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Ugo Spirito

Ugo Spirito, un filosofo del presente
Recensione a:
Ugo Spirito
L’avvenire della globalizzazione
Scritti giornalistici (1969-1979)
A cura di Danilo Breschi
Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice – Luni Editrice, Milano 2022
Pagine 392
in  il Pequod , anno IV, numero 8, dicembre 2023, pagine 103-105

Ugo Spirito (1896-1979) ha attraversato quasi per intero il Novecento. Allievo principale di Giovanni Gentile, si allontanò dall’attualismo per una esigenza di ricerca, innovazione, slancio verso il futuro che percorre anche gli scritti giornalistici degli ultimi dieci anni di vita, selezionati, raccolti e introdotti da Danilo Breschi. Da Gentile Spirito assorbe lungo tutto il proprio percorso l’immanentismo radicale, l’antropocentrismo, il panteismo per volgere poi – in modalità anche sconcertanti – queste radici in qualcosa che dal pensiero di Gentile è davvero assai distante.
Il problematicismo – così Spirito definì la propria filosofia – che si esprime in questi testi e in varie sue opere è una teoresi esplicitamente antitradizionalista, una sorta di positivismo critico che vive di una fiducia profonda nelle scienze e nelle loro espressioni tecnologiche, per quanto non ne nasconda i rischi anche esiziali. Ma Spirito è un filosofo dai molti strati e se da una parte difende scienze e tecnocrazia, dall’altra è del tutto consapevole del totalitarismo dei media da cui discende la possibilità di nuovi regimi dispotici, di comunità collettive e stati politici i quali «richiedono l’imprimatur per ogni espressione di opinioni personali», definizione che Spirito applica ai regimi fascisti e che si sta pericolosamente incarnando nel politicamente corretto.
Ho cercato in questo breve testo di presentare e discutere alcuni dei temi che Spirito affronta sempre in modo critico e assai vivace.

Tradizione / tradizioni

Tradizione/tradizioni 
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
anno VII, n. 12, dicembre 2022
pagine 25-28

Come tutte le parole che contano, tradizione è un termine polisemantico, che muta di significato e direzione in relazione sia al contesto nel quale lo si usa sia alle intenzioni di chi lo usa. Il primo gesto da compiere consiste dunque nel tentare di ‘raffreddare’ questa parola, di analizzarla nel modo più scientifico possibile.
Se lo si fa, ci si accorge facilmente che tradizione è sinonimo di memoria. Della memoria collettiva il cui permanere è necessario per la sopravvivenza di qualsiasi comunità e per la sua identità. Come un individuo che per trauma o malattia ha perduto la memoria, non può che smarrire a poco a poco se stesso sino a cancellare il proprio nome, la storia che è stato, le relazioni che ha vissuto (in questo consiste il morbo di Alzheimer), così una società e una civiltà che dimentichino le proprie radici, scaturigini e storia – vale a dire la loro tradizione – sono destinate a tramontare, ad autodistruggersi e a essere cancellate.
Tradizione è “tradizioni” anche perché una comunità – come qualunque ente che transita nel tempo – cambia continuamente mentre permane e permane mentre incessantemente muta. Il permanere è dunque sempre dinamico e già solo per questo la tradizione è intrinsecamente plurale.
Anche la ‘modernità’ è un elemento della tradizione europea, una sua invenzione. Scaturita dalla Riforma luterana e dalla Rivoluzione scientifica con uno slancio, determinazione e potenza che ne hanno spesso nascosto le pur complesse articolazioni e sfumature concettuali e prassiche, la modernità ha conservato in realtà consistenti tratti di continuità con la tradizione.
Dell’identità/differenza in cui la tradizione consiste ho parlato rispondendo alle domande di Danilo Breschi, direttore de Il Pensiero Storico. 

«Il corpo è una grande ragione»

Venerdì 16 settembre nel Parco Archeologico di Giardini-Naxos dalle 16.30 si terrà un pomeriggio di riflessione sul tema della corporeità nell’ambito delle iniziative di «Naxoslegge». L’evento ha come titolo Scritto sul corpo.
La prima conversazione si svolgerà con Danilo Breschi sul tema del Corpo elettrico.
La seconda consisterà in una passeggiata archeo-filosofica condotta da me. Il titolo è «Corpo io sono in tutto e per tutto», un’affermazione che si legge nella I parte di Also sprach Zarathustra: «Leib bin ich ganz und gar, und Nichts ausserdem». Nella traduzione di Mazzino Montinari: «Corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro». Nietzsche continua scrivendo che «il corpo è una grande ragione. […] Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto –che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo» («Opere», Adelphi, vol. VI/1, I parte, “Von den Verächtern des Leibes” – “Dei dispregiatori del corpo”, p. 34).

L’essere umano è assai più che un Körperhaben, l’avere un corpo, e diventa un Leibsein, l’essere una corporeità situata in un ambiente anche culturale e sociale. Il corpo è  una struttura isotropa, dalla quale inizia e si espande l’intero mondo della persona.
-Il corpo è corporeità vivente nel tempo e abitante un mondo.
-Il corpo è il nodo ontologico nel quale si raccolgono il mondo, il tempo e l’intenzionalità dei significati.
-Il corpo è un insieme di strutture materiali e nello stesso tempo è una regione semantica.
Il corpo è quindi l’elemento percettivo, fenomenologico, precategoriale e primario da cui tutto nasce, del quale è intessuta ogni esperienza e nella cui dissoluzione finiscono per l’individuo il tempo, il bios e, con essi, ogni possibile significato.
Anche per questo l’umano è una macchina naturale che si articola in tre espressioni principali.
Siamo corpi comprendenti e quindi semantici
Siamo corpi intramati di desideri
Siamo corpi pulsanti nel tempo e di tempo intessuti.

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