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Iran

Come non era difficile da prevedere, il pianeta sta arrivando alle soglie di una guerra mondiale, che nel XXI secolo significa una guerra nucleare. E questo a sua volta vuol dire che non è più improbabile il momento in cui potrebbero diventare realtà le parole assai lucide di Stanley Kubrick: «Non ci sarà nessuno a piangere una razza che usò il potere che avrebbe potuto mandare un segnale di luce verso le stelle per illuminare la sua pira di morte» (Logos, p. 404).

Sono tre le strutture politiche massimamente responsabili di tale rischio:
Israele, a causa del suo fondamentalismo religioso e del progetto di creare il ‘Grande Israele’ prefigurato nella Bibbia.
-Gli Stati Uniti d’America, con la loro identità imperialistica e anch’essa permeata della certezza religiosa di chi crede di avere un ‘destino manifesto’ di potere su tutta l’umanità. Quello degli USA è un impero in decadenza, nonostante la sua azione sempre più sanguinaria, come dimostrano anche le due ultime presidenze, affidate prima a un demente (nel senso clinico della parola) e poi a un soggetto incostante in ogni sua dichiarazione e non all’altezza della complessità delle situazioni, della cui parola non si fida più nessun altro stato.
-L’Unione Europea, il cui governo e ceti dirigenti fungono semplicemente da strumenti al servizio delle prime due potenze, avendo perduto, con le due guerre mondiali del Novecento, ogni autorità geopolitica.

Per cercare di dare qualche informazione un poco diversa dalla servile, asfissiante e tremenda struttura di menzogna costituita dalle televisioni e dai giornali italiani, pubblico qui alcune notizie, immagini e riflessioni relative all’aggressione iniziata da Israele il 13 giugno 2025 contro la Repubblica dell’Iran.

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[La storia del XXI secolo conferma la dinamica che da sempre guida le vicende politiche e i rapporti tra gli stati: il criterio primo e ultimo è la forza, semplicemente. Chi non se ne rende conto diventa complice del più forte (pro tempore). Eccone una prova, tratta dai probabili pensieri dell’Iran].

Salve, sono un piccolo/medio/grande attore locale, o una potenza regionale che per un motivo o per l’altro non ha ottimi rapporti con l’Occidente (loro dicono perché maltratto le donne, le minoranze, la comunità LGBTQIA+ e la cosa molto spesso è vera, ma a me continua a sembrare più probabile che il motivo sia che a casa mia c’è il litio, il lantanio, il petrolio, l’uranio eccetera, e che a casa loro economicamente le cose non vanno benissimo), e questo è quanto ho imparato dagli ultimi eventi (avrei potuto impararlo anche dalla questione ucraina, ma ero distratto).

1) La mia unica garanzia di sopravvivenza politica è l’arma atomica. Ovviamente svilupparla, produrla, schierarla e saperla utilizzare è una cosa difficilissima e costosissima, che non è alla portata di tutti. Dovrò legarmi a qualcuno che ce l’ha ed è disposto ad aiutarmi a svilupparla, se non addirittura a condividerla (difficile) o al limite a farmi ‘ospitare’ sue testate nucleari sul mio territorio, oppure sviluppare l’atomica cosiddetta “sporca”. Certo non ha lo stesso effetto, ma è meglio di niente. Anche le armi chimiche e biologiche, alla peggio, potrebbero essere un’idea. Alla peggio.

2) Negoziare con l’Occidente è inutile, serve solo a fargli guadagnare tempo per organizzarsi meglio, armare meglio i suoi proxy e piazzare i suoi uomini nelle mie istituzioni per minarmi dall’interno (questa non è una mia deduzione, è stato tranquillamente ammesso dalle stesse persone che negoziavano e firmavano gli accordi). Allo stesso modo devo evitare qualsiasi rapporto con agenzie tecnicamente neutrali (OSCE, AIEA eccetera) che non sono state costituite allo scopo di danneggiarmi ma hanno al loro interno persone che lo fanno, utilizzando le ispezioni e gli scambi concordati di informazioni per fornire dati ai miei avversari. Sempre allo stesso modo devo uscire immediatamente dai trattati che limitano in qualsiasi modo le mie capacità di difesa, tipo il Trattato di Ottawa sulle mine antiuomo (tanto non lo rispetta nessuno) o, per tornare al punto 1, il Trattato di non proliferazione nucleare. O la convenzione sulle armi chimiche.

3) Dal punto di vista della rappresentazione mediatica, in caso di conflitto più o meno aperto i media mondiali saranno inondati di dettagliatissime foto satellitari delle mie installazioni militari distrutte (allego foto del radar di Sobashi, in Iran, prima e dopo l’attacco israeliano. La foto del dopo è stata diffusa a pochissime ore di distanza), mentre per quanto riguarda l’Occidente o il suo proxy ci saranno solo foto di abitazioni o strutture civili (o presunte tali), in campo molto stretto. In questo modo l’opinione pubblica mondiale verrà convinta che io colpisco solo obiettivi civili (un po’ perché i miei armamenti sono arretrati e raffazzonati, quindi non precisi, e un po’, e forse soprattutto, perché sono cattivo) mentre il mio avversario colpisce solo obiettivi militari, con grande efficacia e precisione, senza fare nessuna vittima (dal satellite i morti non si vedono). Questo convincerà l’Occidente di essere nel giusto, e seminerà dubbi all’interno del mio paese.

