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aristoteleAristotele
(384-322)

La mente è, in qualche modo, tutte le cose (ἡ ψυχὴ τὰ ὄντα πώς ἐστι πάντα)

— Aristotele, Περὶ ψυχῆς, III, 431b, 20

Riteniamo anche che tra le scienze, sia in maggior grado sapienza quella che è scelta per sé e al puro fine di sapere, rispetto a quella che è scelta in vista dei benefici che da essa derivano […] Tutte le altre scienze saranno più necessarie di questa ma nessuna sarà superiore.

— Aristotele, Metafisica, I, 2, 982a – 983a

E vendicarsi dei nemici è più bello anziché riconciliarsi

— Aristotele, Retorica A, 9, 1367 a, 20

È strano livellare le proprietà senza sistemare il numero dei cittadini, lasciando che la riproduzione resti illimitata, come se bastasse la sterilità naturale dei matrimoni a mantenere invariato il loro numero, perché questo pare ora avvenire nelle nostre città. […] Si potrebbe pensare che è più urgente porre un limite alla procreazione che non alle ricchezze, perché non venga generato nessuno oltre il numero stabilito; nel fissare il quale limite bisognerebbe tenere conto dei casi in cui alcuni nati muoiono e della sterilità dei matrimoni. Ma il lasciare libere le nascite, come avviene nella maggior parte delle città, genera necessariamente la povertà dei cittadini e la povertà provoca ribellione e delinquenza.

— Aristotele, Politica, 1265a 38 – 1265b 12. A cura di C.A. Viano, Bur 2002, p. 160.

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Anassimandro

(610-546)

Ἄναξίμανδρος….ἀρχήν….εἴρηκε τῶν ὄντων τὸ ἄπειρον….ἐξ ὧν δὲ ἡ γένεσίς ἐστι τοῖς οὖσι, καὶ τὴν φθορὰν εἰς ταῦτα γίνεσθαι κατὰ τὸ χρεὼν διδόναι γὰρ αὐτὰ δίκην καὶ τίσιν ἀλλήλοις τῆς ἀδικίας κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν.
[Principio degli enti è l’infinito (l’energia/campo il suo divenire…) Da dove gli enti hanno origine, là hanno anche la dissoluzione in modo necessario: le cose sono tutte transeunti e subiscono l’una dall’altra la pena della fine, al sorgere dell’una l’altra deve infatti tramontare. E questo accade per la struttura stessa del Tempo]

— Anassimandro, in Simplicio, “Commentario alla Fisica di Aristotele”, 24, 13 (DK, B 1)

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Empedocle

(V secolo)

Un tempo fui bimbo, e poi ancora fanciulla, e fui arbusto e uccello, e muto pesce che nel mare guizza.

— Empedocle, DK, 68 B 17

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Omero

 

Se lo vedessi discendere dentro i recessi di Ade / direi che un brutto malanno avrebbe scordato il mio cuore

— Omero, Iliade, VI, 284-285; trad. Giovanni Cerri

Non c’è niente di più miserevole dell’uomo fra tutti gli esseri / quanti respirano e arrancano sulla faccia della terra

— Omero, Iliade, XVII, 446-447; trad. Giovanni Cerri

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Eschilo

(525-456)

Pan àponon daimonìon
[Ogni atto dei numi è senza pena]

— Eschilo, Supplici, v. 100

ἐρέσσετ᾽ ἀμφὶ κρατὶ πόμπιμον χεροῖν    
πίτυλον, ὃς αἰὲν δι᾽ Ἀχέροντ᾽ ἀμείβεται
τὰν ἄστολον μελάγκροκον [ναύστολον] θεωρίδα,
τὰν ἀστιβῆ Ἀπόλλωνι, τὰν ἀνάλιον
πάνδοκον εἰς ἀφανῆ τε χέρσον.
[il battito che sospinge / il battito che senza requie per l’Acheronte / traghetta il disadorno corteo / trapunto di nero desolato di luce / non calcato da Apollo, / verso il paese oscuro che tutti accoglie]

— Eschilo, Sette contro Tebe, vv. 855-860 (trad. di Franco Ferrari)

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Friedrich Nietzsche
(1844-1900)

In media vita. – Nein! Das Leben hat mich nicht enttäuscht! Von Jahr zu Jahr finde ich es vielmehr wahrer, begehrenswerther und geheimnissvoller, – von jenem Tage an, wo der grosse Befreier über mich kam, jener Gedanke, dass das Leben ein Experiment des Erkennenden sein dürfe – und nicht eine Pflicht, nicht ein Verhängniss, nicht eine Betrügerei! – Und die Erkenntniss selber: mag sie für Andere etwas Anderes sein, zum Beispiel ein Ruhebett oder der Weg zu einem Ruhebett, oder eine Unterhaltung, oder ein Müssiggang, – für mich ist sie eine Welt der Gefahren und Siege, in der auch die heroischen Gefühle ihre Tanz- und Tummelplätze haben. “Das Leben ein Mittel der Erkenntniss” – mit diesem Grundsatze im Herzen kann man nicht nur tapfer, sondern sogar fröhlich leben und fröhlich lachen! Und wer verstünde überhaupt gut zu lachen und zu leben, der sich nicht vorerst auf Krieg und Sieg gut verstünde?

[No. La vita non mi ha disilluso. Di anno in anno la trovo invece più ricca, più desiderabile e più misteriosa -da quel giorno in cui venne a me il grande liberatore, quel pensiero cioè che la vita potrebbe essere un esperimento di chi è volto alla conoscenza -e non un dovere, non una fatalità, non una frode. E la conoscenza stessa: può anche essere per altri qualcosa di diverso, per esempio un giaciglio di riposo o la via ad un giaciglio di riposo; oppure uno svago o un ozio; ma per me essa è un mondo di pericoli e di vittorie, in cui anche i sentimenti eroici hanno le loro arene per la danza e per la lotta. “La vita come mezzo della conoscenza” -con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma perfino gioiosamente vivere e gioiosamente ridere].

— Friedrich Nietzsche, Die fröhliche Wissenschaft – La gaia scienza, aforisma 324

Mit einer ungeheuren und stolzen Gelassenheit leben; immer jenseits
(Vivere con una serenità implacabile e fiera; sempre al di là).

— Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, aforisma 284

Io vi dico: bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante.
(Ich sage euch: man muss noch Chaos in sich haben, um einen tanzenden Stern gebären zu können)

— Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, prefazione 5

Pagani sono tutti coloro che dicono sì alla vita, coloro per i quali “Dio” è la parola per il grande sì a tutte le cose.

— Friedrich Nietzsche, L’Anticristo, “Opere” VI/3 (Adelphi), p. 245

Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è -morire presto.

— Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia Adelphi, p. 31

…una felicità che finora l’uomo non ha mai conosciuto: la felicità di un dio colmo di potenza e d’amore, di lacrime e di riso, una felicità che, come il sole alla sera, non si stanca di effondere doni della sua ricchezza inestinguibile e li sparge nel mare, e come il sole, soltanto allora si sente assolutamente ricca, quando anche il più povero pescatore rema con un remo d’oro! Questo sentimento divino si chiamerebbe, allora -umanità!

— Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 337

Zweierlei will der ächte Mann: Gefahr und Spiel. Desshalb will er das Weib, als das gefährlichste Spielzeug. […] Bitter ist auch noch das süsseste Weib.
(Due cose vuole l’uomo autentico: pericolo e gioco. Per questo egli vuole la donna come il giocattolo più pericoloso. […] Anche la donna più dolce è amara).

— Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, “Delle femmine vecchie e giovani”

Quel che noi oggi, con una indicibile coercizione di noi stessi -giacché abbiamo ancora tutti in qualche modo nella carne i cattivi istinti, quelli cristiani -ci siamo riconquistati, il libero sguardo di fronte alla realtà, la cautela della mano, la pazienza e il rigore nelle più piccole cose, l’intera onestà della conoscenza -esisteva già! già più di due millenni or sono! Si aggiunga poi la finezza di discernimento e di gusto! Non come addestramento di cervelli! Non come educazione «tedesca», con maniere da zotici! Bensì come complessione fisica, come gesto, come istinto -in una parola come realtà…Tutto inutile! Nello spazio di una notte, nient’altro che un ricordo! Greci! Romani! La nobiltà dell’istinto, il gusto, l’indagine metodica, il genio dell’organizzazione e dell’amministrazione, la fede, la volontà dell’avvenire umano, il grande sì a tutte le cose divenuto visibile come imperium romanum, visibile a tutti i sensi, il grande stile divenuto non più semplicemente arte, ma realtà, verità, vita…-E non già incenerito, tutto questo, da un evento naturale nello spazio di una notte! Non calpestato da Germani o da altri tardigradi! Bensì fatto oggetto di scempio da scaltri, occulti, invisibili, esangui vampiri! Non vinto -soltanto dissanguato!…La nascosta sete di vendetta, la piccola invidia diventa padrona! Ecco di colpo in alto tutto quanto è miserabile, sofferente di se stesso, funestato da cattivi sentimenti, l’intero mondo-da-ghetto dell’anima!…Ci si ingannerebbe completamente se si supponesse un qualsiasi difetto d’intelligenza nelle guide del movimento cristiano -oh, se essi sono accorti, accorti fino alla santità, questi signori padri della Chiesa!

— Friedrich Nietzsche, L’Anticristo, Adelphi, pp. 254-256

Pagano è il dir di sì a ciò che è naturale, il senso d’innocenza in ciò che è naturale, la “naturalezza”. Cristiano è il dir di no a ciò che è naturale, il senso di indegnità in ciò che è naturale, l’essere contro natura.

— Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, 10[193]

Questo pensatore, il più abnorme e solitario che sia esistito, è appunto il più vicino a me in queste cinque argomentazioni: egli nega la libertà del volere-; i fini-; l’ordine morale del mondo-; l’altruismo-; il male.

— Friedrich Nietzsche, Lettera a Franz Overbeck a proposito di Spinoza, 30 luglio 1881; Epistolario, volume IV, Adelphi

Che io sia un uomo è un pregiudizio. Ma io ho già vissuto spesso tra gli uomini e conosco tutto ciò che gli umani possono provare, dalle cose infime fino a quelle più alte. Sono stato Buddha fra gli indiani e Dioniso in Grecia, Alessandro e Cesare sono mie incarnazioni, come pure Lord Bacon, il poeta di Shakespeare. Da ultimo sono stato Voltaire e Napoleone, forse anche Richard Wagner…Ma questa volta vengo come il vittorioso Dioniso, che farà della terra un giorno di festa…Non avrei molto tempo…I cieli si rallegrano che io sia qui…Sono stato anche appeso alla croce…

— Friedrich Nietzsche, A Cosima Wagner, 3 gennaio 1889

Questo è il piccolo scherzo, mediante il quale cerco di dimenticare la noia di aver creato il mondo. Ora Lei è – tu sei – il nostro grande più grande Maestro: poiché io – insieme con Arianna – ho da essere l’aureo equilibrio di tutte le cose, in ogni parte abbiamo chi sta sopra di noi… Dioniso

— Friedrich Nietzsche, Lettera n. 1245 a Jacob Burckhardt del 4.1.1889, in Nietzsche Briefwechsel. Kritische Gesamtausgabe. Januar 1887-Januar 1889, III/5, p. 574

Singe mir ein neues Lied: die Welt ist verklärt und alle Himmel freuen sich. Der Gekreuzigte
[Cantami un nuovo canto: il mondo è trasfigurato e tutti i cieli sono nella gioia. Il crocifisso]

— Friedrich Nietzsche, A Peter Gast, 4 gennaio 1889

…vedo uno spettacolo così ricco di significato, così meravigliosamente paradossale al tempo stesso, che tutte le divinità dell’Olimpo avrebbero avuto motivo per una risata immortale -Cesare Borgia papa…Mi si intende?…Orbene, sarebbe stata questa la vittoria alla quale solo io oggi anelo -: in tal modo il cristianesimo sarebbe stato liquidato! Che accadde invece? Un monaco tedesco, Lutero, venne a Roma. Questo monaco, con dentro il petto tutti gli istinti di vendetta d’un prete malriuscito, a Roma si indignò contro il Rinascimento…
[…]
Lutero vide la corruzione del papato, mentre si poteva toccar con mano esattamente il contrario: sul seggio papale non stava più l’antica corruzione il peccatum originale, il cristianesimo! Sibbene il grande sì a ogni cosa elevata, bella, temeraria!…E Lutero restaurò nuovamente la Chiesa: la attaccò…
[…]
Sono i miei nemici, lo confesso, questi Tedeschi […] hanno sulla coscienza anche la più sporca specie di cristianesimo che esista, la più inguaribile, la più inconfutabile, il protestantesimo…Se non la faremo finita col cristianesimo, sarà colpa dei Tedeschi…

— Friedrich Nietzsche, L’anticristo, “Opere” VI/3 (Adelphi), af. 61, pp. 258-259

Es giebt unter den Menschen keine grössere Banalität, als den Tod; zu zweit im Range steht die Geburt, weil nicht Alle geboren werden, welche doch sterben.
[Fra gli uomini non esiste nessuna banalità più grande della morte; seconda nell’ordine viene la nascita, poiché non tutti quelli che muoiono nascono anche]

— Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, vol. II, parte seconda “Il viandante e la sua ombra”, af. 58, ed. Adelphi p. 167

Ich heisse das Christenthum den Einen grossen Fluch, die Eine grosse innerlichste Verdorbenheit, den Einen grossen Instinkt der Rache, dem kein Mittel giftig, heimlich, unterirdisch, klein genug ist, – ich heisse es den Einen unsterblichen Schandfleck der Menschheit
[Definisco il cristianesimo l’unica grande maledizione, l’unica grande e più intima depravazione, l’unico grande istinto di vendetta, per il quale nessun mezzo è abbastanza velenoso, furtivo, sotterraneo, meschino -lo definisco l’unica immortale macchia d’infamia dell’umanità].

— Friedrich Nietzsche, Der Antichrist. Fluch auf das Christenthum, § 62 (trad. di Ferruccio Masini, Adelphi, “Opere” VI/3, pp. 260-261)

Temo che gli animali vedano nell’uomo un essere loro uguale che ha perduto in maniera estremamente pericolosa il sano intelletto animale: vedano cioè in lui l’animale delirante, l’animale che ride, l’animale che piange, l’animale infelice.

— Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza, af. 224

Si chiama Stato il più gelido di tutti i gelidi mostri. Esso è gelido anche quando mente; e questa menzogna gli striscia fuori di bocca: “Io, lo Stato, sono il popolo” (Staat heisst das kälteste aller kalten Ungeheuer. Kalt lügt es auch; und diese Lüge kriecht aus seinem Munde: ‘Ich, der Staat, bin das Volk’).

— Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, “Del nuovo idolo”, Adelphi, p. 54

In fondo all’anima l’uomo è soltanto malvagio (nur böse) mentre la donna è cattiva (schlecht).

— Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, “Delle femmine vecchie e giovani”

Al di là del Nord, dei ghiacci, della morte – la nostra vita, la nostra felicità…Noi abbiamo scoperto la felicità, noi conosciamo la via, noi trovammo l’uscita da interi millenni di labirinto.

— Friedrich Nietzsche, L’Anticristo, Adelphi, § 1, p. 168

Sulla terra non c’è niente di più stupido che lamentarsi. Umilia noi stessi, anche presso i migliori amici.

