolo dell’universo sidereo immutabile e perfetto, introducendo nella filosofia naturale quel concetto di evoluzione che avrebbe avuto come prima conseguenza la nascita della termodinamica in fisica, e nella genetica l’esplosione della rivoluzione darwiniana e lamarckiana» (180), al tempo si piega anche la fisica relativistica, la quale nonostante le tendenze eleatiche e spinoziste del suo fondatore – che da «grande estimatore di Baruch Spinoza, proprio dal filosofo sefardita bandito dalla sua comunità per le temerarie riflessioni sulla religione aveva tratto il convincimento che Dio e natura fossero in qualche misura sinonimi, e che pertanto il cosmo dovesse godere del medesimo attributo della divinità: un’eternità immobile e senza tempo» (289) – ha contribuito alla scoperta e alla comprensione di molti fenomeni che confermano la natura pulsante ed evolutiva della materia, tanto che da una ventina d’anni ormai sembra accertato che «l’età dell’universo [sia di] 13,72 miliardi di anni, con un’incertezza di un centinaio di milioni d’anni. Oramai il modello stazionario di Hoyle, Bondi e Gold era stato ampiamente falsificato dall’accidentale scoperta della radiazione cosmica di fondo (Cosmic Microwave Background Radiation – CMBR)» (392).

La costante sociologica si esprime nella inseparabilità delle vicende di una scienza in qualche modo assoluta qual è l’astronomia rispetto alle vicende storiche e sociologiche alle quali il libro dedica riferimenti sintetici ma sistematici. E si esprime soprattutto in un fattore tutto interno al lavoro scientifico, il quale è sempre sottoposto alle forze d’inerzia della tradizione, del potere accademico, delle strumentalizzazioni e dei finanziamenti da parte del potere politico. «Un esempio recente e clamoroso di questo condizionamento psicologico è il modello statico cui Albert Einstein fu indotto dalla sua adesione al panteismo spinoziano che pretendeva l’immutabilità del tutto; una pregiudiziale visione del mondo che il genio tedesco riconobbe essere stato il ‘più grande errore’ della sua vita» (34) e un altro esempio riguarda sempre Einstein attraverso il sostegno datogli da uno dei maggiori astronomi del Novecento, Arthur Eddington, il quale arrivò a misure che collimavano perfettamente con le previsioni einsteiniane ma che successivamente vennero dimostrate false: «Forse, nel cercare una risposta commise qualche errore o forse, abbagliato dal desiderio di poter provare la veridicità di una teoria che lo aveva completamente sedotto, forzò la mano ai dati. Buon per Einstein, che di punto in bianco diventò un’autentica star» (289).

La costante psicologica è data dalla presentazione sempre vivace, disincantata e persino divertita dei caratteri degli astronomi, delle loro passioni, idiosincrasie, gelosie, cecità, miserie. Tra i più spregiudicati e scorretti scienziati di ogni tempo vi è certamente Newton, il quale giunse «persino a far distruggere una tela che rappresentava il suo nemico [Robert Hooke] nelle sale della Royal Society. Meschino ma anche pavido: non osò infatti pubblicare il suo trattato di ottica (Opticks, 1704) sin quando Hooke, piegato dagli acciacchi, non si spense. Forse il contorto genio del Trinity College temeva l’insorgere di altre accuse di plagio, come quella rivoltagli dal tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz in merito alla teoria delle flussioni. Una disputa internazionale nella quale Newton diede nuovamente prova della sua totale mancanza di scrupoli» (135). Tendenza al plagio che caratterizzò anche alcuni momenti della carriera di Edwin Hubble (313).

Storia dunque di umani e di macchine, di astrazioni e di tecnologie – dettagliatissima la storia dei telescopi –, di paradigmi e di rompicapo che mettendo in crisi le verità conducono a nuove risposte perché fanno sorgere rinnovate domande. Emblematico il caso della cosiddetta ‘costante di Hubble’ che dovrebbe indicare l’età dell’universo e che è caratterizzata da una radicale incostanza, mutando valore con una certa frequenza. Essa infatti non soltanto «assume valori differenti a seconda del metodo impiegato» ma diventa un elemento «patologico qualora le misure siano molto precise e tuttavia in disaccordo tra di loro. Se confermata, questa anomalia richiederà un drastico ripensamento della teoria che ne prevede la costanza» (447).
In ogni caso, l’astronomia conferma di costituire insieme alla matematica la più filosofica delle scienze poiché per sua natura la cosmologia è «la scienza che studia il tutto nel suo insieme con l’intento di spiegarne l’origine e la trasformazione» (444), uno degli obiettivi costanti della filosofia.