4) Organizzazioni liquide come BRICS, SCO eccetera non servono a niente. Oltre all’atomica la mia unica speranza di salvezza è una rete di alleanze militari come quelle che legano i paesi occidentali e gli alleati statunitensi nel Pacifico, che mi garantirebbe un minimo di sicurezza in maniera più pratica, più economica e più veloce che sviluppare l’atomica. Certo, rischierei di essere coinvolto in conflitti che non mi riguardano direttamente e/o di mettermi al servizio di interessi altrui, per quanto non occidentali, ma sempre meglio che essere bombardato o che mi si organizzi una rivoluzione colorata nel cortile di casa. Se l’Occidente ha una rete di alleanze militari, anche il non-Occidente deve averla per sperare di cavarsela, altrimenti da solo ogni paese, fosse l’Iran, la Russia o anche la Cina, rischia moltissimo.

Benvenuti nel mondo nuovo. Non è molto diverso da quello vecchio.

Fonte: https://t.me/PinoCabrasPino/5194

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Giù le mani dal’Iran
Rivista Indipendenza, 16.6.2025

Attaccare una nazione sovrana.
Tentare di assassinare la dirigenza di una grande nazione.
L’entità senza Costituzione e senza confini chiamata Israele, non paga del genocidio che sta conducendo a Gaza e Cisgiordania con la sostanziale connivenza e impunità da parte degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e del cosiddetto Occidente, non paga di attaccare Paesi arabi (Libano, Yemen, Siria…), attacca di nuovo e più pesantemente l’Iran.
Quello che sta accadendo e si sta determinando in queste ore, plasmerà il futuro.
Solidarietà con la Repubblica islamica dell’Iran, solidarietà con il popolo iraniano.

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Bilancio provvisorio (ancora in corso gli attacchi sionisti le cui autorità hanno comunicato che gli attacchi continueranno per giorni o settimane):
Luoghi presi di mira/assassinii da parte di Israele oggi:

Omicidi militari:
– Capo di Stato Maggiore dell’IRGC Hossein Salami
– Generale dell’IRGC Gholamali Rashid
– Maggiore generale Mohammad Bagheri, capo di stato maggiore delle forze armate iraniane

Scienziati nucleari:
– Dott. Fereydoun Abbasi
– Dott. Mohammad Mehdi Tehranchi
– Dott. Abdolhamid Minouchehr

Attacchi a:
– Qeitarieh, Teheran
– Niavaran, Teheran
– Teheran ovest e Chitgar
– Teheran Est
– Mehrabad, Teheran
– Mahalati, Teheran
– Shahid Chamran, Teheran
– Grattacielo a Kamranieh, Teheran
– Saadat Abad, Teheran
– Anderzgoo, Teheran
– Complesso a Sattarkhan, Teheran
– Insediamento di Shahid Daghayeghi a Teheran
– Farahzadi, Teheran
– Quartier generale dello Stato maggiore delle forze armate, Teheran
– Residenza di Ali Shamkhani
Shahrara, Teheran
– Complesso degli insegnanti di piazza Sadat Abad, confine di Teheran

Altre città e località:
– Sito nucleare di Natanz
– Impianti nucleari di Parchin
– Basi militari a Teheran e nella provincia di Qom
– Khorammabad
– Hamedan
– Parchin
– Qasr Shirin
– Tabriz
– Piranshahr
– Kermanshah
– Ilam
– Impianto di acqua pesante di Arak

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https://x.com/MaxBlumenthal/status/1934475079548539032#

È attualmente in corso un gigantesco dispiegamento dell’aeronautica militare statunitense, con oltre 20 aerei cisterna per il rifornimento in volo attraverso l’oceano, insieme a molte altre risorse militari, mentre Netanyahu spinge Trump ad unirsi alla guerra di Israele contro l’Iran.
Sono certo che Trump non vuole che gli Stati Uniti siano direttamente coinvolti nella guerra, che fantastica di vincere un premio Nobel ponendo fine alla guerra e che, in ogni caso, è troppo mentalmente pigro per gestire un conflitto del genere.
È anche chiaro che la sua base non ha alcun desiderio di combattere una guerra neoconservatrice a favore di Israele. Influenti sostenitori di America First come Tucker Carlson e MTG stanno ora intensificando la loro opposizione perché sanno che ciò saboterà ciò che resta dell’agenda interna di Trump.
Ma forse c’è poco che possano fare. Il fatto è che Trump è comprato e comandato dalla classe dei miliardari sionisti. E dopo due tentativi di assassinio, è riluttante a sfidare un boss mafioso come Miriam Adelson o le forze malevole che rappresenta.
In effetti, Trump trema di fronte alle risorse israeliane nel suo campo. È come un cervo abbagliato dai fari di un carro armato Merkava. E non solo è debole, ma anche abbastanza delirante da credere di poter cambiare argomento e parlare di immigrazione o di qualche altra ossessione da guerra culturale dopo aver acconsentito alle richieste maniacali di Netanyahu.
Ciò significa che nelle prossime 48 ore Trump potrebbe dare il via libera a una guerra psicotica per un cambio di regime che nessun paese al mondo vorrebbe, fatta eccezione per Israele, che moltiplicherà di cento volte la miseria umana della regione, affosserà l’economia globale, metterà un bersaglio sulla schiena degli americani e gli assicurerà un posto tra i più grandi perdenti della storia.