— Friedrich Nietzsche, Lettera a Erwin Rohde, 23.2.1886 (Epistolario, Vol. V, Adelphi, p. 157)

Un’umanità il cui sentimento fondamentale è e rimane quello per cui l’uomo è l’essere libero nel mondo della necessità, l’eterno taumaturgo, sia che agisca bene, sia che agisca male, la sorprendente eccezione, il super-animale, il quasi-Dio, il senso della creazione, il non pensabile come inesistente, la parola risolutiva dell’enigma cosmico, il grande dominatore della natura e dispregiatore di essa, l’essere che chiama la sua storia storia del mondo! Vanitas vanitatum homo.

— Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano II, af. 12, in ‘Opere’ IV/3, Adelphi 1967, p. 141.

Il diritto -la volontà di rendere eterno un rapporto di potenza momentaneo. Esserne soddisfatti ne è il presupposto. Tutto quanto è venerabile viene chiamato in causa per far apparire eterno il diritto.

— Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi 1882-1884, in “Opere”, Adelphi, VII/1, parte prima, 7[96] p. 261.

Die Tragödie sitzt inmitten dieses Überflusses an Leben, Leid und Lust, in erhabener Entzückung, sie horcht einem fernen schwermüthigen Gesange – er erzählt von den Müttern des Seins, deren Namen lauten: Wahn, Wille, Wehe
[La tragedia sta in mezzo a questa sovrabbondanza di vita, di dolore e di piacere, in estasi sublime, ascolta un lontano melanconico canto – esso narra delle Madri dell’essere, i cui nomi suonano: follia, volontà, dolore].

— Friedrich Nietzsche, Die Geburt der Tragödie, § 20

In irgend einem abgelegenen Winkel des in zahllosen Sonnensystemen flimmernd ausgegossenen Weltalls gab es einmal ein Gestirn, auf dem kluge Thiere das Erkennen erfanden. Es war die hochmüthigste und verlogenste Minute der “Weltgeschichte”: aber doch nur eine Minute. Nach wenigen Athemzügen der Natur erstarrte das Gestirn, und die klugen Thiere mußten sterben.
So könnte Jemand eine Fabel erfinden und würde doch nicht genügend illustrirt haben, wie kläglich, wie schattenhaft und flüchtig, wie zwecklos und beliebig sich der menschliche Intellekt innerhalb der Natur ausnimmt; es gab Ewigkeiten, in denen er nicht war; wenn es wieder mit ihm vorbei ist, wird sich nichts begeben haben.

— Friedrich Nietzsche, Über Wahrheit und Lüge im aussermoralischen Sinne, 1, incipit.

Si prenda in mano un libro veramente pagano, per esempio Petronio, in cui in fondo non si fa, non si dice, non si vuole e non si giudica niente che non sia, secondo un criterio cristianamente ipocrita, peccato, anzi peccato mortale. E tuttavia, che senso di benessere nell’aria più pura, nella superiore spiritualità dell’andatura più veloce, nella forza liberata e traboccante, sicura del proprio avvenire! In tutto il Nuovo Testamento non si trova una sola bouffonerie: ma con ciò un libro è confutato…Paragonato a quel libro, il Nuovo Testamento rimane un sintomo di una cultura decadente e della corruzione -e come tale ha operato, come fermento della putrefazione.

— Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, 9[143], trad. di S. Giametta, “Opere” III/2, Adelphi, pp. 70-71

Am schönsten Gewächse des Alterthums, an Plato
[In Platone, il figlio più bello dell’antichità]

— Friedrich Nietzsche, Jenseits von Gut und Böse – Vorrede (Al di là del bene e del male, Prefazione)

Falsche Küsten und falsche Sicherheiten lehrten euch die Guten; in Lügen der Guten wart ihr geboren und geborgen. Alles ist in den Grund hinein verlogen und verbogen durch die Guten.
[Falsi approdi e false sicurezze vi insegnarono i buoni; voi eravate nati e assicurati nelle menzogne dei buoni. Tutto è mentito e distorto fin nel profondo per opera dei buoni].

— Friedrich Nietzsche, Also sprach Zarathustra, III, “Von alten und neuen Tafeln” (Di antiche tavole e nuove), § 28 (trad. di Mazzino Montinari, con modifiche)

So fremd seid ihr dem Grossen mit eurer Seele, dass euch der Übermensch furchtbar sein würde in seiner Güte!
[Nell’anima vostra siete così estranei alla grandezza, che l’oltreuomo sarebbe spaventoso per voi nella sua bontà!]

— Friedrich Nietzsche, Also sprach Zarathustra, II, “Von der Menschen-Klugheit”, ‘Dell’accortezza verso gli umani’

Die Existenz-Bedingung der Guten ist die Lüge -: anders ausgedrückt, das Nicht-sehn-wollen um jeden Preis, wie im Grunde die Realität beschaffen ist, nämlich nicht der Art, um jeder Zeit wohlwollende Instinkte herauszufordern, noch weniger der Art, um sich ein Eingreifen von kurzsichtigen gutmüthigen Händen jeder Zeit gefallen zu lassen.
[La condizione di esistenza dei buoni è la menzogna: in altri termini il non voler vedere a ogni costo come in fondo è fatta la realtà, che non è certo fatta per suscitare continuamente istinti benevoli, e ancor meno per consentire a un continuo intervento di mani miopi e bonarie]

— Friedrich Nietzsche, Ecce homo, in «Opere», a cura di G. Colli e M. Montinari, trad. di R. Calasso, vol. VI/3, Adelphi 1975, «Perché io sono un destino», § 4, p. 378.

Die vier Irrthümer. — Der Mensch ist durch seine Irrthümer erzogen worden: er sah sich erstens immer nur unvollständig, zweitens legte er sich erdichtete Eigenschaften bei, drittens fühlte er sich in einer falschen Rangordnung zu Tier und Natur, viertens erfand er immer neue Gütertafeln und nahm sie eine Zeit lang als ewig und unbedingt, sodass bald dieser, bald jener menschliche Trieb und Zustand an der ersten Stelle stand und in Folge dieser Schätzung veredelt wurde. Rechnet man die Wirkung dieser vier Irrthümer weg, so hat man auch Humanität, Menschlichkeit und „Menschenwürde“ hinweggerechnet.

[I quattro errori. L’uomo è stato allevato dai suoi errori: prima di tutto si è sempre visto solo in modo incompleto, in secondo luogo si è dato qualità immaginarie, in terzo luogo si è sentito in un fasullo rapporto gerarchico con gli animali e la natura, in quarto luogo ha sempre inventato nuove tavole di valori e le ha considerate per un certo tempo eterne e incondizionate, tanto da attribuire, in conseguenza di tale apprezzamento, un primato a un determinato istinto e condizione umana. Se non si mettono in conto gli effetti di questi quattro errori, non si possono neppure valutare l’umanesimo, l’umanità e la «dignità umana»]

— Friedrich Nietzsche, Die fröhliche Wissenschaft, III, af. 115 – La Gaia scienza, III, af. 115

In un angolo remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c’era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della ‘storia del mondo’: ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire.

— Friedrich Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, in «Opere», Adelphi, vol. III /2, p. 355.