Cosmologia

Cosmologie
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
6 gennaio 2024
pagine 1-4

Insieme alla matematica, l’astronomia fu l’ambito dentro il quale ebbe inizio il sapere filosofico, il suo metodo, in Grecia e ancor prima della Grecia. A partire da un recente libro dell’astronomo Paul Murdin (The Universe: A Biography) ho cercato in questo articolo di presentare e riassumere alcune delle questioni centrali dell’astrofisica del XXI secolo, tra le quali: l’Universo inflazionario; il Multiverso; la  “costante di Hubble” (in verità piuttosto incostante); la relazione che intercorre tra il clima sul nostro pianeta, la struttura del Sole e la dinamica cosmica; l’origine e il destino della Terra anche sul fondamento della termodinamica; l’insignificanza della ‘vita’ e la natura del tempo. Ovviamente l’ho fatto solo per brevi accenni, anche perché l’intera mia riflessione costituisce un tentativo di pensare questi temi, tanto coinvolgenti quanto fondamentali. In questo testo ho cercato almeno di indicarli.

[L’immagine è tratta dal libro di Murdin e rappresenta il modo in cui tra 2 miliardi di anni si vedranno dalla Terra la Via Lattea, cioè la nostra galassia, e la galassia di Andromeda (M31 / NGC 224), la più vicina a noi (dista 2,538 milioni di anni luce). Andromeda è visibile anche a occhio nudo (guardando verso nord-est) nelle notti serene e in assenza di inquinamento luminoso. Con l’ausilio di un telescopio o di un binocolo è una vista spettacolare. Come si può notare dall’immagine, Andromeda si avvicinerà sempre più alla Via Lattea, sino a fondersi con essa]

Biologia e astrofisica

Evoluzionismo e cosmologia 
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
anno VIII, n. 14, dicembre 2023 – «Maestri per il XXI secolo»
pagine 195-216

Indice
-La vita
-Consilience
-Evoluzionismo
-Biologia
-Astronomia
-Astrofisica
-Un grande scoppio?
-Invarianza/Relatività

Abstract
The dangerous and self-destructive tendency of contemporary sciences to turn into their opposite, i.e. dogmatic structures, is tempered by the research and results of many scholars who instead remain consistent with the critical and ever-open spirit that of the sciences, as of philosophy, constitutes the true mark and fertile treasure. The extensive work that Marco De Paoli has devoted to two fundamental sciences such as astronomy and modern and contemporary biology is one such antidote to the poison of dogma. In this essay the author will attempt to discuss, also critically, the results of such research, relating them to ethology as far as evolutionism is concerned, and to quantum physics as far as cosmology is concerned.

La pericolosa e autodistruttiva tendenza delle scienze contemporanee a trasformarsi nel loro contrario, vale a dire in strutture dogmatiche, è temperata dalle ricerche e dai risultati di molti studiosi che rimangono invece coerenti con lo spirito critico e sempre aperto che delle scienze, come della filosofia, costituisce la vera cifra e il fecondo tesoro. L’ampio lavoro che Marco De Paoli ha dedicato a due scienze fondamentali come l’astronomia e la biologia moderna e contemporanea è uno di tali antidoti al veleno del dogma. In questo saggio cercherò di discutere, anche criticamente, i risultati di tali ricerche, ponendole in relazione con l’etologia – per quanto riguarda l’evoluzionismo – e con la fisica dei quanti, per ciò che concerne la cosmologia.

[La fotografia raffigura l’ammasso globulare Omega-Centauri (NGC5139)]

Infinito

Piccolo Teatro Studio – Milano
De infinito universo
Testo, ideazione visiva e regia Filippo Ferraresi
Scene Guido Buganza
Luci Claudio De Pace
Musiche Lucio Leonardi (PLUHM)
con Gabriele Portoghese, Elena Rivoltini, Jérémy Juan Willi
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
coproduzione Théâtre National Wallonie – Bruxelles
Sino al 13 febbraio 2022

