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Geografia delle rovine

Vanessa Winship
Fondazione Stelline – Milano
A cura di Carlos Martín Garcia
Sino al 22 marzo 2015

«Il mare è l’unica frontiera naturale» afferma Vanessa Winship. Il Mar Nero separa e divide turchi, russi, georgiani, armeni, romeni, bulgari. Fa da confine tra popoli, lingue, mondi. Di queste acque e di queste terre le immagini colgono l’identità e la differenza. L’Albania è costellata di bunker dei quali la paranoia del suo regime aveva riempito il territorio, soprattutto le rive. In parte abbandonati e in parte vissuti, sono ora spazi della miseria, della comunità, delle macerie.
Altri luoghi, altre terre: l’Almería è un deserto di marmo e di foreste metafisiche; le bambine turche sono assolutamente esotiche -lontane- pur nella loro comunissima divisa di scolare; la potenza infranta della Georgia è intrisa di sensualità e di morte; la gente e le strade degli Stati Uniti d’America sono fatti di solitudine, di obesità, di rassegnata disperazione.
winship_UsaSpazi, popoli e individui sono narrati in un bianco e nero granuloso e dinamico che fa emergere dagli oggetti, dai volti, dai musicisti, dai soldati, dalle spose, dagli ubriachi, dagli adolescenti, dai corpi, tutta la malinconia delle cose che sono destinate a finire, e a finire presto.
Lo sguardo di questa fotografa non è mai banale, è sempre profondo, intriso di lucidità e di pianto. Vi emergono per intero l’orgoglio e la fragilità degli umani. È tutto molto oltre il reportage e il fotogiornalismo, è quasi un’idea platonica delle rovine antropologiche, paesaggistiche, spaziotemporali.

Eleganza / Inquietudine

Pittura Europea dagli anni Ottanta a oggi
Opere dalla Collezione Alessandro Grassi

Palazzo delle Stelline – Milano
Sino al 30 settembre 2013

Dentro il Palazzo delle Stelline, dentro un antico monastero, luogo fatto di ampie stanze, di corridoi, chiostri, scalinate, si dipana un percorso nell’arte contemporanea attraverso le opere collezionate da Alessandro Grassi. Opere assai diverse tra di loro, accomunate dalla presenza per lo più della figura umana, dall’intensità del tratto, dalla preferenza per il colore. Uva e altra frutta gigantesca; corpi dai segni spesso essenziali e geometrici; cerchi e sfere verdissime e a scalare; pienezza dello scuro sulla tela; una grande solitudine, anche quando gli umani sembrano condividere uno spazio, un conflitto, un sogno. L’eleganza e la pulizia del luogo dentro cui si stagliano rendono ancora più evidente il coacervo di inquietudine e di non pace da cui queste opere sembrano essere nate.

 

Assenze

Absence of  Subject
August Sander e Michael Somoroff

A cura di Diana Edkins e Julian Sander
Palazzo delle Stelline – Milano
Sino al 7 aprile 2013

Un fotografo crea dei ritratti: corpi, volti, figure intere, sfondi. Un altro fotografo conserva di queste immagini gli oggetti, le cose, gli alberi, la campagna, il cielo, i mobili,  le pareti, le porte. E toglie gli umani, li cancella. A sei di questi ritratti aggiunge poi il vento. Le fotografie diventano così dei video nei quali lo spazio si anima lentamente, scompaginando le pagine dei libri, carezzando i prati, aprendo e socchiudendo una porta, muovendo le tende. Intensa e straniante azione di risemantizzazione del già esistente, il cui senso è certo molteplice -estetico, tecnico, filosofico- e che intende soprattutto raffigurare la morte.
Quando infatti August Sander (1876-1964) fotografa l’umanità tedesca tra gli anni Dieci e Trenta del Novecento, non soltanto compone dei magnifici ritratti individuali e collettivi ma sa di aver consegnato quelle persone al loro tramonto, di aver lasciato traccia di una comunità e di alcune singole esistenze che in un quando più o meno lontano non saranno.
Michael Somoroff (1957) ha colto alla radice questa intenzione e l’ha portata a compimento. Il vuoto che le sue immagini comunicano è qualcosa di doloroso e insieme oggettivo, di inevitabile. Nell’assenza del Soggetto rimangono a dominare il tempo, lo spazio, le morte cose alle quali soltanto l’arte e il concetto restituiscono vita.

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