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Artificio e ripetizione

Pittura italiana oggi
Palazzo della Triennale – Milano
A cura di Damiano Gulli
Sino all’11 febbraio 2024

Come accade per i libri collettanei, una mostra nella quale sono esposte le opere di 120 artisti (nati tra il 1960 e il 2000) non può che avere una marcata differenza di risultati. Troppe opere, in ogni caso, che impediscono una riflessione adeguata sulle tendenze che esse veicolano e nelle quali affondano. E invece una tale riflessione costituisce un elemento didattico e comunicativo che in questo tipo di mostre non dovrebbe mai essere trascurato.
Gli stili sono naturalmente disparati: la più parte delle opere sono figurative – e questa è la conferma di una tendenza di fondo del presente -, altre sono astratte, concettuali e soprattutto non poche francamente orrende e assai deboli. Emergono infatti in questa esposizione la ripetizione, l’artificio, le citazioni. Peggio ancora, emerge l’adulazione verso alcune mode mediatiche come il riscaldamento globale, la sostenibilità, i neri, le intelligenze artificiali, le pubblicità.
Le misure dei quadri sono per lo più eccessive, come se la pochezza di ispirazione potesse essere colmata dalla vastità delle superfici dipinte. I colori sono cupi o sgargianti, nessuna armonia cromatica naturalmente.
Tra gli artisti almeno accettabili c’è Nicola Verlato, le cui opere sulla vicenda di Pasolini avevo già visto a Matera nel 2022; qui viene proposta la grande tela dal titolo Hostia, che avevo documentato in Pasolini, il mito.

A Verlato si possono aggiungere le geometrie di Stanislao Di Giugno:

Di Giugno, Inutile girarci intorno (2023)

la citazione su citazione di Matteo Fato:

Fato, Madonna che calpesta la pittura (2023)

l’esplicita ripresa della luce di Van Gogh da parte di Stefano Arienti, che costruisce con la plastilina un poster tratto appunto da Van Gogh:

Arienti, Ospedale da Van Gogh (2022)

E infine l’opera appositamente pensata da Roberto Coda Zabetta per il Palazzo della Triennale (in gergo: site-specific) e installata nel cavedio dell’edificio. Si intitola Frana e fango (2023). Osservata da un punto ben preciso dell’interno appare come un dipinto sul muro; nella foto che ho scattato (immagine di apertura) dialoga invece con la finestra e con lo spazio.
Al di là di questi esempi, ben poco e ben brutto. Certo, non è facile doversi inventare sempre nuove soluzioni, forme e ispirazioni; anche l’arte è frenetica, così come tutto l’esistere contemporaneo, tutto il mercato contemporaneo. Non è facile ma in ogni caso questa è una mostra da non visitare.

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