«Non è un sol mondo, una sola terra, un solo sole; ma tanti son mondi, quante veggiamo circa di noi lampade luminose, le quali non sono più né meno in un cielo ed un loco ed un comprendente, che questo mondo, in cui siamo noi, è in un comprendente, luogo e cielo». Lo scrive Giordano Bruno in De l’infinito, universo e mondi, un dialogo del 1684 (Dialoghi italiani / Dialoghi metafisici, a cura di G. Gentile e G. Aquilecchia, Sansoni 1985, I volume, p. 463).
Lo spettacolo in scena al Piccolo di Milano assume di Bruno la prospettiva e il coraggio. La prospettiva è infatti quella dell’infinità del tempo, dello spazio e della materia. E dunque l’infinità degli enti, degli eventi e dei processi. Il coraggio è l’elemento più proprio di questo tentativo di tradurre il pensiero in gesti. Filippo Ferraresi cerca infatti di far recitare gli oggetti, far recitare i concetti. Lo fa attraverso fili che si tendono, sfere e cerchi che danzano, maschere apotropaiche, luci generate dai moti, e mediante i movimenti atletici e di danza di Jérémy Juan Willi, che veramente sembra volteggiare nell’aria, muoversi con la leggerezza di un uccello, comporre geroglifici con il corpo.
De infinito universo ha una struttura triadica. Inizia con una lezione di astrofisica chiara e coinvolgente, durante la quale a poco a poco emerge la smisurata misura della materia cosmica e l’essere nulla della Terra in essa. Appare poi un pastore che sente, pensa e recita il Canto notturno di Leopardi, dall’iniziale interrogativo  «Che fai tu, luna, in ciel? dimmi che fai / Silenziosa luna?», transitando per il nascere dell’uomo a fatica, «ed è rischio di morte il nascimento», attraversando la «stanza smisurata e superba» dell’universo, sino al conclusivo ed esatto «è funesto a chi nasce il dì natale». Si chiude con un’attrice che canta note gelide e antiche, trasformandosi poi nella collaboratrice di un potente personaggio politico -l’attuale e infausta presidente della Commissione Europea- al quale chiede se ci si possa accontentare dei bilanci finanziari trimestrali e della crescita o meno del PIL o se si debba cercare un significato diverso al nostro stare al mondo. Alla signora che dirige assai male il governo dell’UE vengono rivolte altre critiche che mi ha sorpreso ascoltare in uno spettacolo messo in scena in uno dei luoghi più istituzionali di Milano.
I tre monologhi sono intersecati dai movimenti atletici del danzatore e da un insieme bellissimo e necessario di luci che fendono lo spazio, che sorgono dalla terra, che indicano e insieme si dissolvono, esattamente come fa ogni luce nel mondo.
Nella lezione dell’astrofisico, nell’interrogare di Leopardi, nella lettera ai potenti, si percepisce tutta la forza della materia e del tempo, dell’entropia e della dissoluzione. Un «teatro transdisciplinare», come lo definisce l’autore/regista, fatto di testo, immagini, energia dei corpi.
Al centro e ovunque l’infinito della materia, uno dei concetti fondamentali della filosofia e delle scienze che vennero dopo Giordano Bruno. Fu infatti in gran parte il concetto bruniano di infinito a mettere in crisi il paradigma antropocentrico – confermato per millenni dalla cosmologia tolemaica e aristotelica – e poi ad ampliare gli spazi della mente e della materia verso misure impreviste e impensabili.
Se l’astronomia antica dava conforto alla mortalità umana ponendo la nostra specie in ogni caso al centro del cosmo, la scienza contemporanea ha aperto agli astronomi e a tutti gli umani «il regno delle galassie e relegato la Via Lattea a semplice esemplare di un universo isola» (Massimo Capaccioli, L’incanto di Urania. Venticinque secoli di esplorazione del cielo, Carocci 2020, p. 278), dentro il quale l’esistenza e il millenario lavoro delle menti coscienti non hanno più peso e significato del rotolare di un sasso sulla Luna.
Pervenire a tale consapevolezza, essere lieti dei propri limiti dentro la perfezione del cosmo, anche questo e credo soprattutto questo sia la filosofia.

