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Мастер и Маргарита

Il Maestro e Margherita
(Мастер и Маргарита)
di Michael Lockshin
Russia, 2024
Con: Evgeniy Tsyganov (Il Maestro), August Diehl (Woland), Yuliya Snigir (Margherita), Claes Bang (Ponzio Pilato)
Trailer del film

Una di quelle opere impossibili da trasformare in immagini cinematografiche, perché sono esse stesse una visione. Anche questo è Il Maestro e Margherita (1940, I edizione 1966), opera cosmo, opera colma di libertà, satira, ironia e metafisica. Per questa sua natura è opera appunto impossibile da trasporre in immagini, come la Commedia di Dante, come la Recherche.
E infatti il film seleziona alcuni aspetti della trama e solo quelli: il conflitto tra il potere sovietico, nella forma del Sindacato Scrittori, e un drammaturgo e narratore, la cui opera dedicata a Ponzio Pilato viene cancellata dalla programmazione teatrale di Mosca; il rapporto tra questo scrittore e la sua Musa, una bellissima donna incontrata per caso e con la quale la consonanza è immediata; alcune delle azioni che, negli anni Trenta del Novecento, vengono attuate nella capitale sovietica da un consulente in magia nera, il tedesco Prof. Woland e dal suo bizzarro sèguito composto dal fedele Korov’ev-Fagotto, dall’enorme gatto nero Behemoth, da Azazello, dalla strega Hella sempre nuda e da Abadonna, la nuda morte.
Per esplicita ammissione del regista la vicenda viene declinata in una chiave fantasy che in realtà indebolisce il film poiché bastava anche in questo caso attenersi all’immaginazione di Bulgakov, che è assai più che fantasy, è inventrice di mondi e della loro verità . Chi conosce il libro può certamente gustare alcuni episodi del film che mettono in scena alcune sue parti. Chi non lo ha letto, però, difficilmente può farsi un’idea dell’abisso di pensiero che Мастер и Маргарита rappresenta.

Soprattutto due sono i limiti di questa messa in immagini.
Il primo è l’assenza della dimensione metafisica (sostituita appunto da quella fantasy), che pure lo stesso regista dice di essersi esplicitamente proposto di rappresentare.
Il secondo è lo spazio relativamente scarso dato al cuore del romanzo di Bulgakov, che non è la storia d’amore, non è il potere sovietico, non è neppure la potenza del Diavolo ben superiore a tutte le umane istituzioni. Il cuore del Maestro e Margherita è il rapporto tra il procuratore della Giudea Ponzio Pilato e l’imputato Gesù, portatogli davanti dal Sinedrio ebraico. «Se parleranno di me, parleranno subito anche di te!» dice Gesù a Pilato. E infatti ogni domenica in tutte le chiese cattoliche del mondo si ascoltano le seguenti parole: «Crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato; passus et sepultus est».
E invece nel film l’affermazione di Gesù scompare, insieme a molte altre. Il dialogo tra i due è scandito in latino (è sempre bello ascoltare questa lingua al cinema) e alla domanda di Pilato «Quid est veritas?» Gesù risponde, contrariamente al silenzio testimoniato dai Vangeli. Risponde penetrando nel cuore di Pilato, il quale sente che «tremendo si mostrava ora il dio ai suoi occhi», come ha aggiunto un altro grande narratore, Dürrenmatt.
Il romanzo si chiude certo sul Maestro e Margherita finalmente uniti ma l’ultima sua parola è per «il figlio del re astrologo, il crudele quinto procuratore della Giudea, il cavaliere Ponzio Pilato», che nel film di Lockshin non c’è più.

Vi appaiono invece esigenze di propaganda temporanea che danneggiano sempre un’opera d’arte. Per fortuna esse non toccano il film, che può essere tranquillamente visto e gustato prescindendo del tutto dalla Russia contemporanea. Esse toccano piuttosto il modo nel quale l’opera di Lockshin viene presentata nelle sale italiane. Ho visto infatti il film al cinema Anteo di Milano, in russo e in un’anteprima alla quale ha partecipato anche il regista, in collegamento da Londra.
A porgli le domande è stata una giornalista, della quale per fortuna non ricordo il nome, che lavora per un’agenzia di stampa italiana. Le domande tendevano tutte a proporre e a sottolineare il legame tra il film e l’opposizione al governo di Vladimir Putin. Ma Il Maestro e Margherita non è un romanzo – né lo è il film – contro Putin o contro Trump o contro questo o quell’uomo politico pro tempore al potere. Il romanzo è anche un disvelamento del potere in quanto tale, poiché «ogni potere è violenza sull’uomo» come Gesù dice a Pilato sia nel libro sia nel film.
Il regista è certamente critico verso l’attuale governo russo (per quello che si poteva capire da una traduzione in tempo reale fatta malissimo, come mi hanno confermato degli spettatori russi presenti in sala) ma rispondendo alle domande ha sottolineato (come era naturale che facesse) il significato «universale» sia del romanzo sia del suo tentativo di trasformarlo in immagini. E invece la propaganda filoatlantica non perde proprio occasione per mostrare la propria natura rachitica, capace solo di ricondurre ogni evento alla propria piccola e trascurabile dimensione provinciale.
La giornalista parlava di ‘pericoli di censura’. E però il film è stato all’inizio finanziato dal governo russo ed è liberamente uscito nelle sale di quel Paese. I pericoli di censura ci sono sì, sono grandi e riguardano ogni tesi, prospettiva, interpretazione e lettura che si discostino dall’occidentalismo e dal politicamente corretto che ammorbano le nazioni europee.
Ma per fortuna possiamo ancora guardare il mondo anche attraverso gli occhi di Woland, occhi che sono «una scintilla dorata, che avrebbe penetrato fin nell’intimo qualsiasi anima, il sinistro vuoto e nero, una specie di stretta cruna angolare, un orifizio nel pozzo senza fondo di tutte le tenebre e di tutte le ombre». Attraversare queste ombre è forse inevitabile per cogliere, sempre rinnovata e sempre necessaria, la luce delle libertà.

