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Guerre etniche

Sons of Denmark
(Danmarks sønner)
di Ulaa Salim
Con: Zaki Youssef (Ali), Mohammed Ismail Mohammed (Zakaria), Rasmus Bjerg (Martin Nordahl), Imad Abul-Foul (Hassan)
Danimarca, 2019
Trailer del film

A Copenhagen un attentato di matrice islamica miete decine di vittime. La piccola nazione danese si radicalizza nella violenza delle organizzazioni islamiste da una parte e dei movimenti ultraxenofobi dall’altra. Martin Nordahl guida un partito che ha come programma l’espulsione di tutti coloro che non sono cittadini danesi o che hanno ottenuto la cittadinanza come rifugiati. Diventa quindi l’obiettivo primario di una cellula islamista. Soltanto la presenza di un infiltrato (arabo) all’interno del gruppo islamista fa fallire l’attentato alla sua vita. Le organizzazioni xenofobe diventano sempre più violente e si riconoscono apertamente nel programma di Nordahl, il cui partito vince le elezioni a larga maggioranza. Qualcuno dovrà fermarlo.
La vicenda è ambientata da qui a qualche anno, nel 2025, e descrive il futuro prossimo e probabile dell’Europa: una condizione di endemica guerra civile tra etnie. È da irresponsabili (oltre che da ignoranti) pensare e agire come se gli esseri umani fossero soltanto individui irrelati tra loro, senza radici, senza legami, senza costumi, lingue e tradizioni condivise, senza identità. E invece Homo sapiens si è sempre organizzato, e sempre lo farà in quanto specie biologicamente sociale, in gruppi caratterizzati da differenze più o meno marcate, che nessun irenismo volontaristico può cancellare.
Non tener conto di questa struttura antropologica sta comportando lo sviluppo di sentimenti e idee di esclusione e rifiuto, come contrappeso a politiche di accoglienza universale. Gli elementi ospitati si sentono esclusi e non intendono, giustamente, rinunciare alle loro tradizioni, costumi, valori, in ogni campo della vita collettiva –familiare, alimentare, religioso, linguistico, sessuale. Gli elementi autoctoni si sentono esclusi dai propri spazi, minacciati nel reddito, nella sicurezza, nell’identità. L’insieme di queste tensioni fa sì che le società multirazziali diventino delle società multirazziste, come l’evidente fallimento del melting pot statunitense e il fallimento in atto di quello francese vanno ampiamente dimostrando.
Sons of Denmark racconta analoghe dinamiche che toccano la ormai non più tranquilla società danese e in generale scandinava. A Stoccolma, ad esempio, un intero quartiere, Rinkeby, è precluso agli svedesi di etnia bianca e anche questo ha indotto il più che accogliente parlamento di quella nazione a rivedere le proprie politiche sui migranti.
Grave e significativo è che le cause fondamentali dei flussi migratori –l’imperialismo statunitense che scatena guerre nell’Africa del Nord e nel Vicino Oriente, destabilizzando senza posa quei territori; le guerre israeliane contro gli arabi– producano conseguenze che non toccano né gli USA né Israele ma l’Europa, l’anello debole del colonialismo occidentale.
Nonostante tutto questo, l’intellighenzia e i decisori politici del nostro continente non sembrano rendersi conto di che cosa va preparandosi e continuano a difendere e a imporre pratiche di accoglienza universale. Le quali condurranno a un conflitto interetnico le cui conseguenze sono abbastanza facilmente prevedibili. Una comunità (e l’Europa, per quanto plurale sia al proprio interno, è una comunità rispetto a culture diverse dalla sua) la quale non si accorge per tempo dei pericoli di dissoluzione che la sovrastano è infatti destinata a spegnersi ed è giusto che si spenga. Anche per questo sono contento di non avere dei figli.
La fabula di questo film è dunque una lezione di sociologia dei fenomeni di conflitto e di assimilazione, che Ulaa Salim –regista di origini irachene nato in Danimarca– ben conosce.

Un giorno senza gli immigrati

Cose dell’altro mondo
di Francesco Patierno
Con: Valerio Mastandrea (Ariele), Diego Abatantuono (Golfetto), Valentina Lodovini (Laura), Vitaliano Trevisan (il tassista), Maurizio Donadoni (il sindaco), Laura Efrikian (la signora Verderame)
Italia, 2011
Trailer del film

Il Veneto, con i suoi splendidi centri storici, con le sue aziende, con i suoi bar. E con un numero assai grande di badanti e lavoratori non italiani che consentono alla vita sociale ed economica di quella regione di proseguire senza intoppi. Il Veneto, naturalmente, è sineddoche dell’intera Italia. E un italiano come tanti, un imprenditore di cancelli che possiede anche una piccola televisione locale, si fa espressione del desiderio di vedere tutti gli immigrati -nordafricani, filippini, slavi- «tornare a casa loro»; più esattamente, «andar fora dai coglioni». Per questo invoca pubblicamente uno tsunami, una catastrofe, un’apocalisse che ci liberi finalmente dagli stranieri. E uno strano temporale notturno lo accontenta. Il mattino dopo gli immigrati sono davvero spariti tutti. Le aule scolastiche sono dimezzate di bambini, le fabbriche e i campi non hanno più personale, gli anziani girano smarriti per le strade. Gli italiani chiamati a sostituirli non ci sono o chiedono salari altissimi. I sindaci disperati non sanno più che cosa fare. Vengono organizzati persino riti in cui si chiede perdono e si invoca il «ritorno a casa» degli stranieri. Ma stavolta la casa è l’Italia.

Esplicitamente ispirato a A day without a Mexican di Sergio Arau (2004), questo film affronta in modo surreale e drammatico, divertente e amaro, un problema serissimo che tocca l’intera Europa. Il timore di perdere la propria identità è legittimo e non lo si può liquidare con buonismi di varia natura. Chiudere le frontiere o sognare impossibili espulsioni di massa è però del tutto velleitario. E quand’anche vi si riuscisse, le conseguenze sarebbero proprio quelle descritte con ironia in Cose dell’altro mondo, sarebbero catastrofiche. Nessuno possiede una soluzione facile e indolore, poiché tale soluzione non esiste. Razzismo e xenofobia costituiscono in ogni caso degli ostacoli pesantissimi a un presente e a un futuro che dovranno essere di convivenza, di integrazione ma anche di rispetto delle differenze. Al di là del suo valore e dei suoi limiti, questo film ha il merito di ricordare a un ampio pubblico questa semplice verità.

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