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Comunità scientifica

Teoria e prassi della comunità scientifica
in Koinè, anno XXVIII – 2021
«Ideali di Comunità»
pagine 99-114

Pdf del saggio

  • Indice del saggio
    -Che cos’è una comunità scientifica
    -Due teorie della pratica scientifica: Spinoza e Gentile
    -I Greci come comunità scientifica
    -Un caso empirico: Atene
    -La comunità scientifica come comunità libertaria
    -La comunità scolastica
    -La comunità universitaria
    -Canetti e Nietzsche: una gaia scienza

Una comunità scientifica è parte, forma ed espressione di una più ampia comunità politica, della πόλις, della storia e delle strutture collettive dalle quali germina e che la rendono possibile. A costituire in particolare una comunità scientifica sono alcune condizioni ed elementi che è possibile unificare e riassumere in questo modo: si dà comunità scientifica dove la curiosità prevale sul conformismo, dove la ricerca prevale sul dogma, dove la libertà prevale sull’obbedienza, dove la conoscenza diventa un fine in se stessa (autonomia) e non è rivolta ad altro da sé (eteronomia).
Rispetto all’attuale dominio dell’etica in ogni aspetto della vicenda umana e naturale -bioetica, deontologie, proliferare di etiche normative– i Greci ritengono che sia la filosofia stessa, la sua sostanza comunitaria e dialogica, la più efficace guida dei comportamenti, delle esistenze, dei conflitti.
La prassi quotidiana delle comunità scientifiche – intese specialmente come comunità accademiche – è inevitabilmente segnata dagli elementi che guidano tutte le comunità umane, da un misto di collaborazione, competizione, invidia, malevolenza, amicizia, legami che si creano e legami che si rompono. Gli elementi più problematici sono stati aggravati, in Italia ma non solo, dagli ordini dei decisori politici i quali da almeno un paio di decenni accentuano gli elementi della normativa che impongono competizioni, esclusioni, guerre interne.
Si tratta di modalità arcaiche e forse inevitabili della relazione, che nessuna modernità o postmodernismo può cancellare. Sarebbe però importante mantenere sempre la misura. 

La lotta

Il sito Il Rovescio. Cronache dallo stato d’emergenza conduce delle inchieste e formula delle analisi da una prospettiva di classe, emancipatrice, libertaria. Analisi tanto più necessarie in un periodo storico caratterizzato dall’apologia quasi universale del controllo, della repressione, della violenza e del paternalismo dell’autorità nei confronti del corpo collettivo.
Sulla mobilitazione contro il lasciapassare. Primi appunti è il titolo di un articolo che sarebbe del tutto naturale definire di sinistra se questa espressione avesse ancora un senso. Diciamo che è un articolo che fa emergere il non detto della sostanza autoritaria, discriminatrice ed economicamente ineguale dell’emergenza sanitaria, delle politiche che essa veicola, degli scopi che giorno dopo giorno cerca di raggiungere.
Ne consiglio la lettura; riporto intanto alcuni brani e una versione in pdf (i grassetti sono miei):

Sulla mobilitazione contro il lasciapassare. Primi appunti
(1.8.2021)

Pdf dell’articolo

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Il pericolo del “fascismo” (tranquilli: la democrazia basta e avanza), non lo si vede nell’azione dello Stato e di una classe dominante che colpisce compatta, ma nelle presenze di estrema destra ad alcune manifestazioni contro il lasciapassare. Come se i passi avanti della potenza coercitiva dello Stato in nome della “salute collettiva” fossero “neutri” rispetto al conflitto di classe nel suo insieme; come se il silenzio-assenso sulla discriminazione sociale e lavorativa di chi non vuole vaccinarsi non oliasse la stessa macchina che attacca i lavoratori che resistono ai licenziamenti, i rivoluzionari, e tutte le lotte.

L’Emergenza ha spostato il conflitto sociale su terreni inediti, “politicizzando” i gesti più intimi, le scelte più quotidiane, quelle dimensioni apparentemente “private” e “soggiacenti” rispetto ai posizionamenti ideali (i corpi, il senso di sicurezza, la paura di morire, il rischio di ammalarsi e di ammalare). Decenni di foucaultismi più o meno d’accatto si sono infranti nell’urto con una gestione statale e tecnocratica che ha applicato fino in fondo, e per davvero, un programma “biopolitico”. Improvvisamente, per lanciare delle iniziative di lotta – e persino per discutere collettivamente –, bisognava rompere anche sul piano epistemologico.

