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«Plaudite!»

L’innocente
(L’Innocent)
di Louis Garrel
Francia, 2022
Con: Louis Garrel (Abel), Roschdy Zem (Michel), Noémie Merlant (Clémence), Anouk Grinberg (Sylvie), Jean-Claude Bolle-Reddat (Jean-Claude)
Trailer del film

Sylvie insegna recitazione in un penitenziario e si innamora regolarmente di qualche detenuto, sino a sposarli. Stavolta tocca a Michel. Il figlio di Sylvie, Abel, è scettico su questi legami e accoglie malvolentieri il nuovo compagno della madre. Insieme all’amica Clémence pedina il detenuto uscito per buona condotta e scopre che sta preparando una rapina: il furto di un carico di caviale iraniano. L’esuberante amica di Abel lo convince a partecipare al colpo, all’insaputa della madre. Un colpo che sembra semplice ma che inevitabilmente si complica sino a sviluppi paradossali.
Abel svolge attività didattica nell’acquario di Lione e in effetti il mondo appare abitato da pesci grossi, pesciolini, squali. Più o meno reciprocamente indifferenti sino a quando qualcosa non li pone in contatto. Questo qualcosa sono sempre i sentimenti: amore, avidità, amicizia, curiosità, protezione, nostalgia. Sono questi i sentimenti che intessono una commedia leggera ma non banale.
E però il vero centro del film è un altro: è la recitazione, è la metanarrazione, è il teatro dentro al cinema, la finzione dentro la finzione. La prima scena raffigura Michel che recita in carcere. In vista del furto, Michel e un suo complice danno lezioni di regia ad Abel e Clémence, i quali dovranno simulare un litigio per distrarre il camionista che trasporta il caviale. E qui L’innocente raggiunge il suo vertice, rendendo incomprensibile allo spettatore se Clémence e Abel stiano recitando un appassionato colloquio d’amore o se lo stiano vivendo davvero. «Davvero»? Ma è sempre un film, si potrebbe rispondere. E tuttavia che cos’altro facciamo quando interagiamo con la gran parte dei nostri simili se non recitare, simulare, più spesso dissimulare? Senza questo teatro del mondo il mondo sociale non potrebbe esistere, semplicemente.
È questo, com’è ovvio, il fondamento della poetica di Luigi Pirandello. Ed è questo che Pierre Klossowski intuisce nell’enigma della cosiddetta ‘follia’ di Friedrich Nietzsche:
«Mai Nietzsche sembra perdere la nozione del proprio stato: egli simula Dioniso o il Crocifisso e si compiace di questa enormità. Ed è appunto in questo compiacimento che consiste la sua follia: nessuno può dire fino a che punto la simulazione è perfetta, assoluta; il suo criterio sta nell’intensità che egli prova nel simulare, fino all’estasi: ora qui, per giungere a questa gioia estatica, egli deve esser stato sostenuto da un’immensa derisione liberatrice nelle strade di Torino in quei pochi giorni, i primi dell’anno ‘89, quasi un superamento della sua sofferenza morale – derisione di se stesso, di tutto ciò che era stato ai propri occhi, derisione del Signor Nietzsche – ed è a questo punto che nasce la disinvoltura nei confronti dei suoi corrispondenti»
(Nietzsche e il circolo vizioso, trad. di E. Turolla, Adelphi 1981, pp. 346-347).
O, come sembra abbia detto Beethoven morendo, «Plaudite amici, comœdia finita est». Il compositore citava a sua volta le ultime parole dell’imperatore Ottaviano Augusto così come le ricorda Svetonio: «Acta est fabula, plaudite!»

Bis

Chiesa di san Francesco all’Immacolata – Catania
Elias Quartet
Stagione 2016-2017 dell’Associazione Musicale Etnea

Programma
Franz Joseph Haydn: Quartetto op. 76 n. 5
Ludwig van Beethoven: Quartetto op. 130Quartetto op. 133 ‘Grande Fuga’

Bis perché il brano chiave di questo bellissimo concerto è stato la Große Fuge di Beethoven, una delle composizioni più innovative e profonde della musica europea, che tempo fa avevo già proposto qui.
Bis perché a conclusione del concerto l’Elias Quartet ha eseguito come fuori programma un brano popolare scozzese di intensa dolcezza, dal titolo Da Day Dawn/Calum’s Road
Grande dono è davvero la musica agli umani.