Woland

Il Maestro e Margherita
(Master i Margarita, 1940)
di Michail Bulgakov
Trad. di Vera Dridso
Einaudi, Torino 1996
Pagine 448
(Edizione Biblioteca di Repubblica)

Woland prende casa a Mosca negli anni Venti con il suo sèguito, composto dal fedele Korov’ev-Fagotto, dall’enorme gatto nero Behemoth, da Azazello, dalla strega Hella sempre nuda e da Abadonna, la nuda morte. Gli occhi di Woland sono la sua identità, perché «la lingua può nascondere la verità, ma gli occhi mai» (p. 188). E gli occhi di questo viaggiatore, consulente, mago, ipnotizzatore, artista, sono «una scintilla dorata, che avrebbe penetrato fin nell’intimo qualsiasi anima, il sinistro vuoto e nero, una specie di stretta cruna angolare, un orifizio nel pozzo senza fondo di tutte le tenebre e di tutte le ombre» (287).
Woland e i suoi assistenti organizzano uno straordinario spettacolo al Teatro di Varietà della capitale russa. In quella serata indimenticabile essi dimostrano di conoscere più di chiunque altro l’umanità, i suoi desideri, le passioni, l’ingenuità e la meschina avidità. Dopo quella serata lui e i suoi compagni causano incendi, prodigi, follie di ogni genere. Perché Woland è –come recita l’epigrafe dal Faust di Goethe- «una parte di quella forza che vuole costantemente il Male e opera costantemente il Bene»; infatti, «che cosa farebbe il tuo bene, se non esistesse il male? E come apparirebbe la terra, se ne sparissero le ombre? Le ombre provengono dagli uomini e dalle cose» (406).
Per il suo annuale ballo di gala, questa entità chiede di fare da padrona di casa a Margherita Nikolaevna, una donna bellissima e intelligente, che accetta l’invito solo perché ha compreso che in questo modo potrà di nuovo riavere l’uomo che ama con un trasporto totale e che l’invidia e la malvagità hanno ridotto a vivere in una casa di cura per malati di mente. Il Maestro che Margherita adora ha scritto una storia di Ponzio Pilato che non è piaciuta al potere comunista, che ha indotto l’Autore a tentare di bruciare il proprio manoscritto ma «nulla spariva, l’onnipotente Woland era davvero onnipotente» (337), tanto da restituire a Margherita il suo Maestro e al Maestro quella sua opera che è il vero, enigmatico, denso nucleo di questo romanzo di Bulgakov.

Il procuratore della Giudea sa bene che l’accusato che gli hanno posto davanti in quella mattina del giorno quattordici del mese di Nisan, quel «filosofo che aveva escogitato una cosa così incredibilmente assurda come la bontà universale degli uomini» (360), quell’ingenuo delinquente Jeshu-ha-Notzri, è innocente. Ma, per tante ragioni, non spinge la propria azione sino a salvarlo. Perché Pilato odia quell’orrenda fogna di fanatici che è Jerushalajim, perché è stanco di tutto, perché il Sinedrio tiene davvero alla morte di quello straccione, perché –soprattutto- è un poco vile. Ma quella condanna, di cui pure dichiara di lavarsi le mani, quella morte sul monte dietro la città, quella prova che «ogni potere è violenza sull’uomo», come Jeshua dichiara (35), non abbandoneranno più la sua vita e i suoi pensieri. L’Hanozri e il procuratore staranno sempre insieme -«se parleranno di me, parleranno subito anche di te!» (361) e questa immortalità, questa gloria senza tramonto, questa continua rimemorazione del suo nome nelle chiese di tutto il mondo, saranno parte della condanna di Pilato.

Ma proprio Margherita e il suo Maestro daranno a Pilato la pace, liberandolo dal suo destino di sogni e di incubi, di immobilità e di memoria, di aridi e sempre uguali pleniluni…«così parlava Margherita…e la memoria del Maestro, l’inquieta e martoriata memoria del Maestro cominciò a spegnersi. Qualcuno lo lasciava libero, come poco prima egli aveva lasciato libero l’eroe da lui creato. Questo eroe era scomparso, era scomparso irrevocabilmente, perdonato nella notte fra il sabato e la domenica, il figlio del re astrologo, il crudele quinto procuratore della Giudea, il cavaliere Ponzio Pilato» (432-433), il vero protagonista di questo inquietante, ironico, struggente e magnifico romanzo.

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