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Baraffè!

Don’t Look Up
di Adam McKay
USA, 2021
Con: Leonardo DiCaprio (Dr. Randall Mindy), Jennifer Lawrence (Kate Dibiasky), Chris Evans (Peter Isherwell), Meryl Streep (La presidente USA Janie Orlean), Cate Blanchett (Brie Evantee), Jonah Hill (Jason Orlean)
Trailer del film

L’epigrafe del film è questa battuta: «Quando muoio, voglio farlo serenamente nel sonno come mio nonno. Non urlando di terrore come i passeggeri dell’auto che guidava».
Una dottoranda in astrofisica scopre una nuova cometa. Ne è orgogliosa e felice. Comunica la notizia al suo tutor, il quale si congratula e comincia a fare i calcoli su massa, distanza, velocità del corpo appena apparso in cielo. Il risultato si fa sempre più inquietante, sino ad arrivare alla certezza che tra poco più di sei mesi la cometa precipiterà sulla Terra, estinguendone ogni forma di vita. I due studiosi, bravi cittadini, cercano di comunicare la terribile notizia alla presidente degli stati uniti d’america, che è una svampita corrotta e ignorante e non li sta molto a sentire. I due si rivolgono dunque a un programma televisivo di successo, ricevendone un trattamento non molto dissimile. Quando però gli scienziati interpellati dalla presidente confermano il fatto, Janie Orlean (la presidente, appunto) lo utilizza per risalire nei sondaggi sempre più negativi (per ragioni sessuali), promettendo che invierà una missione spaziale per distruggere la cometa prima che precipiti sulla terra.
Nella questione si introduce il guru delle aziende virtuali, fondatore e capo della Bash, una specie di sintesi del GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), il quale ha finanziato la compagna della presidente, la tiene in pugno, scopre che la cometa è piena di oro e di altri materiali rari necessari all’industria informatica. La presidente annulla la missione di distruzione e approva il progetto di far esplodere la cometa nelle vicinanze della Terra, in modo da recuperarne i pezzi e generare profitti per «triliardi di dollari». In tutto questo si scatenano le televisioni; i Social Network, veri protagonisti del film e luogo supremo di volgarità, violenza e menzogna; gli scienziati che si vendono all’Amministrazione; i cittadini in parte terrorizzati, in parte inconsapevoli.
Un film sulla Società dello Spettacolo diventata pervasiva attraverso la miriade di dispositivi informatici che costellano le vite di tutti. Un film sul sistema politico USA e i suoi presidenti, come il precedente di Adam McKay: Vice. L’uomo nell’ombra (2018), e un film sull’avvelenamento finanziario, come l’ancora precedente La grande scommessa (2016). Rispetto a queste due opere di grande rigore, qui l’atmosfera è decisamente grottesca e sopra le righe. Forse perché la produzione Netflix induce a dare un tono da commedia a un tema politico pervasivo e delicato.
La volgarità dell’argomento -la connessione continua alla stupidità del mondo- sembra contaminare la narrazione. Osservando ciò che accade nel film: i volti, i corpi, le reazioni, le truffe, i narcisismi, le menzogne, la cecità, l’isteria, la dissoluzione, c’è da rivolgersi alla cometa in arrivo ed esclamare -in siciliano- «Baraffè!».

L’esca

Vice. L’uomo nell’ombra
di Adam McKay
USA, Gran Bretagna, Spagna, Emirati Arabi Uniti, 2018
Con: Christian Bale (Dick Cheney), Amy Adams (Lynne Cheney), Steve Carrel (Donald Rumsfeld), Sam Rockwell (George W. Bush), Tyler Perry (Colin Powell)
Trailer del film