Benché siano piazze – in Italia come nel resto del mondo – assai eterogenee, ci sono almeno tre punti che accomunano decine di migliaia di persone: l’opposizione all’obbligo vaccinale, senza se e senza ma; il rifiuto della discriminazione di chi non si vaccina; la questione delle cure domiciliari negate.

Bisogna assumere il conflitto anche sul piano epistemologico (mettendo in discussione la sostituzione dello sguardo medico con i modelli statistici, la criminalizzazione del non-vaccinato in quanto pericolo per la salute pubblica, la crescente digitalizzazione della sanità e delle terapie ecc.). Stesso discorso sulle cure domiciliari negate, questione scandalosamente tralasciata (con il paradosso che a denunciare la strage di Stato è per lo più gente di destra…).

Un esempio tra i tanti di come i tre punti sopra accennati si intreccino nella mobilitazione contro il lasciapassare, lo si può trovare in un volantino, distribuito qualche giorno fa durante una manifestazione, da un gruppo di lavoratrici e di lavoratori della sanità in Trentino:

«Da un anno e mezzo, notte e giorno, tutti i giorni per mesi abbiamo continuato a operare senza interruzione, in alcuni momenti, all’inizio della dichiarata pandemia in particolare, in assenza di indicazioni terapeutiche, in condizioni organizzative disastrose, senza presidi di salvaguardia sensati, con turni di 12 ore e oltre di lavoro. Allo sbaraglio a reggere l’onda di panico alimentata dalla stampa e senza il filtro naturale della medicina di base criminalmente disattivata.
Ebbene, allora non avevamo tempo e voce per parlare e eravamo eroi.
Oggi prendiamo la parola per ricordarvi che noi sappiamo curare e curarci, abbiamo capito e capiamo molte cose operando da dentro le strutture sanitarie e di assistenza. E siamo trattati da criminali quando affermiamo il diritto di ciascuno di scegliere le cure e le attenzioni per stare in salute che considera più efficaci.
Ritieni forse più attendibili i politici e i governanti che questo disastro hanno provocato devastando il sistema sanitario e gestendo la proclamata pandemia in stato confusionale, usando come unica arma la criminalizzazione di ogni opinione? Non hanno mai visto un malato e non hanno mai ascoltato noi. Ascoltiamo solo un grappolo di supposti esperti in eccitazione narcisistica che hanno il buon tempo di pontificare dagli schermi televisivi e dai giornali insultando e minacciando. Parlano sotto dettatura di chi della salute ha fatto una fonte inesauribile di profitto. […]
Noi stiamo affermando semplicemente, ma con determinazione che i nostri corpi come i vostri, le nostre persone come le vostre non sono di loro proprietà e meno che mai i nostri figli. Non siamo schiavi e non sopportiamo più il peso di questa oppressione in particolare ora, nel momento in cui ci si impone la segregazione generalizzata con un segno di discriminazione che ha i toni della persecuzione politico-religiosa contro chi non fa atto di fede in uno pseudo-vaccino con il famigerato green pass».

Senza esplosioni di rabbia, senza contrattacco, non usciremo dall’angolo. Non è solo la miseria che avanza, ma anche la disumanizzazione.

La stragrande maggioranza di chi scende in strada non avanza alcuna rivendicazione corporativa. Se si nota, la rappresentazione della “dittatura” è spesso affidata ai ritratti di Draghi, Figliuolo e Burioni. Il generale NATO, ad esempio, non c’entra nulla con aperture o chiusure di bar e discoteche, ma molto con la militarizzazione della sanità e con la “caccia ai renitenti”.

Se tra le parole d’ordine dei cortei e i motivi per cui la gente scende in piazza c’è spesso un certo scarto, quando non una rottura vera e propria, ci pare innegabile che la mobilitazione contro il lasciapassare abbia caratteri decisamente più universali di quella “Tu mi chiudi, tu mi paghi” (slogan corrispondente al grado zero della critica) dell’autunno scorso.
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Da un’altra prospettiva, il più recente intervento di Giorgio Agamben descrive anch’esso gli effetti devastanti dell’ossessione securitaria verso il Covid19-Sars2, la quale genera una massa di ipocondriaci e sociopatici, distrugge il legame sociale, trasforma la πόλις in un aggregato impaurito di atomi che si tengono reciprocamente a distanza. Non so quanto la via d’uscita indicata da Agamben sia praticabile ma certamente è significativa di ciò che sta accadendo e che probabilmente accadrà.