«L’uomo, commediante del mondo.
Ci dovrebbero essere creature dotate di spirito più di quanto non siano gli uomini anche solo per gustare a fondo l’umorismo insito nel fatto che l’uomo si considera lo scopo dell’intera esistenza del mondo, e l’umanità è veramente soddisfatta solo se può assegnarsi una missione mondiale. […] La nostra unicità nell’universo! Ohimè, è una cosa fin troppo inverosimile! […] La goccia di vita che è nel mondo è senza importanza per il carattere del mostruoso oceano di divenire e trapassare: […] [ci sono infiniti astri] che non hanno avuto la vivente eruzione o che ne sono da lungo tempo guariti; […] la vita su ognuno di questi astri, misurata sulla durata della sua esistenza, è stata un attimo, una vampata con lunghi spazi di tempo dietro di sé, e dunque in nessun modo la meta e lo scopo ultimo della sua [della terra] esistenza»
«Der Mensch, der Komödiant der Welt.
— Es müsste geistigere Geschöpfe geben, als die Menschen sind, blos um den Humor ganz auszukosten, der darin liegt, dass der Mensch sich für den Zweck des ganzen Weltendaseins ansieht, und die Menschheit sich ernstlich nur mit Aussicht auf eine Welt-Mission zufrieden giebt. […] Unsere Einzigkeit in der Welt! ach, es ist eine gar zu unwahrscheinliche Sache! […] Der Tropfen Leben in der Welt für den gesammten Charakter des ungeheuren Ozeans von Werden und Vergehen ohne Bedeutung ist; […] welche den lebenden Ausschlag nie gehabt haben oder von ihm längst genesen sind; dass das Leben auf jedem dieser Gestirne, gemessen an der Zeitdauer seiner Existenz, ein Augenblick, ein Aufflackern gewesen ist, mit langen, langen Zeiträumen hinterdrein, — also keineswegs das Ziel und die letzte Absicht ihrer Existenz».

— Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, af. 14

«Il vivente è soltanto una varietà dell’inanimato e una varietà alquanto rara»
«Das Lebende ist nur eine Art des Todten, und eine sehr seltene Art»

— Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, af. 109

«L’uomo, una piccola specie animale ipertesa che – fortunatamente – ha fatto il suo tempo; la vita sulla terra in genere un attimo, un incidente, un’eccezione senza conseguenze, qualcosa che per il carattere totale della Terra rimane senza importanza; la Terra stessa è, come ogni astro, uno iato tra due nulla, un avvenimento senza piano, ragione, volontà, autocoscienza, la peggior forma di necessità, la necessità stupida…»

«Der Mensch, eine kleine überspannte Thierart, die — glücklicher Weise — ihre Zeit hat; das Leben auf der Erde überhaupt ein Augenblick, ein Zwischenfall, eine Ausnahme ohne Folge, Etwas, das für den Gesamt-Charakter der Erde belanglos bleibt; die Erde selbst, wie jedes Gestirn, ein Hiatus zwischen zwei Nichtsen, ein Ereigniß ohne Plan, Vernunft, Wille, Selbstbewußtsein, die schlimmste Art des Nothwendigen, die dumme Nothwendigkeit…»

— Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, 16[25], pp. 277-278

La natura, dissipatrice senza misura, indifferente senza misura, senza propositi e riguardi, senza pietà e giustizia, feconda e squallida e al tempo stesso insicura, […] l’indifferenza stessa come potenza.

— Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, § 9, Adelphi, p. 13

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David Benatar
(1966)

La vita non ha alcun significato dal punto di vista cosmico. […] Noi siamo insignificanti granelli in un immenso universo che è completamente indifferente verso di noi. Il limitato senso che le nostre vite possono avere è effimero, non duraturo.

— David Benatar, La difficile condizione umana, Giannini Editore 2020, p. 48

Se amare o servire Dio è il nostro scopo, l’atto di crearci sembra quello di un essere supremamente narcisistico piuttosto che supremamente benevolo.

— David Benatar, La difficile condizione umana, Giannini Editore 2020, p. 82

Sarebbe in effetti meraviglioso se vi fosse un Dio benevolo che ci avessi creati per una buona ragione e si prendesse cura di noi come un genitore amorevole farebbe con i suoi figli. Tuttavia, il modo in cui il mondo è ci fornisce numerose prove che le cose non stanno così.

— David Benatar, La difficile condizione umana, Giannini Editore 2020, p. 85

È difficile conciliare questo con l’esistenza di un presunto Dio benevolo, che sicuramente avrebbe potuto creare un mondo nel quale miliardi di individui non sarebbero dovuti morire ogni giorno per mantenerne altri in vita.

— David Benatar, La difficile condizione umana, Giannini Editore 2020, p. 88

Un altro modo un cui l’agentività gioca un qualche ruolo nella difficile condizione umana è la procreazione, il ‘virus’ sessualmente trasmesso che diffonde l’esistenza e diffonde con essa anche la difficile condizione esistenziale.

— David Benatar, La difficile condizione umana, Giannini Editore 2020, p. 248

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Epicuro
(341-270)

Chi dice che l’età per filosofare non è ancora giunta o è già trascorsa, è come se dicesse che non è ancora giunta o è già trascorsa l’età per essere felici.

— Epicuro, Lettera a Meneceo, § 122

Epicuro
(scheda biografica e testi del filosofo)

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Eraclito
(535-475)

ἁρμονίη ἀφανὴς φανερῆς κρείσσων
[L’ordine che si ricusa all’apparire è più vigente di uno che giunge nell’apparenza; trad. di Heidegger]

— Eraclito, Frammento 54

Φύσις κρύπτεσθαι φιλεῖ – L’essere, l’intero, il sorgere porta con sé sempre il tramonto.

— Eraclito, DK 123 – Mouraviev 70

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Elias Canetti
(1905-1994)

La morte come desiderio si trova davvero ovunque, e non è necessario scavare molto nell’uomo per trarla alla luce.

— Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi, p. 87

Mi addolora che non si arriverà mai a un’insurrezione degli animali contro di noi, degli animali pazienti, delle vacche, delle pecore, di tutto il bestiame che è nelle nostre mani e non ci può sfuggire. Mi immagino una ribellione che scoppia in un mattatoio e da lì si riversa sull’intera città; come uomini, donne, bambini, vecchi vengono pestati a morte spietatamente; come gli animali invadono l strade e travolgono i vicoli, sfondano portoni e porte, alla loro furia si riversano su fino ai piani più alti delle case, come nella metropolitana i vagoni vengono schiacciati da migliaia di buoi inferociti e le pecore ci sbranano con denti improvvisamente aguzzi.

— Elias Canetti, La provincia dell’uomo, Adelphi 1978, p. 156

La vita e le opere

Una breve cronologia

Il Premio Nobel

Elenco di siti

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Herbert Marcuse

(1898-1979)

Il materialismo, che non è viziato da simile abuso ideologico, dell’anima, ha un concetto più universale e più realistico della salvezza. Esso riconosce la realtà dell’Inferno in un unico luogo, qui sulla terra, ed afferma che questo Inferno è stato creato dall’uomo (e dalla Natura). Fa parte di esso il maltrattamento degli animali -opera di una società umana la cui razionalità è ancora l’irrazionale.

— Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata, Einaudi 1991, p. 247

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I parabolani, sotto la guida di un ecclesiastico di nome Pietro -‘sotto tutti gli aspetti un perfetto credente in Gesù Cristo’ [Giovanni da Nikiu, Cronaca, LXXXIV, 100]- si fecero avanti e afferrarono ‘quella donna pagana’. Il gruppo trascinò la più grande matematica del mondo antico per le strade di Alessandria, fino a una chiesa. Una volta dentro, le strapparono i vestiti di dosso e poi, usando pezzi di coccio come lame, cominciarono a scorticarle via la pelle dalle carni. Alcuni riferirono che, mentre Ipazia stava ancora rantolando, le strapparono via gli occhi dalle orbite. Quando morì, fecero a pezzi il suo corpo e gettarono ciò che restava della ‘luminosa figlia della ragione’ al rogo e lo bruciarono.

— Catherine Nixey, Nel nome della Croce. La distruzione cristiana del mondo classico (Bollati Boringhieri, 2018, p. 167)

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Marcel Proust
(1871-1922)

«Les deux plus grandes causes d’erreur dans nos rapports avec un autre être sont avoir soi bon coeur ou bien, cet autre être, l’aimer»
[I due più grandi errori nei nostri rapporti con un’altra persona sono di aver buon cuore, oppure, quell’altra persona, amarla].

