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A scuola

Vado a scuola
(Sur le chemin de l’école)
di Pascal Plisson
Francia, Cina, Sudafrica, Brasile, Colombia, 2013
Trailer del film

vado a scuolaJackson, Zahira, Carlitos e Samuel sono quattro studenti della scuola elementare e media. Ma non sono studenti come i milioni che al mattino in tante parti del mondo vanno a scuola accompagnati dai genitori o a poca distanza da casa. Jackson attraversa con una sua sorella più piccola la savana kenyota per 15 chilometri, affrontando elefanti e altri animali, con poca acqua e molto caldo. Zahira va su e giù ogni lunedì mattina per 22 chilometri tra le montagne dell’Atlante del Marocco, accompagnata da due sue compagne. Carlitos in groppa a un cavallo e con dietro la sorellina attraversa 25 chilometri di Patagonia. Samuel vive in India, è disabile e viene spinto ogni mattina sulla carrozzella da due suoi fratelli per più di 4 chilometri.
Hanno tutti un progetto. C’è chi da adulto vuole lasciare la propria terra e chi intende rimanerci per fare il medico o l’ingegnere. Studiano tutti con grande impegno, naturalmente, poiché per loro la scuola è un sacrificio fisico ma è anche e specialmente una gioia della persona. Esattamente il contrario di quello che accade a molti ragazzini ben protetti, ben comodi e ben viziati che affollano le scuole dell’Europa e del Nord America.
Pascal Plisson segue le storie e il movimento di questi ragazzi senza eccedere in retorica e buoni sentimenti,  disegnando con efficacia caratteri e contesti, mostrando generosamente la bellezza dei luoghi che attraversano. Luoghi in cui la presenza umana sembra microscopica e anche un poco inopportuna. I sorrisi e la simpatia dei quattro protagonisti e di chi li accompagna sono l’aspetto più riuscito del film. Peccato che le non molte e semplici battute siano doppiate e quindi, pur vivendo ai quattro angoli del mondo, questi ragazzi parlano tutti la stessa imbarazzante lingua. Perché imbarazzante? Immaginate di vedere bambini kenyoti, marocchini, argentini e indiani parlare -che so- in tedesco o in olandese, invece che in un italiano a noi certo familiare ma ovviamente altrettanto fuori luogo di quelle lingue

 

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