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I criminali sionisti dell’entità che si chiama Israele non soltanto ammettono di utilizzare metodi terroristici, come le autobombe contro scienziati iraniani, ma se ne vantano. Usque tandem?

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Indipendenza Rivista e Associazione, [15/06/25 00:40]
BREVI SULLA GUERRA DI AGGRESSIONE DI ISRAELE ALL’IRAN (1)

– Sergei Ryabkov (viceministro degli Affari Esteri della Russia): «Non importa quanto Israele cerchi di presentare ora la situazione come se fosse stata causata una lesione e un danno irreparabili, che gli obiettivi fossero stati raggiunti e così via, finirà per ritrovarsi con una situazione peggiore di quella precedente a questa azione. Non voglio anticipare nulla, ma la determinazione della parte iraniana parla da sola».
– Il Ministro della Difesa pakistano, Khawaja Asif, ha affermato in Parlamento di aver fornito informazioni di intelligence all’Iran sull’imminenza degli attacchi e su quelli prossimi israeliani contro i suoi impianti nucleari. Ha detto anche che Israele sta prendendo di mira Yemen, Iran e Palestina e che «se il mondo islamico non si unisce ora, affronteremo tutti lo stesso destino».
– L’agenzia di stampa Fars, iraniana, riporta che Israele ha preso di mira una delle raffinerie della “fase 14” del giacimento di gas South Pars a Kangan, città portuale nel sud dell’Iran, provincia di Bushehr, provocando una forte esplosione. L’incendio che ne è seguito è stato spento ma intanto la produzione di gas nello stabilimento è sospesa. Il giacimento, che l’Iran condivide con il Qatar, è uno dei più grandi al mondo, ed è fondamentale per le esportazioni del paese. La fase 14 è una delle aree in cui è suddiviso il complesso, e ospita impianti strategici per l’estrazione e la lavorazione del gas. Il ministero del petrolio iraniano ha detto che è stata presa di mira anche la Fajr Jam Gas Refining Company, che come South Pars si trova nella provincia di Bushehr. In serata attaccati anche il deposito di petrolio e il serbatoio di carburante di Shahran, nel sud di Teheran. Ciò indica che Tel Aviv ha ampliato la portata dei suoi attacchi e diversificato i suoi obiettivi, includendo infrastrutture economiche ed energetiche. Il che eleva il confronto a un nuovo livello. Teheran ha risposto poche ore dopo, con una seconda ondata di attacchi missilistici che stanno colpendo importanti impianti energetici israeliani e strutture vitali ed economiche. Tra queste anche il porto di Haifa, inclusi magazzini che dalle prime informazioni conterrebbero ammoniaca ed altri materiali pericolosi e la raffineria di petrolio. Attraverso questo porto, passa oltre il 30% delle importazioni israeliane. Le prime segnalazioni degli attacchi in corso parlano di un’interruzione generalizzata della rete di distribuzione elettrica nelle regioni centrali dei territori occupati. Hifa ospita anche la base di addestramento dell’aeronautica Bahad 21 e l’edificio del Ministero degli affari della guerra.
– Ad Haifa ed Eliat si segnala il fallimento totale della difesa aerea israeliana. Gli iraniani sovraccaricano la difesa aerea israeliana con missili di vecchia generazione per esaurirla e far subentrare poi modelli più avanzati in grado di effettuare attacchi di precisione. Si conferma quanto già visto con le due operazioni Promessa Veritiera 1 e 2: le difese antimissile israeliane sono perforabili e gli obiettivi prefissati colpiti con estrema precisione. Conclusa la prima ondata di attacchi, secondo fonti giornalistiche iraniane ne seguiranno altre due.
– Axios, citando un alto funzionario israeliano, riferisce del fallimento dell’operazione israeliana in Yemen di assassinio di uno dei principali comandanti militari di Ansarallah. Il quotidiano israeliano Haaretz riferisce, nella tarda serata di sabato 14 giugno, di attacchi dell’aeronautica militare statunitense contro lo Yemen.
– Oggi, sabato 14 giugno, sono stati arrestati in Iran 73 persone, tra agenti e collaboratori del Mossad. Tra questi, cittadini di India, Iraq e Ucraina. Ne dà notizia l’Iran Daily 24.
– Il capo dello Shin Bet (servizio segreto interno israeliano), Ronen Bar, si è dimesso nel bel mezzo della guerra. Lo riferiscono fonti israeliane.

