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La fotografia, gli umani, l’istante

Ugo Mulas. Esposizioni. Dalle Biennali alla vitalità del negativo
Palazzo della Triennale – Milano
A cura di Giuliano Sergio e Archivio Ugo Mulas
Sino al 9 settembre 2012

I luoghi, gli eventi, gli umani. Questi sono i soggetti ai quali Ugo Mulas dedica lo sguardo della propria macchina fotografica. Soggetti quindi universali, per i quali lo scopo del fotografo è una resa quanto più oggettiva possibile. Come se le foto si fossero fatte da sé, anzi fossero emerse dal divenire stesso delle cose/situazioni per imprimere il loro bianco e nero sulla carta.
La bella città di Spoleto (1962) diventa l’armonioso stridore che sale dai vicoli e delle case medioevali contaminate con sculture contemporanee fatte d’ascesi. Le numerose edizioni della Biennale di Venezia tra gli anni Cinquanta e Sessanta iniziano con eleganti sorrisi e finiscono con i poliziotti che manganellano gli artisti. Nel mezzo svettano lo sguardo di Pomodoro e l’eleganza di Melotti, entrambi colti tra le loro opere.
Il Pergamon di Berlino e la Nike del Louvre danno l’impressione che i visitatori neppure ci siano dentro i musei che li ospitano, tale è la potenza con la quale l’architettura e la scultura ellenistiche vengono colte da Mulas. E invece nella visita a un museo russo è evidente che al fotografo non importano i quadri ma l’umanità che li guarda. In un gruppo di visitatori tutti stanno col naso in su ad ammirare qualcosa. Tutti tranne una bambina, che fissa dritto dritto il fotografo negli occhi. Questo bellissimo e dislocante gioco spaziale degli sguardi diventa esplicita riflessione sul tempo nella serie intitolata Verifiche: l’installazione di Jannis Kounellis -un uomo che suona un pianoforte- viene fotografata in rapida successione. In questo modo, afferma Mulas, «il tempo acquista una dimensione astratta, nella fotografia [il tempo] non scorre naturalmente, come accade nel cinema e nella letteratura. Sullo stesso foglio, nello stesso istante  coesistono tempi diversi, al di fuori di ogni constatazione reale». Mentre dunque le parole appaiono una dopo l’altra nel foglio o sul monitor, mentre i fotogrammi devono scorrere a una ben precisa velocità affinché un film esista, la fotografia può cogliere l’identità dell’istante e la differenza del suo fluire. Può cogliere quindi molto dell’enigma che il tempo è.
Assai altro c‘è in questa mostra. Che cosa, lo spiega Giusy Randazzo in un’erudita recensione alla quale rimando.

Melotti / La materia

Fausto Melotti
MADRE – Museo d’Arte Contemporanea Donna Regina – Napoli
A cura di Germano Celant
Sino al 9 aprile 2012

I sette savi stanno lì, in piedi, immobili, senza volto e con tutti i volti, senza identità e con tutte le identità. Guardano oltre i loro compagni, oltre gli spazi nei quali di volta in volta si trovano, oltre il divenire. Questi savi sono la perfezione della materia. La materia cieca, inconsapevole e dunque libera da ogni dolore, da ogni amore, da ogni caduta. Puro divenire di molecole. Una perfetta freddezza che è anche l’unica perfetta gioia che nel mondo -nell’universo, intendo- possa essere data.
Le allegorie plastiche di Melotti dedicate alla Pittura, alla Decorazione, all’Architettura assumono sembianze umane ma non riescono neppure esse a nascondere che la pittura è pigmento sparso su superfici, la decorazione è alternanza di colori e di forme, l’architettura è roccia, marmo, legno, cemento disposto ad accogliere ma indifferente a chi abita.
E così le altre opere in terracotta e in metallo a volte prendono nomi allegorici, evocativi, solenni e grati. Ma più spesso sono Senza titolo, come senza titolo è la materia. Una volta Melotti disse che «enormi affreschi non li guardi. Un foglio bianco con una sola linea e ne resti incantato».

Accardi e altre lievità

Carla Accardi. Segno e trasparenza

Segni come sogni. Licini, Melotti e Novelli fra astrazione e poesia

Catania – Fondazione Puglisi Cosentino, Palazzo Valle
Sino al 12 giugno 2011

Le opere esposte alla Fondazione Puglisi Cosentino percorrono l’intero itinerario di Carla Accardi dagli anni Cinquanta al presente. Una grande installazione nel cortile di Palazzo Valle –Vie alternative, 2010- accoglie il visitatore col suo bianco e nero elegante e giocoso. «Dare vita a un’immagine astratta, oggettiva, primaria e libera» è l’obiettivo che Accardi raggiunge attraverso segni cromatici che sono un’esplosione di colori, che formano una disordinata armonia poiché, scrive, «in natura non esiste solo un ordine geometrico e al di fuori di esso un disordine casuale, ma piuttosto un ordine casuale». Non soltanto di ossimori si tratta ma della complessità inclassificabile della vita che uomini, natura, cose condividono nel fluire del tempo. Perché l’arte di Accardi ha la particolarità di sembrare e di essere viva, come un animale che muta e cresce al variare dello spazio e dei momenti. Una caratteristica, questa, che è data anche dal materiale usato per molti anni, il sicofoil, un acetato di cellulosa che è simile al vetro e che reagisce alle variazioni ambientali. I colori, soprattutto i colori, restituiscono la potenza delle forme. Ma anche i colori sono un mezzo perché, afferma Accardi, «più che i colori, io amo da sempre gli accostamenti e l’emanazione di luce che ne deriva». Per questa artista il colore più bello è un «verde fluorescente sul trasparente». Alcune opere recenti segnano il trionfo della potenza coloristica: Immediatamente rosso, Verde e cobalto, Curve verdi su nero (tutte del 2008), Grigio azzurro abbaglio (2010), nelle quali il vinilico su tela crea il gaudio dei colori, della luce, del gioco che l’arte è.
La seconda mostra ospitata a Palazzo Valle è fatta anch’essa di lievità, di aria, di geometrie, di creazione con pochi semplici strumenti di spazi ritmati, esattamente come fa Accardi. In particolare, Fausto Melotti costruisce con l’ottone dei paesaggi, dei percorsi, dei totem che sono insieme arcaici e postmoderni.

[Una recensione più ampia è apparsa sul numero di giugno 2011 di Vita pensata.
A Carla Accardi sono dedicate le immagini del numero di marzo 2011 di Alfabeta2]

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