Strumenti / Canto

20 ottobre 2015 –  Centro Zo – Catania
Janáček, Beethoven, Shostakovich
Francesco Dillon, violoncello
Emanuele Torquati, pianoforte
Stagione dell’Associazione Musicale Etnea

Dillon e Torquati hanno eseguito con molta capacità e misura tre brani diversi tra di loro ma convergenti verso la cantabilità della musica. La Pohàdka (favola) di Janáček, il corale e la fuga di Beethoven, la malinconica ironia di Shostakovich sono infatti accomunati da un tessuto armonico che tende a trasformare gli strumenti in voce, in una lingua che non ha bisogno di traduzioni per essere intesa da chiunque sappia ascoltare.
Propongo il terzo movimento –Largo– della Sonata in re minore, op. 40, di Shostakovich (esecuzione di  Francisca Skoogh e Daniel Blendulf),  composta nel 1934.

[audio:Shostakovich_Cello_Sonata.mp3]

Anche i musicisti piangono

Una fragile armonia
(A Late Quartet)
di Yaron Zilberman
USA, 2013
Con: Philip Seymour Hoffman (Robert), Christopher Walken (Peter), Catherine Keener (Juliette), Mark Ivanir (Daniel), Imogen Poots (Alexandra), Liraz Charhi (la ballerina)
Trailer del film

a_late_quartetIl quartetto d’archi The Fugue si esibisce da venticinque anni in tutto il mondo con risultati eccellenti. Durante le prove dell’Opera 131 di Beethoven il violoncellista Peter comunica che è affetto dal morbo di Parkinson e che dunque bisogna sostituirlo. Alla notizia i suoi colleghi reagiscono in modi diversi. La violista Juliette è affranta e rifiuta l’idea stessa di una sostituzione; il primo violino Daniel è preoccupato soprattutto della perfezione esecutiva che non deve venire meno; il secondo violino Robert chiede che si dia un nuovo inizio al Quartetto con l’alternarsi nel ruolo di primo violino di lui e di Daniel. Si scatenano, naturalmente, gelosie, rancori, ricordi. Anche perché Juliette e Robert sono marito e moglie e tra di loro non va molto bene. Hanno una figlia anch’essa violinista, che si sente molto attratta da Daniel. È quindi in gioco tutto: sentimenti, legami, carriere, arte. Ciascuno dovrà compiere le proprie scelte, cercando di soffrire il meno possibile.
Un film patinato e un’occasione per l’ascolto di Beethoven. Ma un’opera anche prevedibile e artificiosa, che deve tutto all’interpretazione neppure troppo convinta e a volte un po’ ingessata del quartetto di interpreti.

 

Romanticismo e oltre

3 febbraio 2011 –  Teatro dal Verme – Milano
Chopin – Beethoven
Direttore: Antonello Manacorda
Pianoforte: Pietro De Maria
Orchestra «I Pomeriggi Musicali di Milano»

[audio:Beethoven_5_Andante.mp3]

C’è qualcosa di estenuato nel Romanticismo, specialmente in quello musicale, qualcosa di nichilistico, al di là della dolcezza. Questa è la sensazione -personalissima, certo- che mi pervade all’ascolto di Chopin. Come l’impressione di una rinuncia alla vita, di un lento accomiatarsi dalle ragioni forti del piacere, sostituito da una passione tutta interiore; dalla padronanza di sé sconfitta dalla malinconia; dalla geometria musicale barocca al cui posto si elevano costruzioni timbriche e armoniche intessute di pianto. Anche il Concerto  n.2 op. 21 non sfugge a questa identità, pur nella scrittura ancora mozartiana e nella forza in alcuni momenti dell’orchestra.