Indipendenza Rivista e Associazione, [15/06/25 02:19]
BREVI SULLA GUERRA DI AGGRESSIONE DI ISRAELE ALL’IRAN (2)

– Aerei da combattimento dell’esercito giordano, statunitense, britannico ed israeliano sono decollati per contrastare la seconda ondata di attacchi iraniani, prevista stanotte in risposta alle aggressioni di oggi.
– Fonti USA: basi militari turche in Siria hanno bloccato gli aerei israeliani diretti a bombardare obiettivi in Iran. La notizia è da approfondire e valutare bene.
– Peter Hegseth (capo del Pentagono) ha confermato quanto dichiarato alle udienze del Congresso, e cioè il trasferimento dei sistemi anti-UAV (anti-droni) dall’Ucraina in “Medio Oriente” a protezione delle proprie basi. La notizia evidenzia le difficoltà degli USA a ‘coprire’ due conflitti contemporaneamente.
– Axios: Israele ha chiesto all’amministrazione Trump di entrare in guerra con l’Iran per distruggere il suo programma nucleare. Un funzionario statunitense ha detto che l’amministrazione non sta attualmente prendendo in considerazione una mossa del genere.
– «Per distruggere il programma nucleare iraniano, abbiamo bisogno di un’assistenza intensiva da parte degli Stati Uniti. È qualcosa che Israele non può fare da solo». Così Kan News, che cita un alto funzionario della difesa israeliano.
– «La Cina condanna con fermezza la violazione da parte di Israele della sovranità, della sicurezza e dell’integrità territoriale dell’Iran, si oppone con fermezza ai brutali attacchi contro funzionari iraniani e vittime civili e sostiene l’Iran nella salvaguardia della propria sovranità nazionale, nella difesa dei propri diritti e interessi legittimi e nella sicurezza della vita delle persone». Così il Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, al telefono con il suo omologo iraniano, Abbas Araqchi.
– Putin e Trump: telefonata di 50 minuti sulla situazione in “Medio Oriente”. Putin ha condannato l’attacco israeliano all’Iran. Trump ha detto che la situazione è «molto allarmante».
– Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman: Israele sta facendo tutto il possibile per provocare un confronto militare tra Stati Uniti e Iran.
– Nafiseh Koonnavard, corrispondente senior della BBC: «Gli attacchi dell’Iran [in corso stanotte, 14-15 giugno, ndr] contro Israele non hanno precedenti; non abbiamo mai assistito a un attacco di questa portata; non era mai successo niente del genere prima!».
– Perché il capo dello Shin Bet (servizio segreto interno israeliano), Ronen Bar, si è dimesso nel bel mezzo della guerra? Alcune fonti israeliane parlano di un «incidente difficile e sfortunato» nel nord della Palestina occupata. Di solito, quando i sionisti parlano di un incidente grave, intendono che qualcuno o qualcosa è stato preso di mira, nel qual caso lo Shin Bet era responsabile della sua sicurezza. C’è chi ipotizza che sia morto e che venga occultata la notizia con le sue dimissioni. Altre fonti parlano di «disaccordi con Netanyahu». Se ne saprà di più, forse, nelle prossime ore.
– Radio Israele: arrestati due israeliani per spionaggio a favore dell’Iran.
– Iran Daily 24: abbattuto un caccia israeliano sopra la città di Khorramabad intorno all’1:00 del 15 giugno.
– Canale 13, israeliano, riferisce di due ufficiali di alto rango dell’intelligence rimasti gravemente feriti negli scontri di sabato con i combattenti delle Brigate Qassam a Khan Yunis, Striscia di Gaza meridionale. Hamas opera ancora utilizzando una vasta rete di tunnel sotterranei, la maggior parte dei quali Israele non è ancora riuscita a distruggere.
– Si sta configurando la portata dell’attacco ad Haifa. Israele ha due grandi raffinerie: Haifa e Ashdod. Oltre a produrre l’80% della benzina e del gasolio israeliani per i veicoli pesanti, la raffineria di Haifa produce cherosene (olio bianco) per il carburante per aerei. Se questa raffineria non fosse disponibile per il regime sionista, si tratterebbe di un duro colpo.
– Lunedì 16 giugno il parlamento iraniano voterà sull’uscita dal Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) e sull’imposizione di «restrizioni al transito» sullo Stretto di Hormuz.

https://t.me/s/rivistaindipendenza

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Arroganze e violenze eurosioniste.

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Psicopatologia di Israele

(video di un minuto e 22 secondi)

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Andrea Zhok (professore associato di Filosofia morale alla Statale di Milano)
(13.6.2025)

Lo Stato Canaglia di Tel Aviv per l’ennesima volta dimostra di essere la più pericolosa costruzione politica della storia.
Il massiccio attacco notturno all’Iran, a freddo, devastante per infrastrutture civili preziose, con numerose vittime civili, è l’ennesima pagina tragica di una storia mediorientale definita dalla presenza di questo stato-nazione completamente fuori controllo.
Nessuno stato in precedenza ha mai avuto questa combinazione di suprematismo etnico, disprezzo assoluto della vita altrui, indifferenza al diritto internazionale, e disponibilità di armamenti terminali.
Una nazione che è una minaccia per il mondo intero.