Rissoso, nullafacente, ubriacone. Occhiali, giacca e cravatta, attento e di poche parole. E soprattutto uno degli uomini più potenti del mondo dal 2001 al 2009. La parabola di Dick Bruce Cheney (1941-vivente) si è svolta nella riservatezza di delitti e miserie perpetrati per l’intera esistenza ma di rado legati al suo nome. Perché Cheney, vice del giovane presidente Bush e vera guida degli Stati Uniti d’America, ha sempre avuto la stessa capacità di un capo mafioso: apparire il meno possibile e decidere il più possibile, decidere sempre. Decidere il sostegno legislativo e politico alle grandi compagnie petrolifere -della quali è stato anche  amministratore delegato (Halliburton)-; decidere la diminuzione sistematica e consistente della tassazione per i redditi superiori ai 2 milioni di dollari; decidere l’utilizzo di informazioni false per invadere e distruggere l’Iraq, accaparrandosi le sue risorse petrolifere; decidere l’utilizzo della tortura, dopo averla rinominata «interrogatorio rinforzato»; decidere la guerra, decidere la morte, decidere ogni azione a favore del Project for a New American Century.
Tutto questo non da solo, naturalmente, ma circondato da consiglieri, avvocati, militari, manager, spie, imprenditori, avventurieri, psicopatici. Dal potere americano insomma. Ma con la personale capacità di osservare molto, riflettere velocemente, decidere senza guardare alle conseguenze per gli altri ma soltanto ai vantaggi per sé e per il proprio clan. Si tratta di un comportamento in realtà arcaico, che tecnologie belliche e interconnessione planetaria hanno reso portatore di sterminio su grande scala. Ma non importa. Cheney (padre esemplare) risponde così alle due figlie che chiedono se è bene far soffrire pesci e vermicelli: «Nella pesca non ci sono il bene e il male». E questo vale ai suoi occhi per l’intera umanità.
Cheney è sempre stato un appassionato pescatore e infatti i titoli di coda scorrono su immagini di ami e di esche. L’esca più importante che Cheney e il suo staff abbiano inventato è però in questo amaro e travolgente film soltanto accennata. L’esca dell’11 settembre 2001. Vice si apre quasi subito sulle immagini del governo americano e cioè di Cheney -perché Bush era quel giorno lontano dalla capitale, in una scuola, in compagnia di bambini- durante l’attacco alle Torri gemelle [la foto in alto raffigura il vero Cheney]. Durante quei momenti concitati «Cheney vedeva ciò che nessun altro era capace di cogliere in quegli eventi. Vedeva una opportunità». Certo. Ma non era difficile vederla, poiché quella opportunità il governo statunitense l’aveva pensata, progettata e realizzata con la collaborazione dei gruppi islamisti. Da quella opportunità si generarono immensi guadagni per le compagnie petrolifere e per le industrie militari, si generò la «teoria dell’esecutivo unificato», vale a dire la possibilità data al governo di stabilire procedure e praticare azioni senza tener conto degli altri poteri. Da quella opportunità si è generato un formidabile impulso e una giustificazione per l’ampliamento del potere degli USA su tutto il pianeta. A chi fa ancora fatica a credere che il governo degli Stati Uniti abbia davvero ucciso migliaia di propri cittadini, si risponde con una domanda: “Che cosa sono 2996 vittime americane e qualche milione poi di morti stranieri rispetto all’incremento della potenza della Nazione deputata da Dio al bene dell’umanità?”. Perché è di questo che gli americani sono convinti, questa è la lenza che lancia ogni volta di nuovo l’esca.

Finanza

La grande scommessa
(The Big Short)
di Adam McKay
Con:  Christian Bale (Michael Burry), Steve Carrel (Mark Baum), Ryan Gosling (Greg Lippman), John Magaro (Charlie Geller), Finn Wittrock (Jamie Shipley), Brad Pitt (Ben Hockett)
USA, 2015
Trailer del film

La cosiddetta crisi che sta impoverendo l’Europa (e non solo) ha avuto un’origine molto precisa. È nata infatti a metà degli anni Zero del nostro secolo in seguito alla speculazione finanziaria sui mutui erogati dalle banche statunitensi a cittadini che non offrivano garanzie. Le banche e i fondi di investimento hanno creato su tali mutui dei prodotti finanziari tossici, ad alto rendimento e ad altissimo rischio. Mutui subprime e derivati sono stati acquistati persino da Comuni e altri enti pubblici italiani. Quando la bolla speculativa -inevitabilmente destinata a finire- è esplosa, a pagare non sono state le banche criminali e i loro complici ma gli Stati, vale a dire i cittadini, che hanno subito l’aumento delle tasse e la diminuzione dei servizi: sanità, scuola, università, trasporti pubblici.
The Big Short, «il grande scoperto», è il titolo originale di questo film, vale a dire la scommessa sul crollo del mercato finanziario da parte di alcuni operatori che ne avevano previsto l’inevitabilità, quando invece le strutture politiche ed economiche ufficiali si dichiaravano convinte che il mercato immobiliare non sarebbe mai potuto implodere. Emblematica la scena nella quale la funzionaria di un’agenzia di rating -quelle strutture private che, con formule che vanno dalla tripla A alla tripla C (e peggio), valutano l’affidabilità dei titoli finanziari, delle banche, dell’economia di interi stati- si presenta con degli occhiali che le impediscono di vedere e alla fine ammette che le valutazioni date dipendono da chi paga meglio. Un enorme e criminale conflitto di interessi tra valutatori e valutati.
Con un ritmo forsennato; con una precisione linguistica quasi tecnica; con il mostrare le passioni, gli autoinganni, la lucidità degli umani, La grande scommessa è insieme un film appassionante e una lezione di storia economica che aiuta a capire quanto è veramente accaduto, e continua ad accadere, al di là delle menzogne ufficiali. Una delle banche protagoniste del crimine fu la Lehman Brothers, accuratamente descritta nello splendido spettacolo andato in scena lo scorso anno al Piccolo Teatro di Milano. L’aforisma di Bertolt Brecht è qui inevitabile perché vero: «Che cos’è rapinare una banca, in confronto al fondarla?».

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