Una comunità nella società

L’Italia, come laboratorio politico dell’Occidente, in cui si elaborano in anticipo nella loro forma estrema le strategie dei poteri dominanti, è oggi un paese umanamente e politicamente in sfacelo, in cui una tirannide senza scrupoli e decisa a tutto si è alleata con una massa in preda a un terrore pseudoreligioso, pronta a sacrificare non soltanto quelle che si chiamavano un tempo libertà costituzionali, ma persino ogni calore nelle relazioni umane. Credere infatti che il greenpass significhi il ritorno alla normalità è davvero ingenuo. Così come si impone già un terzo vaccino, se ne imporranno dei nuovi e si dichiareranno nuove situazioni di emergenza e nuove zone rosse finché il governo e i poteri che esso esprime lo giudicherà utile. E a farne le spese saranno in primis proprio coloro che hanno incautamente obbedito.
In queste condizioni, senza deporre ogni possibile strumento di resistenza immediata, occorre che i dissidenti pensino a creare qualcosa come una società nella società, una comunità degli amici e dei vicini dentro la società dell’inimicizia e della distanza. Le forme di questa nuova clandestinità, che dovrà rendersi il più possibile autonoma dalle istituzioni, andranno di volta in volta meditate e sperimentate, ma solo esse potranno garantire l’umana sopravvivenza in un mondo che si è votato a una più o meno consapevole autodistruzione.

17 settembre 2021
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Paladini

22 novembre 2015 –  Centro Zo – Catania
Camurria
di e con Gaspare Balsamo
Con Giorgio Maltese e Giancarlo Parisi

La storia dei Reali di Francia e dei loro Paladini ha attraversato per secoli la cultura siciliana. Spettacolo per tutti, regolamentazione della guerra, identità cristiana, etica dell’amicizia e dell’onore, passione amorosa, il teatro dei pupi ha catalizzato ed espresso alcuni degli elementi più perenni e profondi della visione che l’Isola ha del mondo. Una tradizione che sembra essersi smarrita sino a finire, come con amarezza si afferma in questo spettacolo. Ma la concezione e l’esistenza stessa di Camurria nega tale infausta conclusione.
Gaspare Balsamo e i suoi compagni musicisti riescono infatti a rendere ben presente e vivo l’archetipo che i pupi rappresentano. Le voci e le testimonianze di quanti da bambini furono attratti da questa forma d’arte si  mescolano ai suoni molteplici della tradizione musicale siciliana. Su tale sfondo Balsamo dipana il suo racconto. E davvero sembra di vedere e di sentire intere comunità che si dividevano tra ‘orlandisti’ e ‘rinaldisti’, tutti accomunati però dall’odio verso l’infame traditore Gano di Magonza, al cui solo apparire in scena si scatenavano urla, insulti, fischi.
Un’antropologia comunitaria, fisica e condivisa è stata distrutta -come viene esplicitamente detto- «da quella minchia della televisione». Ed è stata ulteriormente ferita da luoghi che si pongono sotto il segno di una cupa identità che tende a cancellare la ricchezza delle differenze umane, storiche, estetiche. Che questi luoghi siano fisici (come McDonald’s) o virtuali (come facebook), si tratta sempre della stessa camurria, dello stesso gesto fastidioso, impoverente, squallido, venale, che attraverso il dispositivo della facilità a buon mercato deruba individui e collettività della loro forza rendendoli proni all’impero, senza che neppure capiscano che un impero c’è.
Se le comunità non si rendono paladine di se stesse, il Gano globalizzatore fa e farà il suo mestiere: uccidere.

Mazzarella. Vita politica valori

Recensione a:
Eugenio Mazzarella
Vita politica valori. Sensibilità individuali e sentire comunitario
in Giornale di Metafisica
n. 33, 1/2 2011 – Autunno 2011
Pagine 317-319

– Pdf della recensione

Il volume analizza in modo rigoroso il nesso tra etica, storia e natura umana mediante la discussione di alcune questioni tanto essenziali nel tessuto della nostra quotidianità quanto fragili nel loro statuto teorico: la fecondazione assistita, le condizioni terminali di vita, le Dichiarazioni anticipate di trattamento, la regolamentazione delle coppie di fatto e in particolare delle coppie omosessuali stabili, il problema dell’identità e dell’integrazione nei rapporti tra religioni e democrazia. Il libro si presenta come un punto di riferimento indispensabile per il legislatore, per il filosofo e per il cittadino. I temi che il testo affronta ne escono infatti più forti nelle loro strutture profonde e più limpide nelle possibili risposte.
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