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IL PRIMO COLPO
di Vincenzo Costa (professore ordinario di Filosofia teoretica all’Università Vita e Salute di Milano)
13.6.2025

L’Occidente attacca su tutti i fronti.
1) attacca la triade nucleare russa, che rappresenta la garanzia per la sovranità della Russia. Lo fa utilizzando la lealtà dei russi che, ottemperando a un trattato per il controllo delle armi nucleari, hanno lasciato in bella vista i bombardieri strategici. L’attacco ucraino, reso possibile dall’inghilterra, è una violazione e una distruzione di ogni fiducia. Mira a creare il caos.
2) L’Europa si riarma, e lo fa per attaccare la Russia, non per difendersi. La Russia sa che una volta completato questo riarmo sarà in pericolo.
3) gli USA si sganciano dall’Ucraina e dall’Europa per concentrarsi sul pacifico, cioè su un conflitto con la Cina a partire da Taiwan, ma che riguarda molti altri aspetti.
4) Israele non ha più limiti al suo delirio: uccide, bombarda, stermina, la legge promana da Israele e Israele è al di sopra di ogni diritto internazionale. Mira a fare divampare una guerra in Medio Oriente, forte del fatto che tutte le cancellerie occidentali, al di là di qualche piccola frasetta, saranno servitori fedeli di Israele, qualsiasi cosa questo faccia.

L’occidente attacca e attaccherà su ogni fronte. Ma in maniera selettiva. La Russia, la Cina, l’Iran. Cambia la tattica, tra Biden e Trump, ma non la strategia: l’Occidente muore se non distrugge Cina, Russia e Iran, e con essi i Brics. 

L’Occidente e’ entrato in una crisi sistemica.
1) il debito pubblico USA è fuori controllo
2) l’economia occidentale non è più in grado di competere sul mercato con quella cinese e coi BRICS, deperisce ogni giorno che passa.
3) la Russia e gli altri Paesi possiedono terre rare e risorse naturali senza di cui l’Occidente è inerme. 

Per l’Occidente, per questo Occidente, è un problema esistenziale: se non distrugge ciò che sta nascendo muore.
Non è un Occidente che può vivere e prosperare in un mondo multipolare, ha bisogno del vecchio ma sempre necesssrio “scambio ineguale”.
Ha bisogno di dominare gli altri con sanzioni, con il FMI. Ma tutto ciò non serve più perché il sud globale, coi BRICS, si è emancipato da questi ricatti o, almeno, può resistere ad essi.
E allora l’unico mezzo per uscire da questa crisi sistemica è la guerra: questa non è un’opzione morale, ma una necessità sistemica.
E quindi alza la posta ogni giorno, crea ogni giorno le premesse del conflitto: l”Occidente vuole COSTRINGERE gli altri a reagire, ma a farlo in maniera parziale. Vuole che risponda la Russia, o l’Iran. Cerca conflitti regionali, la guerra a pezzi. Questa può vincerla. 

Sinora ha trovato un mondo equilibrato, misurato, ma a quel mondo sono chiare due cose:
1) appena completato il riarmo le provocazioni saranno quotidiane, sempre più gravi, e a quel punto il conflitto, oramai inevitabile, sarà loro sfavorevole;
2) che affrontare la sfida occidentale in maniera separata li porta alla sconfitta: Cina, Russia, Iran possono non essere distrutte solo se agiscono insieme. E prima che sia troppo tardi. La guerra deve essere globale se non vogliono essere distrutte.
Non hanno molta scelta: o agire insieme, e nei tempi utili, o perire.

PS. Aggiungo: bisogna capire che Trump non è più il presidente degli USA. Per due volte ha dovuto dire di non esser coinvolto. Nulla è sotto il suo controllo. Nessuno può fare un accordo con lui, perché non conta niente.
Il caos oramai domina tutto. Il caos è il pericolo estremo.

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Israele si conferma una struttura statale fuori dal diritto internazionale, fuori da ogni responsabilità politica, fuori da ogni regola etica, fuori dalla convivenza tra i popoli.
E la storiella della Russia aggressore e dell’Ucraina aggredita? Per Israele non vale ovviamente. Per la semplice ragione che Israele ha diritto di fare tutto senza subire alcuna conseguenza.

La realtà dei fatti è che coloro che governano Israele non sono degli uomini politici, sono soltanto degli assassini.

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Tra le parole più sagge pronunciate da un politico (e da me lette) negli ultimi anni. Bisogna conoscere la storia per scriverle. I politici occidentali non sanno più nulla.