Forza che invece pervade la musica di Beethoven e la rende fuori dal tempo, libera da una identificazione completa con la propria epoca pur dovendo a essa l’inevitabile tributo di un’identità geniale e solitaria. Tra le opere del Maestro di Bonn, una delle più comprese dai suoi contemporanei fu probabilmente la Sinfonia n. 5 op. 67, proprio per quel suo cipiglio eroico e iperindividualista con cui già si presenta nelle prime note, delle quali Wilhelm Furtwängler disse che «non ci troviamo di fronte a un tema, nel senso corrente della parola, ma a quattro battute che svolgono il ruolo di un’epigrafe, di un titolo-sigla scolpito a caratteri cubitali» (citato da Edgar Vallora, Note di sala, p. 9). Troppo celebre la Quinta per dover aggiungere qualcosa, se non l’apprezzamento per l’esecuzione di Antonello Manacorda, che ha cercato di attenuare i caratteri più “destinali” di questa musica facendone emergere invece la profonda serenità, espressa dai fiati nel movimento meno scolpito e più apollineo, l’Andante con moto, che qui propongo all’ascolto nell’esecuzione della Staatskapelle Dresden diretta da Herbert Blomstedt.

Beethoven, l'umano

Beethoven. Sinfonie nn. 6-8-7

17 giugno 2010 – Teatro degli Arcimboldi – Milano
Orchestra «I Pomeriggi Musicali di Milano»
Direttore Antonello Manacorda

Una calma piena di tempesta, una serenità pronta a esplodere in energia. Anche questo è la Sesta sinfonia beethoveniana. Meno note e meno ascoltate ma altrettanto capaci di parlare in musica dell’umano, delle sue aspirazioni, della tristezza e della forza, sono le due sinfonie successive. In particolare, il secondo movimento della Settima -l’Allegretto– è uno dei vertici raggiunti da Beethoven. In quel suo mescolarsi di ritmi lancinanti, di marcia verso l’ignoto e di profonda pace è come se parlasse il demone stesso della musica per dire che cosa davvero sia la condizione umana in questo mondo e nel tempo.
L’esecuzione di Manacorda e dell’Orchestra dei Pomeriggi musicali è molto interessante nel suo rifiuto del sentimentalismo e del titanismo -due diversi e complementari aspetti della tracotanza del soggetto e dunque del limite romantico- a favore di una forma limpida e volta a restituire la cupezza e la solarità inscindibili di questa musica.

[audio:Beethoven_7_ Allegretto.mp3]

[L’esecuzione che qui si può ascoltare è quella di Wilhelm Furtwängler  e  dei Wiener Philharmoniker (1954)]

Beethoven – Große Fuge

27 aprile 2009 – Spazio Teatro 89 – Milano
Raccontare la musica. Il Romanticismo di Ludwig van Beethoven
Con Raffaele Cifani (pianoforte e percorso didattico) – Claudio Giacomazzi (violoncello)

Un’associazione privata -BovisArte- e due enti locali -il Comune di Milano e il Consiglio di Zona 7- hanno promosso un’iniziativa assai bella: far gustare la musica sia dal punto di vista estetico sia da quello tecnico attraverso tre ascolti dedicati a Bach, Beethoven e Shostakovich. Il pianista Raffaele Cifani spiega dunque anche con l’aiuto di immagini le partiture, la loro genesi, il contesto storico-artistico nel quale nascono, le difficoltà e le peculiarità di ciascuna. Insieme al violoncellista Claudio Giacomazzi, Cifani esegue poi i brani dei quali ha parlato.
La serata beethoveniana è stata dedicata alla Sonata in Re maggiore Op. 102 n.2, che nei suoi tre movimenti mostra la dimensione aliena del Maestro di Bonn. Essa comincia con un andamento classicistico per poi addensarsi in sonorità dure, in macchie di note, in un Allegro fugato che sconcertò il pubblico al primo ascolto (1815). Questa sonata rappresenta in qualche modo l’inizio di un percorso che porterà alla stupefacente Grande fuga per quartetto d’archi in Si bemolle maggiore, op. 133 (Große Fuge) del 1825-1826, che Stravinskij giudicò «il più perfetto miracolo di tutta la musica. Senza essere datata, né storicamente connotata entro i confini stilistici dell’epoca in cui fu composta, anche soltanto nel ritmo, è una composizione più sapiente e più raffinata di qualsiasi musica ideata durante il mio secolo. (…) Musica contemporanea che rimarrà contemporanea per sempre».

Ne propongo il non facile ascolto. L’esecuzione è del Végh Quartet (1952; da LiberLiber).

beethoven_grande-fuga_vegh_quartet

[audio:beethoven_grande_fuga.mp3]

 

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