— Marcel Proust, Albertine disparue, Gallimard, 1999, p. 2003

Del resto, le amanti che più ho amate non hanno mai coinciso con il mio amore per loro […] Quando le vedevo, quando le udivo, non trovavo nulla in loro che somigliasse al mio amore e potesse spiegarlo. Eppure, la mia sola gioia era di vederle, la mia sola ansia di aspettarle […] Sono incline a credere che in questi amori (lascio in disparte il piacere fisico che d’altronde s’unisce abitualmente a essi ma non basta a costituirli), sotto l’apparenza della donna, ci rivolgiamo in realtà alle forze invisibili accessoriamente unite a lei, come a oscure divinità. È la loro benevolenza a esserci necessaria, è il loro contatto quello che cerchiamo, senza trovarvi nessun piacere vero.

— Marcel Proust, Sodoma e Gomorra, Einaudi, pp. 560-561

Et en effet les femmes qu’on n’aime plus et qu’on rencontre après des années, n’y a-t-il pas entre elles et vous la mort, tout aussi bien que si elles n’étaient plus de ce monde, puisque le fait que notre amour n’existe plus fait de celles qu’elles étaient alors, ou de celui que nous étions, des morts?
[E, infatti, con le donne che più non si amano, e che si incontrano dopo tanti anni, non c’è forse la morte fra loro e noi, come se non fossero più di questo mondo, perché il fatto che il nostro amore non esiste più trasforma quel che esse allora erano, o coloro che noi eravamo, in altrettanti morti?]

— Marcel Proust, Albertine disparue, Gallimard, Paris 1999, p. 2126 [Il tempo ritrovato, Einaudi 1978, p. 7]

Ma, quando niente sussiste d’un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l’immenso edificio del ricordo.

— Marcel Proust, La strada di Swann, Einaudi, p. 52

L’amour, sentiment qui (quelle qu’en soit la cause) est toujours erroné.
[L’amore è un sentimento sempre sbagliato, qualunque ne sia la causa]

— Marcel Proust, Sodome et Gomorrhe, in À la recherche du temps perdu, Gallimard 1999, p. 1358

Un teatrino di marionette immerse nei colori immateriali degli anni, di marionette che esteriorizzavano il Tempo: il Tempo che, d’ordinario, non è visibile, che per diventar tale va in cerca di corpi e che, dovunque li incontra, se ne impossessa per mostrar su di loro la propria lanterna magica.

— Marcel Proust, Il tempo ritrovato, Einaudi, p. 258

Comment a-t-on le courage de souhaiter vivre, comment peut-on faire un mouvement pour se préserver de la mort, dans un monde où l’amour n’est provoqué que par le mensonge et consiste seulement dans notre besoin de voir nos souffrances apaisées par l’être qui nous a fait souffrir?

— Marcel Proust, Sodome et Gomorrhe, in À la recherche du temps perdu, Gallimard 1999, p. 1673

Sous l’apparence de la femme, c’est à ces forces invisible dont elle est accessoirement accompagnée que nous nous adressons comme à d’obscures divinités. C’est elles dont la bienveillance nous est nécessaire, dont nous recherchons le contact.

— Marcel Proust, “Sodome et Gomorrhe”, in À la recherche du temps perdu, Gallimard, 1999, p. 1602

Aimer est un mauvais sort comme qu’il y a dans les contes contre quoi on ne peut rien jusqu’à ce que l’enchantement ait cessé.
(Nella splendida traduzione di Giorgio Caproni, Einaudi 1978, p. 19: «Amare è una malasorte come nelle fiabe, contro cui nulla si può finché l’incantesimo non è finito»)

— Marcel Proust, Le Temps retrouvé

C’est la terrible tromperie de l’amour qu’il commence par nous faire jouer avec une femme non du monde extérieur, mais avec une poupée interiéur à notre cerveau, la seule d’ailleurs que nous ayons toujours à notre dispositions, la seule que nous posséderons, que l’arbitraire du souvenir, presque aussi absolu que celui de l’imagination, peut avoir faite aussi différente de la femme réelle que du Balbec réel avait été pour moi le Balbec rêvé; création factice à laquelle peu à peu, pour notre souffrance, nous forceron la femme réelle à ressembler

— Marcel Proust, À la recherche du temps perdu, Gallimard 1999, p. 1032 [Le côté de Guermantes II]

Marcel Proust
L’ ipertesto curato da Gabriella Alù è appassionato e colto, aggiornato con continuità, completo. Il miglior sito in italiano -e non solo- dedicato a Proust

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Pierre Choderlos de Laclos
(1741-1803)

Ce charme qu’on croit trouver dans les autres, c’est en nous qu’il existe ; et c’est l’amour seul qui embellit tant l’objet aimé
[L’incanto che crediamo di trovar negli altri, è in noi che abita: ed è soltanto l’amore a rendere così splendente l’oggetto amato]

— Pierre Choderlos de Laclos, Les liaisons dangereuses, Lettre CXXXIV

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Friedrich Dürrenmatt
(1921-1990)

La natura, per quanto ottusa, non rifarà probabilmente la sciocchezza di creare dei primati, il caso culminato nella creazione della nostra razza non si ripeterà, probabilmente.

— Friedrich Dürrenmatt, La guerra invernale del Tibet, “Racconti”, Feltrinelli, 1996, p. 270

Dove cessa l’animale da preda, questa crudele, sanguinaria scimmia predatrice che si chiama uomo, e dove comincia il superuomo? Comincia in colui che abbia una visione completa dell’inferno della caverna in cui è relegato; che non soggiaccia all’inganno che le ombre siano quelle dei suoi nemici e non la sua stessa ombra; che laceri anche questo più raffinato velo dietro cui la verità si nasconde: lo scopo dell’uomo è d’essersi nemico…l’uomo e la sua ombra sono tutt’uno.

— Friedrich Dürrenmatt, La guerra invernale del Tibet, “Racconti”, Feltrinelli, 1996, p. 307

Stelle impietose, indifferenti all’esistenza o alla non-esistenza della vita su quell’indicibile nullità che è la nostra terra, per non parlare dei destini umani.

— Friedrich Dürrenmatt, Giustizia, Garzanti 1989, p. 189

La vita è un’incredibile carognata della natura, un’oscura aberrazione del carbonio, un’escrescenza maligna della superficie terrestre, una rogna incurabile. Composti di cose morte, ci decomponiamo in cose morte.

— Friedrich Dürrenmatt, La meteora, in «Teatro», Einaudi-Gallimard 2002, p. 724

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Lenin
(1870-1924)

Il materialismo, riconoscendo l’esistenza della realtà obiettiva, cioè della materia in movimento, indipendentemente dalla nostra coscienza, deve inevitabilmente riconoscere anche la realtà obiettiva dello spazio del tempo, a differenza, anzitutto, del kantismo il quale, come l’idealismo, considera lo spazio e il tempo come forme dell’intuizione umana e non come realtà obiettive.

— Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria, Edizioni Lotta Comunista, 2004, p. 191

Proprio questo è il materialismo: la materia, agendo sui nostri organi sensori, produce la sensazione. L asensazione dipende dal cervello, dai nervi, dalla retina, ecc. ecc., cioè dalla materia organizzata in modo determinato. L’esistenza della materia non dipende dalle sensazioni. La materia è primordiale.

— Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria, Edizioni Lotta Comunista, 2004, p. 67

Riconoscere l’esistenza delle cose, dell’ambiente, dell’universo, indipendentemente dalla nostra sensazione, dalla nostra coscienza, dal nostro Io e dall’uomo in generale.

— Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria, Edizioni Lotta Comunista, 2004, p. 82

Il postulato fondamentale del materialismo è l’ammissione del mondo esterno, dell’esistenza delle cose al di fuori della nostra coscienza e indipendentemente da essa.

— Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria, Edizioni Lotta Comunista, 2004, p. 96

Le cose esistono indipendentemente dalla nostra coscienza, indipendentemente dalla nostra sensazione, fuori di noi. […]. Non vi è né vi può assolutamente essere differenza di principio tra il fenomeno e la cosa in sé. La differenza è semplicemente fra ciò che è noto e ciò che non è ancora noto.

— Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria, Edizioni Lotta Comunista, 2004, p. 116

La materia è una categoria filosofica che serve a designare la realtà obiettiva che è data all’uomo dalle sue sensazioni, che è copiata, fotografata, riflessa dalle nostre sensazioni, ma esiste indipendentemente da esse.

— Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria, Edizioni Lotta Comunista, 2004, p. 143

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Plotino
(205-270)

L’insegnamento giunge solo a indicare la via e il viaggio ma la visione sarà di colui che avrà voluto vedere.

— Plotino, Enneadi, VI, 9, 4

Tutto è pieno di segni, ed è sapiente chi da una cosa ne conosce un’altra.

— Plotino, Enneadi, II, 3, 7

Se il fuoco che è in te si spegne, non si spegne tuttavia il fuoco dell’universo.

— Plotino, Enneadi, II, 9, 7

Per la stoltezza degli altri o dei parenti il saggio non si renderà infelice né si legherà alla fortuna buona o cattiva degli altri.

— Plotino, Enneadi, I, 4, 7

φῶς γὰρ φωτί
(La luce è manifesta alla luce)

— Plotino, Enneadi, V, 8, 4

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Edmund Husserl
(1859-1938)

 

L’uomo che ha gustato una volta i frutti della filosofia, che ha imparato a conoscere i suoi sistemi, e che allora, immancabilmente, li ha ammirati come i beni più alti della cultura, non può più rinunciare alla filosofia e al filosofare.

— Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore 1975, p.535

Il tempo che per essenza inerisce al vissuto come tale, con i suoi modi di datità dell’adesso, del prima, del dopo, con la «simultaneità» e la «successione» modalmente determinati dai precedenti, ecc., non può essere misurato da nessuna posizione del Sole, da nessun orologio, da nessun mezzo fisico: in generale, non può essere affatto misurato.

— Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. I, Einaudi 2002, § 81, p.202

La coscienza desta, la vita desta, è un vivere andando incontro, un vivere che dall’ “ora”, va incontro al nuovo “ora” […] Il tempo è la forma ineliminabile delle realtà individuali.

— Edmund Husserl, Lezioni per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, FrancoAngeli, pp.131 e 279

Mal si addice al filosofo, che è chiamato a sostenere l’interesse della teoria pura, il lasciarsi determinare dal problema dell’utilità pratica. Egli dovrebbe anche sapere che proprio sotto l’ “ovvietà” si nascondono i problemi più difficili, al punto che si potrebbe paradossalmente, ma non senza un profondo significato, definire la filosofia come la scienza dei luoghi comuni.

— Edmund Husserl, Ricerche logiche II, Terza ricerca, Osservazioni, Il Saggiatore, p. 129.

The Husserl Page

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Ludwig Wittgenstein
(1889-1951)

Vive eterno colui che vive nel presente.

— Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, proposizione 6.4311

La vita di conoscenza è la vita che è felice nonostante la miseria del mondo.

— Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, nota del 13.8.1916, Einaudi, p. 182

Anche se il risultato della filosofia è semplice, non può esserlo il metodo per arrivarci. La complessità della filosofia non è quella della sua materia, ma del nostro intelletto annodato.

— Ludwig Wittgenstein, Osservazioni filosofiche, Einaudi, p. 5

Ciò che vedo è un significato.

— Ludwig Wittgenstein, Osservazioni sulla filosofia della psicologia, I, § 869, Adelphi 1990, p. 246

The Wittgenstein Archives

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Arthur Schopenhauer
(1788-1860)

Solo la luce che uno accende a se stesso, risplende in seguito anche per gli altri.

— Arthur Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, volume I, Adelphi, p. 216

L’intolleranza è intrinseca soltanto alla natura del monoteismo: un dio unico è, per sua natura, un dio geloso, che non tollera nessun altro dio accanto a sé. Invece gli dèi politeistici, per loro natura, sono tolleranti, essi vivono e lasciano vivere. In primo luogo, tollerano volentieri i loro colleghi, gli dèi della stessa religione, e poi questa stessa tolleranza si estende anche agli dèi stranieri, che perciò vengono accolti con ospitalità, e col tempo ottengono perfino il diritto di cittadinanza, come dimostra anzitutto l’esempio dei romani, i quali accolsero volentieri gli dèi della Frigia, dell’Egitto e altri dèi stranieri. Perciò sono soltanto le religioni monoteistiche a offrirci lo spettacolo delle guerre e delle persecuzioni religiose, nonché dei processi agli eretici e della distruzione delle immagini degli dèi stranieri, della distruzione dei templi indiani e dei colossi egiziani, che per tre millenni avevano guardato il sole.

— Arthur Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, volume II, Adelphi, pp. 470-471

Operari sequitur esse, ergo unde esse inde operari

— Arthur Schopenhauer, La libertà del volere, Laterza, p. 118

Si guardino invece le atrocità inaudite che nei paesi cristiani la massa commette contro gli animali, ammazzandoli, ridendo e spesso senza nessuno scopo, mutilandoli e torturandoli, e perfino quando si tratti di animali che direttamente procurano il pane all’uomo, come i cavalli, che anche in vecchiaia vengono strapazzati fino all’estremo delle forze, perché si cerca di tirare l’ultimo midollo dalle loro povere ossa, finché non crollano sotto le bastonate del padrone. In verità verrebbe da dire che gli esseri umani sono i diavoli sulla terra e le bestie le anime torturate. Queste sono le conseguenze di quella ‘scena di insediamento’ nel giardino del paradiso. Infatti soltanto la violenza o la religione possono avere influenza sul volgo: ma per quello che riguarda gli animali il cristianesimo ci pianta vergognosamente in asso. […] Non già pietà, ma giustizia si deve all’animale.

— Arthur Schopenhauer, Parerga e Paralipomena tomo II, Adelphi 1981, pp. 488-489

Ma lo scopo ultimo di tutto questo, qual è? Mantenere in vita per un breve lasso di tempo degli individui effimeri e tormentati, tenendoli nel migliore dei casi in una condizione di bisogno sopportabile e con una relativa assenza di dolore, alla quale però subentra subito la noia; e poi la perpetuazione del genere umano e del suo affaccendarsi. […] La volontà di vivere ci appare, considerata oggettivamente, come una follia, e considerata soggettivamente, come un’illusione della quale tutto ciò che vive diviene preda, che lo porta a esaurire le proprie forze mirando a raggiungere qualcosa che è del tutto privo di valore. Solo che, se esaminiamo le cose con maggiore attenzione, scopriamo anche in questo caso che essa è piuttosto una spinta cieca, un impulso del tutto privo di fondamento e di motivazione.

— Arthur Schopenhauer, Supplementi a “Il mondo come volontà e manifestazione”, a cura di Giorgio Brianese, Einaudi 2013, p. 465

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Carl Schmitt
(1888-1985)

Wer Menschheit sagt, will betrügen (chi dice ‘umanità’ cerca di ingannarti) […] L’umanità è uno strumento particolarmente idoneo alle espansioni imperialistiche ed è, nella sua forma etico- umanitaria, un veicolo specifico dell’imperialismo economico.