[Il mondo può andare avanti senza gli Stati Uniti.
Cento anni fa, l’Impero Britannico dominava il commercio globale, controllando più del 20% della ricchezza mondiale. Molti credevano che il suo sole non sarebbe mai tramontato.
Duecento anni fa, la Francia dominava la scena europea, i suoi eserciti temuti, la sua cultura invidiata. Napoleone si dichiarò immortale.
Quattrocento anni fa, la corona spagnola regnava da Manila al Messico, le sue flotte del tesoro cariche di argento e seta. I re pensavano che la loro gloria sarebbe durata per l’eternità.
Ogni impero si proclamava indispensabile. Ognuno fu alla fine eclissato.
Il potere declina, l’influenza migra, e la legittimità muore nel momento in cui viene data per scontata anziché conquistata.
Se l’America dovesse perdere il rispetto del mondo, scoprirà quello che ogni impero caduto ha imparato troppo tardi: Il mondo va avanti. Sempre.]

Metafisica / Fenomenologia

Recensione a:
Margini del trascendentale. Questioni metafisiche nella fenomenologia di Husserl
di Vincenzo Costa
Scholé-Morcelliana
Brescia 2024, pp. 232
in Giornale di Metafisica
Volume XLVI, numero 2/2024 [ma uscito nel marzo 2025]
Pagine 597-599

Una delle ragioni di costante fecondità dell’approccio fenomenologico al mondo è il suo porsi in gran parte al di là di alcune delle più consolidate contrapposizioni teoretiche che intramano il pensiero moderno. E questo mediante un andare alle cose stesse che significa in primo luogo accogliere il mondo come luogo e struttura che nello stesso tempo è e si manifesta, che accade nel suo manifestarsi e si manifesta perché c’è e non perché una qualche mente lo pensi. Se possiamo apprendere l’esistenza di un ente e i modi del suo esistere soltanto perché essi si manifestano a noi, questo non vuole dire che l’esistenza di quell’ente sia qualcosa di coscienziale e interiore, e assolutamente non vuol dire, non può voler dire pena l’irrazionalismo solipsistico, che quell’ente sia costruito dalla nostra coscienza, da essa prodotto, da noi dipendente.
Che il mondo sia una mia rappresentazione può significare solo che io articolo le sue manifestazioni nei modi in cui la struttura del corpomente che sono permette di articolarli ma esso, il mondo e tutte le sue manifestazioni, sono interamente e sempre autonomi dall’esistenza mia, dell’umanità, di qualunque entità che elabora delle rappresentazioni. Afferma efficacemente Costa: «In ogni caso, l’esse non è il percipi»; con il linguaggio di Husserl si può dire che la sintesi operata dalla coscienza sui dati percettivi è sempre una sintesi passiva, che esperisce strutture oggettive e autonome dalla coscienza mentre alla coscienza si manifestano.

I nemici delle libertà

Il collega Vincenzo Costa – professore ordinario di Filosofia teoretica nell’Università Vita e Salute di Milano – ha sempre il pregio della chiarezza, della sintesi e del coraggio. Condivido per intero la sua analisi della fine di ciò che è stato la sinistra.
Aggiungo solo che quanto oggi chiamiamo sinistra e ciò che definiamo destra sono due costrutti linguistici atti a perpetuare il dominio, la confusione, l’illusione di stare da una parte o dall’altra quando invece si è di fatto componenti di una stessa struttura politica ed esistenziale, tesa a colonizzare il pensiero, l’Europa, la nostra vita quotidiana.

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Io ho paura della sinistra
Vincenzo Costa, 22.9.2024 

Io ho paura della sinistra.
Non che interessi a nessuno o che abbia qualche rilevanza. Ma credo che per onestà tra tutti noi e gli amici che mi hanno chiesto l’amicizia bisogna fare un po’ di chiarezza.
C’è chi ancora critica la sinistra per farla tornare ad essere ‘sinistra”. Costoro pensano che comunque sia meglio della “destra”.
E c’è chi invece pensa che da questa sinistra, dalla sua cultura, dai suoi gruppi dirigenti e anche dal suo elettorato non possa venire nulla di buono.
C’è chi ha paura della “destra”. Per quanto questa destra sia odiosa, volgare, con elementi da studiare col metodo lombroso, io ho più paura della sinistra.

Non ho paura del fascismo di destra, ma del totalitarismo della sinistra.
Questi non solo hanno tutti i mezzi di informazione ma vogliono chiudere quei pochi mezzi di comunicazione che utilizza chi dissente.
I fascisti veri, odierni, sono Gentiloni, la Von der Leyen, Bonelli, che vorrebbe impedire di parlare ai negazionisti.
Io ho paura di questi, ho paura dei preconcetti della cultura di sinistra, delle etichettature. Non si può parlare con gente di sinistra, perché il codice è psicotico.
Tu poni un problema sull’immigrazione, sul rischio che si cancellino le culture, sull’esercito di riserva industriale e subito il solito salame sull’identità etc.
Che avere un’identità sembra una sorta di infamia. Che le culture sono il male. Certo, meglio l’infifferenziato, la melassa.
C’è chi pensa che la Rackete sia una compagna, e chi (come me) pensa che appartenga a quelli che per nascita cadono sempre insieme. Una privilegiata.
E se non ci piace Salvini e il suo ghigno, non ci piace neanche chi viola la sovranità del nostro paese, che ancora non è proprietà di Soros.
C’è chi ama la Salis, la compagna da tirare fuori dalle carceri fasciste (ste cazzate mi tocca ancora sentire), e chi , come me, la disprezza, ma proprio radicalmente.
Perché se una va a fare il turismo antifascista nell’unico paese che nella NATO si oppone alla follia della guerra o è stupida o, beh, mi evito di dire, che il buon Greaber aveva le idee chiare su come la CIA oramai usasse le organizzazioni di sinistra quale miglior alleato.