Realtà / Illusione

Peter Coveney – Roger Highfield
LA FRECCIA DEL TEMPO
Viaggio attraverso uno dei grandi misteri della scienza
(The Arrow of Time. A Voyage trough science to solve Time’s greatest Mystery [1990])
Trad. di Aldo Serafini
Prefazione d Ilya Prigogine
Rizzoli, 1991
Pagine 458

Tra i non pochi paradossi che attraversano la fisica contemporanea, il più profondo ed enigmatico è probabilmente quello della irreversibilità. Esso consiste nel fatto che a livello microscopico-atomico i processi sembrano reversibili mentre a livello macroscopico-fenomenico l’irreversibilità di tutti i processi ed eventi è assolutamente evidente.
La più parte dei fisici cerca di risolvere questo fondamentale paradosso ignorandone o sottovalutandone uno dei corni, mediante strategie riduzionistiche che pongono una gerarchia metafisica tra microcosmo e macrocosmo a favore del primo. Il mondo degli atomi e delle molecole sarebbe dunque la realtà e il mondo degli enti, degli eventi e dei processi sarebbe una mera illusione soggettivistica. Salta subito agli occhi che si tratta di un dispositivo platonico, che distingue due livelli di realtà contrapponendoli in modo irriducibile e optando per il meno visibile, il più astratto, il più lontano dall’esperienza.
Gli antichi platonici e i fisici contemporanei utilizzano a questo scopo il medesimo strumento concettuale: il formalismo matematico. Tra i tanti linguaggi possibili nella descrizione dei fenomeni, essi ne assolutizzano uno soltanto, quello dei numeri. Ciò che non è riconducibile a tale linguaggio non ha valore. E tuttavia «se facciamo ricorso a dei modelli ultrasemplificati che cedono alle forti seduzioni della matematica, rischiamo di trascurare tutta la ricchezza del mondo reale; in particolare, se spogliamo le cose di certi loro aspetti esteriori, che si suppongono opachi, per mettere in luce i lineamenti “fondamentali” sottostanti, ci esponiamo al pericolo di smarrire l’essenza stessa del tempo» (pp. 315-316).

A mostrare l’errore di quanti negano il tempo è una delle leggi fondamentali della fisica contemporanea: il Secondo Principio della termodinamica. Esso descrive il comportamento degli aggregati di molecole e mostra quanto sia fallace ogni tentativo di spiegare il mondo a partire dalle sue componenti microscopiche: 

Anziché affermare che la freccia del tempo è un’illusione, dovremmo chiederci se non siano proprio le leggi ‘fondamentali’, simmetriche rispetto al tempo, a costituire delle approssimazioni o delle illusioni. In fin dei conti, sembra che esse siano applicabili soltanto a sistemi estremamente semplici (349).

L’eleganza di alcune formule matematiche è spesso un fatto estetico e non epistemologico; la semplicità delle strutture microscopiche non garantisce nulla sulla reale dinamica dei più vasti aggregati che le comprendono. Una prospettiva volta all’invisibile e che a partire da quest’ultimo definisce illusorio il divenire e il morire costituisce un pericolo assai grave per la scienza stessa, poiché la allontana dall’esperienza concreta, quotidiana, fenomenica del mondo. La realtà è incomparabilmente più complessa rispetto a qualsiasi formalismo matematico. L’irreversibilità è la più importante e pervasiva struttura della materiamondo e questo fa sì che noi umani e ogni altro ente 

viviamo in un mondo nel quale il futuro promette infinite possibilità e il passato sta irrimediabilmente alle nostre spalle. La freccia del tempo ha un’importanza essenziale per mantenere l’integrità della scienza. È il concetto creativo che ci permette di capire la vita. Solo riconoscendo tutto questo possiamo cominciare a riavvicinare intellettualmente la nostra umana esperienza e le nostre conoscenze scientifiche (350).

Se dunque la meccanica classica, la relatività e la meccanica quantistica descrivono il mondo attraverso equazioni indifferenti al segno temporale -le quali non distinguono tra la direzione verso il passato e quella verso il futuro- il Secondo Principio dimostra che in qualsiasi processo una parte dell’energia si disperde per sempre e non può più essere recuperata. Questa perdita sta alla base della freccia temporale che intride tutti i fenomeni ed essa può essere misurata con precisione mediante una grandezza definita entropia, la quale stabilisce la capacità di cambiamento di un sistema macroscopico isolato. Il Secondo Principio afferma che tale grandezza aumenta sempre e che quindi «lo stato futuro di un qualsiasi sistema isolato ha un’entropia superiore a quella del suo stato presente o del suo stato passato» (379).
Finché un sistema è in una condizione di non equilibrio dinamico l’entropia cresce. Quando essa non può più aumentare, il sistema ha raggiunto il suo stato di equilibrio termodinamico e di immutabilità, vale a dire di massimo disordine. Esso non può più mutare. Tale condizione coincide con la fine di ogni mutamento e dunque, per gli enti che sono vivi, con la morte, «quando il cadavere in decomposizione alla fine diventa polvere. La vita consiste in una molteplicità di processi (dalla divisione cellulare al battito cardiaco, dalla digestione al pensiero), ognuno dei quali può svilupparsi perché è lontano da uno stato di equilibrio» (184).