— Carl Schmitt, Le categorie del “politico”, Il Mulino, p. 139

Carl Schmitt: biografia

Prefazione di Danilo Zolo a Il concetto discriminatorio di guerra, Laterza 2008

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Francesco Petrarca
(1304-1374)

Altro diletto che imparar non provo

— Francesco Petrarca, Trionfo d’amore, I, 22

Tutto vince e ritoglie il Tempo avaro; / chiamasi Fama, et è morir secondo, / né più che contra ‘l primo è alcun riparo. / Così ‘l Tempo triunfa i nomi e ‘l mondo

— Francesco Petrarca, Trionfo del Tempo, 142-145

ché per certo / infinita è la schiera degli sciocchi

— Francesco Petrarca, Trionfo del Tempo, vv. 83-84

Passan vostre grandezze e vostre pompe, / passan le signorie, passano i regni; / ogni cosa mortal Tempo interrompe

— Francesco Petrarca, Trionfo del Tempo, vv. 112-114

Canzoniere
[Versione integrale in Rete]

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Cesare Pavese

(1908-1950)

Gli dèi sono il luogo, sono la solitudine, sono il tempo che passa

— Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò – La vigna, Einaudi 2015, p. 141

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Emil Cioran
(1911-1995)

[un neonato]…questo cranio nudo, questa calvizie originaria, questa scimmia infima che ha soggiornato per mesi in una latrina e che fra poco dimenticando le sue origini, sputerà sulle galassie…

— Emil Cioran, Squartamento, Adelphi. p. 106

la dolcezza di prima della nascita, la luce della pura anteriorità

— Emil Cioran, Il funesto demiurgo, Adelphi. p. 114

Piante e bestie recano i segni della salvezza come l’uomo quelli della perdizione. Questo è vero per ciascuno di noi, per l’intera specie, accecata e vinta dall’esplosione dell’Incurabile.

— Emil Cioran, Squartamento, Adelphi, p. 75

Emil Cioran
Biografia e aforismi

Cioran
L’Encyclopédie de L’Agora

Rassegna stampa italiana su Cioran


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von Foerster

 

Heinz von Foerster
(1911-2002)

Per quanto sorprendente, tutto questo non dovrebbe tuttavia essere davvero una sorpresa, perché ‘lì fuori’ non ci sono né luce né colore, ma solo onde elettromagnetiche; lì fuori’ non ci sono né suono né musica, ma solo variazioni periodiche della pressione dell’aria; lì fuori’ non ci sono né caldo né freddo, ma solo molecole in movimento dotate di minore o maggiore energia cinetica, e così via. Infine, sicuramente, lì fuori’ non c’è dolore.

— Heinz von Foerster, La realtà inventata. Contributi al costruttivismo, Feltrinelli 1988, p. 41

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renato_curcioRenato Curcio
(1941)

Stiamo quindi entrando in un’era in cui il capitalismo digitale recupera l’idea di schiavitù, e la ripropone sotto forma di un lavoro volontario e gratuito disseminato e suadente, per cui, in qualche misura, non lo percepiamo neppure come tale, perché attraverso ideologie come quella della trasparenza, del mettete tutti i vostri dati in rete, le fotografie, i viaggi, i selfie, stiamo entrando in un’idea nuova del controllo sociale, perché autogenerato dagli stessi controllati; e dovremmo capirne a fondo le implicazioni.

— Renato Curcio, Paginauno n. 50 – dicembre 2016 / gennaio 2017 – anno X, p. 23

Affidando i nostri ricordi alle implacabili memorie esterne, queste memorie ricorderanno di noi anche quello che noi non ricordiamo più o di cui ci siamo liberati. Figlie del pensiero quantitativo esse ignorano l’arte sottile e benefica dello scarto e dell’abbandono: esse ricorderanno per sempre anche quanto noi non vorremmo più ricordare. Ricorderanno nonostante noi e la nostra volontà, e saranno soltanto esse, infine, a costruire, giudicare e decidere quale debba essere il significato dei nostri trascorsi dimenticati.

— Renato Curcio, L’Impero virtuale. Colonizzazione dell’immaginario e controllo sociale, Sensibili alle foglie, 2015, p. 77

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Baruch Spinoza
(1632-1677)

Sed omnia præclara tam difficilia quam rara sunt (Tutte le cose eccellenti sono tanto difficili quanto rare)

— Baruch Spinoza, Ethica, conclusione

Mens enim humana est ipsa idea sive cognitio corporis humani (per propositionem 13 hujus) quæ (per propositionem 9 hujus) in Deo quidem est) [La mente umana è la stessa idea o conoscenza del corpo umano, la quale è in Dio]

— Baruch Spinoza, Ethica, parte II, prop. XIX

Postquam me experientia docuit, omnia, quae in communi vita frequenter occurrunt, vana et futilia esse ; cum viderem omnia, a quibus et quae timebam, nihil neque boni neque mali in se habere, nisi quatenus ab iis animus movebatur ; constitui tandem inquirere, an aliquid daretur, quod verum bonum et sui communicabile esset, et a quo solo reiectis ceteris omnibus animus afficeretur ; imo an aliquid daretur, quo invento et acquisito continua ac summa in aeternum fruerer laetitia.
(Dopo che l’esperienza mi ebbe insegnato che tutte le cose che frequentemente si incontrano nella vita comune sono vane e futili, e quando vidi che tutti i beni che temevo di perdere e tutti i mali che temevo di ricevere non avevano in sé nulla né di bene né di male, se non in quanto la mente ne era turbata, decisi infine di ricercare se si desse qualcosa che fosse un bene vero e condivisibile, e del quale soltanto, respinti tutti gli altri, la mente fosse pervasa; anzi, se esistesse qualcosa grazie al quale, una volta scoperto e acquisito, godessi in eterno una gioia continua e suprema)

— Baruch Spinoza, Tractatus de intellectus emendatione (§ 1, incipit; trad. Mignini, modificata)

In rerum natura nullum datur contingens sed omnia ex necessitate divinæ naturæ determinata sunt ad certo modo existendum et operandum (Nella natura delle cose non c’è niente di contingente; ma tutte le cose sono determinate dalla necessità della divina natura ad esistere e ad operare in qualche modo)

— Baruch Spinoza, Ethica, I parte, proposizione XXIX

Tutto ciò che facciamo deve servire al nostro progresso e al nostro miglioramento. È certo che quando siamo tristi siamo incapaci di fare alcunché di simile; perciò dobbiamo sbarazzarci della tristezza. Possiamo farlo cercando un modo per recuperare il bene perduto, se ciò è in nostro potere, altrimenti è necessario rinunciare alla tristezza, per non precipitare in tutte le miserie e rovine che la tristezza porta necessariamente con sé. […] Dunque, ne viene che chi usa correttamente il proprio intelletto non può mai cadere in alcuna tristezza. Come potrebbe? Egli riposa in quel bene che è ogni bene e nel quale consistono tutta la gioia e la soddisfazione della pienezza.

— Baruch Spinoza, Breve Trattato su Dio, l’Uomo e la sua felicità, cap. 7, §§ 2-3 (in Tutte le opere, trad. di Andrea Sangiacomo, Bompiani 2011, p. 273)

Quod Deus naturam humanam assumpserit, monui expresse, me, quid dicant, nescire; imo, ut verum fatear, non minus absurde mihi loqui videntur, quam si quis mihi diceret, quod circulus naturam quadrati induerit.
[Io non so cosa significhi (…) che Dio assunse natura umana: anzi, a dire il vero, non mi sembra meno assurdo che se qualcuno mi dicesse che il cerchio ha assunto la natura del quadrato]

— Baruch Spinoza, Lettera 73 a Henry Oldenburg (1675), in “Tutte le opere”, a cura di Andrea Sangiacomo, Bompiani 2011, pp. 2178-2179.