Io penso che da questa sinistra non possa venire niente di buono, che la sua cultura sia un insieme di pregiudizi, che si muova ancora come se il potere fosse la nobiltà e il clero, le oppressioni fossero quelle delle tradizioni clericali, della monarchia.
Ci si vede come se si vivesse nel 700.
Penso sia inutile questa sinistra, che sia la punta avanzata dell’oppressione, la faccia linda del dominio, che alla fine è una sorta di internazionale pelosiana.

Non mi piace la destra, ma non mi fa paura.
Sono volgari, ma si possono combattere.
La sinistra mi fa paura, e’ subdola, maschera il potere coi buoni sentimenti, e’ il modo in cui il potere si impone oggi.
A me tutto ciò che è di sinistra irrita, lo avverto falso, meschino, un sentimento mortifero della vita.
Mi irrita il fronte popolare, che ha portato voti a Macron, mi irrita il campo largo, mi danno fastidio i 5 stelle, che il governo contro la guerra con chi lo fanno poi, col PD? non reggo la famiglia fratoianni, gente senza arte né parte, che non ha mai lavorato un giorno.
Forse non nascerà più niente, ma se qualcosa mai nascerà non nascerà da questa immondizia, ma contro di essa
Ora, ho fatto il post per onestà. Ognuno è libero di togliere l’amicizia.
Onestamente a sinistra per me manca l’aria, si soffoca. E la libertà non ha prezzo.

[Il dipinto in apertura è di Giuliano Giuggioli]

Riscoprire Husserl

Husserl
di Vincenzo Costa
Carocci, 2009
Pagine 232

 