Auto-organizzazione, caos e divenire sono le condizioni stesse del mondo, dato che esso non costituisce una struttura piatta e sempre uguale a se stessa ma coincide con il divenire e il mutare di tutti gli enti dentro i processi che li comprendono e che gli enti contribuiscono a formare. In fisica il caos non significa confusione ma un diverso modo di dare ordine al divenire mediante l’imprevedibilità e la casualità, e dunque mediante una maggiore ricchezza di eventi.
L’intrecciarsi di ripetizione e imprevedibilità, di reversibilità e irreversibilità, di identità e differenza produce strutture temporali che sono insieme lineari e cicliche; dimensioni entrambe fondamentali nella struttura del tempo. Il Secondo Principio non implica nessuna ‘morte termica’ ma consente quella vera e propria ‘evoluzione creatrice’ della quale ha parlato anche Bergson. Il ‘perfetto stato di equilibrio termodinamico’ è bilanciato infatti dagli effetti gravitazionali, i quali implicano -dopo un tempo molto lungo- l’innescarsi di nuovi processi di non-equilibrio, i quali allontanano il sistema da ogni uniformità/identità per distendersi invece nella molteplicità/differenza.
Perché tutto questo ha a che fare con la termodinamica, vale a dire con la scienza che studia i rapporti tra calore e lavoro? Perché a causa dei processi dissipativi «quando il calore si riconverte in lavoro, esiste sempre uno spreco di energia. Una parte di esso si disperde» e questo «implica che tutte le trasformazioni dell’energia sono irreversibili» (174) e che dunque i processi naturali sono temporali. La crescita dell’entropia coincide con la stessa struttura temporale che intesse la materia, con il suo movimento in avanti, con la netta ed evidente differenza tra il passato e il futuro degli oggetti, dei fatti, della coscienza intrisa di ricordi di quanto è già accaduto e di attesa di quanto deve ancora accadere.
Il Secondo Principio afferma dunque la piena realtà dell’esistenza di tutte le cose, che coincide con la loro struttura temporale, poiché senza l’irreversibilità gli enti non potrebbero neppure esserci ed essere concepiti; il Secondo Principio garantisce anche la plausibilità di uno dei fondamenti dell’intera fisica, compresa quella relativistica, vale a dire il principio di causalità. «Solo in un mondo irreversibile», infatti, «le cause sono diverse dagli effetti, in modo da rendere possibile una narrazione logica degli avvenimenti» (346).
Al di là della matematizzazione relativistica e della meccanica quantistica, la quale nega la realtà oggettiva di tutto ciò che non può essere misurato -rischiando così di cadere in una forma di solipsismo matematizzante-, la realtà esiste come tessuto spaziotemporale del quale i singoli enti sono forma ed espressione. «L’esistenza obbiettiva della freccia del tempo non può essere negata. Se quest’idea esige una revisione di alcune nozioni scientifiche tradizionali, ben venga questa revisione» (307). In effetti, prendere sul serio una tesi che nega l’esistenza del tempo sarebbe come prendere sul serio una tesi che nega che io esisto.
Il contributo più importante del Secondo Principio alla comprensione del mondo e della materia è il superamento di uno dei dualismi che impediscono di cogliere la radice unitaria della realtà, il dualismo tra reversibilità e irreversibilità. La prima appartiene alla dinamica, la seconda alla termodinamica ma esse 

sono due facce della stessa medaglia. […] La struttura generale del mondo è assai più ricca di quanto il nostro linguaggio sappia esprimere e il nostro cervello sia in grado di comprendere. […] Il paradiso è retto da equazioni dinamiche reversibili e ‘atemporali’: il loro carattere semplice ne garantisce l’eterna stabilità. L’inferno è più vicino al mondo reale, nel quale regnano le fluttuazioni, l’incertezza e il caos. È un mondo instabile, che degrada verso l’equilibrio e la morte (332-333). 

Un equilibrio e un morire che si aprono sempre a nuove rinascite, poiché la materia è eterna; la materia è incomparabilmente più complessa di quanto le nostre ipotesi, equazioni, principi possano intendere; la materia è senza un inizio e una fine; la materia è l’Intero.

[L’immagine rappresenta una zona della nostra galassia a 25.000 anni luce dalla Terra]

Vai alla barra degli strumenti