Costa_HusserlLa fenomenologia fu dal suo fondatore sempre concepita e praticata come un metodo, anzi «come il metodo stesso della filosofia», in grado di «abbracciare la totalità dei problemi filosofici» (p. 24).
Il rifiuto del naturalismo non è soltanto metodologico ma è anche metafisico e consiste nella critica a ogni forma di ingenuo realismo che ritiene di poter cogliere un mondo indipendente dal fenomeno, vale a dire da come la soggettività trascendentale (non quella empirica) costruisce la realtà stessa mentre la percepisce, la valuta, la vive. Il contenuto di qualsiasi percezione può costituire un errore ma il fatto che io veda ciò che vedo non può essere mai un inganno, proprio in quanto è ciò che la mia coscienza sta in questo momento vivendo. Come anche Meinong sostiene, gli enti possono consistere (Bestehen) anche quando il loro correlato fisico ed empirico non esiste: «L’albero che vedo forse non esiste, ma non vi è dubbio che io vedo un albero» (27). Se «posso essere colpito da oggetti che non esistono» questo significa che a costituire il mondo della coscienza, e dunque il mondo, non sono le cause empiriche bensì le motivazioni intenzionali poiché -scrive Husserl- «la relazione reale viene meno quando la cosa non esiste, la relazione intenzionale invece sussiste» (134). La riduzione fenomenologica è quindi il darsi del mondo senza presupporne l’esistenza al di là del suo apparire, della sua radicale fenomenizzazione. Possiamo essere certi dell’immanenza degli enti, del modo in cui ci appaiono, non della loro trascendenza, del mondo in cui sarebbero al di là del loro apparire. È esattamente questo il luogo della certezza filosofica. Esso si chiama intenzionalità ed è fatto della materia sensibile che appare (hyle), del modo in cui appare -come percezione, immaginazione, credenza, calcolo o altro- (noesi), del contenuto di tale apparire in quanto apparire, dell’ente/evento come viene percepito, immaginato, creduto, calcolato (noema).
Materia, noesi e noema sono sempre semantici e temporali; sono «il senso che lega in unità una molteplicità di sensazioni» (46); sono « la forma che essi delineano» (90); sono l’insieme degli enti, degli eventi e dei processi per noi colmi di significato. E tutto questo è possibile perché questo senso e tale forma costituiscono se stesse come strutture temporali, essendo la temporalità «una forma di ordinamento senza della quale niente potrebbe apparire» (51). Non, però, come struttura esterna ed estranea agli enti, agli eventi e ai processi ma come il modo stesso della loro manifestazione, che in fenomenologia equivale al modo stesso del loro costituirsi ed essere.
È anche a motivo di questo nostro percepire il tempo che intesse le cose e le loro relazioni che «noi vediamo costantemente più di quanto ci è dato sensibilmente» (82), poiché ciò che Aristotele e Kant hanno chiamato ‘categorie’ non viene soltanto pensato ma ci è dato intuitivamente attraverso la capacità che il nostro corpomente possiede di collocare ogni singolo ente e ogni evento in un tessuto semantico e temporale che non sta evidentemente nella materia ma abita nel modo in cui essa si costituisce nella coscienza, sta -appunto- nel fenomeno.
Un radicale teleologismo della ragione sta al cuore della rigorosa presentazione che Vincenzo Costa ci offre del filosofo. Dalle Ricerche logiche alla Crisi delle scienze europee e alla mole sterminata di manoscritti, la fede -non c’è altro modo di definirla- di Husserl consiste nella convinzione che «storia non significa semplicemente cambiamento, ma sviluppo guidato da un’idea infinita, orientato verso un telos» (178) che affonda nel Wille zum Leben inteso non come volontà senza senso e senza scopo ma in quanto «nucleo di assoluta razionalità in via di dispiegamento, in corso di manifestazione» (203). Non dunque l’accoglimento dell’umano come finitudine consapevole di se stessa ma come vita di un io trascendentale che -scrive Husserl- «è la vita di un essere finito diretto verso l’infinità» (cit. a p. 206).
Qui la differenza con Heidegger è chiara e fu anche esistenzialmente drammatica nel passaggio dalla formula «la fenomenologia siamo io e Heidegger» (anno 1916) al netto distacco testimoniato da una lettera a Ingarden del dicembre 1929: «Sono giunto alla conclusione che non posso inquadrare l’opera [Sein und Zeit] nell’ambito della mia fenomenologia, e purtroppo, anche dal punto di vista del metodo e addirittura nell’essenziale, dal punto di vista del contenuto (sachlich), la devo rifiutare» (pp. 211 e 213).
E tuttavia -e pur nella differenza- Husserl e Heidegger condivisero sempre e sino in fondo lo sguardo fenomenologico verso enti eventi e processi, pur diversamente declinato. Il logicismo si declina -nei manoscritti che via via vengono pubblicati- anche come metafisica fenomenologica che ha nella soggettività trascendentale e nel richiamo all’esperienza i propri fondamenti, qualcosa di non così dissimile e così lontano dall’analitica esistenziale: «Non si tratta più di comprendere perché appare un mondo, ma che cosa caratterizza la struttura profonda dell’essere, e questa è accessibile appunto interrogando quell’essere che noi stessi siamo. Mentre la metafisica classica (compresa quella di Spinoza e Schopenhauer), almeno agli occhi di Husserl, cercava di accedere alle strutture dell’essere oltrepassando il fenomeno, per Husserl non si tratterà di niente di simile, bensì di scavare all’interno della vita del soggetto per mettere in luce ciò che ha permesso e permette ogni storia e ogni movimento dell’essere. Per accedere alle strutture profonde della realtà e dell’essere bisogna cioè interrogarsi e interrogare quella vita trascendentale che costituisce ogni mondo, che permette al mondo di apparire» (193).
Sarebbe stato davvero possibile per Heidegger soffermarsi così a lungo e così genialmente sul Dasein senza avere dietro e a fondamento il primato della coscienza genetica e del Leib? Il primato di quel corpo isotropo per il quale «lo spazio si organizza a partire da un luogo privilegiato, quello di volta in volta occupato dal mio corpo vivo, cioè dal mio qui […] cioè dal mio corpo vivo che funge da punto centrale o centro dello spazio» (128-129). Il primato di una «vita dell’io» che «precede il suo sapersi» (186) prima ancora che esso diventi consapevole di se stesso (e qui sembra di vedere il proto-Sé di cui parla Antonio Damasio). Il primato di una volontà non intellettualistica ma neppure irrazionale, per il quale «la genesi della volontà, e di ciò che chiamiamo soggetto del volere, coincide in primo luogo con la formazione di un soggetto padrone dei movimenti del proprio corpo vivo» (195-196).
L’essere avrebbe potuto coincidere con il tempo senza la convinzione husserliana [Ms. A V 21/61a]  che quanto viene «descritto in termini puramente statici è incomprensibile, e non si sa a questo proposito mai che cosa sia radicalmente significativo e che cosa non lo sia» (192) e che dunque «l’assoluto stesso si dispiega in un processo che è temporale da parte a parte» (199)?
Per entrambi, Husserl e Heidegger, la filosofia si genera dalla differenza tra il dato e il significato. Ontologia e fenomenologia sono due modi radicali di pensare questa differenza. L’ontologia di Heidegger è sempre rimasta radicalmente fenomenologica e la fenomenologia husserliana si è sempre posta nell’orizzonte di un’ontologia genetica. Fu facile profeta di se stesso Edmund Husserl quando nel 1935 scrisse a Ingarden che «le generazioni future mi riscopriranno» (214). Riscoprire Husserl significa infatti scoprire ogni volta la filosofia, il dono di un significato radicale che essa offre alla vita.

 

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