Foglio Spinozi@no

Studia Spinoziana

Baruch Spinoza

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Paul Hazard

Spinoza non era soltanto inondato di una gioia segreta e profonda; la gioia era, per lui, l’attuazione di una qualità superiore dell’essere e la tristezza il sentimento di una diminuzione dell’essere; ma attribuiva, altresì, gran pregio e quasi un valore filosofico alla gaiezza (hilaritas).

— Paul Hazard, La crisi della coscienza europea, Il Saggiatore, p. 375

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Roger-Pol Droit

Les vrais lecteurs de Spinoza forment continûment comme une confrérie secrète. Ils n’écrivent pas nécessairement de commentaires sur ses livres et se contentent de l’aimer vraiment. On ne les reconnaît donc à aucun signe convenu. Ils trouvent simplement rassurant que cet homme ait existé, qu’il ait su résister, avec tant de joie calme, à l’adversité. Ils lui sont reconnaissants d’avoir pu formuler, avec tant d’exactitude, une si puissant pensée. Ils tentent de s’en servir pour être vivants. Seul hommage qui vaille.

— Roger-Pol Droit, Spinoza. Le philosophe de la joie, “Le Point”, 12 luglio 2007, p. 78

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Pietro Piovani
(1922-1980)

piovani

Immerso nella profondità della mia memoria, per quanto lunga mi appaia la catena del mio ancoraggio, confusamente tastando anello per anello, devo sospendere il mio volermi ricostruire, devo fermarmi a una data condizione originaria, a una costatazione che sta alla base della stessa costatazione esistenziale: io che voglio, non mi sono voluto. Imparando a capire sempre meglio come sono fatto, posso scandagliare il mio esperire: ma il mio non essermi voluto permane con l’inesorabile certezza della sua datità. […] Limite oscuro dell’insondabilità [che comprende come] veniamo dal buio e torniamo nel buio.

— Pietro Piovani, Principi di una filosofia della morale, Morano, 1972, pp. 34, 35 e 36

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Blade Runner

Ho visto cose che voi umani non potete neppure immaginare. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. I raggi beta balenare nel buio alle porte di Tannhäuser. Tutti questi momenti andranno perduti come lacrime nella pioggia. È tempo di morire…

— Ridley Scott, Blade Runner

Philip K. Dick
(1928-1992)

Radice e stella significano: io salgo dal mondo ctonio e discendo dal cielo stellato [Ispirato a un testo orfico della fine del V sec. a.C, scoperto in una tomba di Ipponio, l’attuale Vibo Valentia; Dick era uno gnostico].

— Philip K. Dick, Mutazioni, Feltrinelli 1997, p. 272.

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Martin Heidegger
(1889-1976)

Philosophie ist universale phänomenologische Ontologie
(La filosofia è ontologia universale e fenomenologica)

— Martin Heidegger, Sein und Zeit, § 7C [38 a]

Das Dasein, begriffen in seiner äußersten Seinsmöglichkeit, ist die Zeit selbst, nicht in der Zeit
[L’esserci, compreso nella sua estrema possibilità d’essere, è il tempo stesso, e non è nel tempo]

— Martin Heidegger, Der Begriff der Zeit (1924; Gesamtausgabe, Band 24, s. 118)[Il concetto di tempo, Adelphi, p. 40]

L’irrompere della presenza dell’altro nella nostra vita è qualcosa che nessun sentimento riesce a dominare. […] Sai che questa è la cosa più difficile che un uomo debba sopportare? Per tutto il resto ci sono vie, aiuti, confini e comprensione -soltanto qui tutto significa: essere innamorato = essere sospinto all’esistenza più autentica.

— Martin Heidegger, Dalle Lettere inviate a Hannah Arendt, 21/2 e 13/5 1925

Aber auch die reinste θεωρία hat nicht alle Stimmung hinter sich gelassen (Ma neanche la più pura theoria si è lasciata alle spalle ogni tonalità emotiva)

— Martin Heidegger, Essere e tempo, Mondadori, § 29, p. 398

Ogni pensiero dell’essere, ogni filosofia, non può mai essere confermato mediante i «fatti», cioè tramite l’ente. Rendersi intelligibile è il suicidio della filosofia. Coloro che idolatrano i «fatti» non si accorgono mai che i loro idoli brillano solo di luce riflessa. E non devono nemmeno accorgersene; ne sarebbero immediatamente sconcertati e diverrebbero così inservibili. Idolatri e idoli vengono però impiegati laddove gli dèi sono in fuga e annunciano così la loro vicinanza. L’affrancamento della filosofia dalle strette della fondazione scientifica, dell’interpretazione culturale, del servizio ideologico, della metafisica quale sua propria prima essenza che degenera nella malaessenza, è solo la conseguenza dell’altro inizio, e solo come tale va veramente gestita.

— Martin Heidegger, Contributi alla filosofia. (Dall’evento), Adelphi, § 259, p. 424

Philosophie: das sagende Bauen am Seyn durch Erbauen der Welt als Begriff [Filosofia: il dire che edifica l’Essere tramite la costruzione del mondo come concetto].

— Martin Heidegger, Schwarze Hefte 1931-1938 – Überlegungen IV, 18 (Vittorio Klostermann, 2014; p. 212)

Dasein kann nur eigentlich gewesen sein, sofern es zukünftig ist. Die Gewesenheit entspringt in gewisser Weise der Zukunft (L’esserci può davvero esser stato soltanto in quanto è ancora da venire. L’esser stato scaturisce in qualche modo dal futuro).

— Martin Heidegger, Essere e tempo, § 65, Mondadori 2006, p. 916.

Il linguaggio è la risonanza più delicata, ma anche più fragile, che tutto trattiene, nell’edificio sospeso dell’evento.

— Martin Heidegger, Identità e differenza, Adelphi, p. 46

Dann bewegen wir uns immer schon in dem geschehenden Unterschied (Ci muoviamo già sempre nella differenza che accade).

— Martin Heidegger, Die Grundbegriffe der Metaphysik. Welt – Endilchkeit – Einsamkeit, Klostermann, § 75, p. 519.

Essere uomo significa già filosofare. L’umano esistere sta già, come tale, nella filosofia: non occasionalmente o di tanto in tanto, ma per proprio costitutivo stanziarsi.

— Martin Heidegger, Avviamento alla filosofia (Einleitung in die Philosophie, 1928/1929), Christian Mariotti Edizioni, 2007, p. 11

Noi siamo solo quello che abbiamo la forza di pretendere da noi

— Martin Heidegger, L’essenza della verità, Adelphi 2009, p. 102

La filosofia scaturisce (entspringt) dall’esperienza effettiva della vita (faktische Lebenserfahrung), per poi farvi ritorno rimbalzando (zurückspringen) al suo interno.

— Martin Heidegger, Fenomenologia della vita religiosa, Adelphi 2003, p. 40

Per i Greci le cose appaiono. Per Kant le cose mi appaiono. […] I Greci sono quelli uomini che vissero immediatamente nell’evidenza dei fenomeni -attraverso l’esplicita capacità estatica di lasciarsi rivolgere la parola dai fenomeni (l’uomo moderno, l’uomo cartesiano, se solum alloquendo, rivolge la parola solo a se stesso) . Nessuno ha ancora mai raggiunto l’altezza dell’esperienza greca dell’ente come fenomeno.

— Martin Heidegger, Seminari, Adelphi 2003, pp. 92-94

Pertanto potrebbe anche essere che la nube in sé invisibile della dimenticanza dell’essere, abbia avvolto l’intero globo terrestre e la sua umanità in modo che non viene dimenticato questo o quell’ente, bensì l’essere stesso. […] È per ciò che a suo tempo potrebbe anche sorgere come bisogno e rendersi necessaria un’esperienza proprio di questa dimenticanza dell’essere; potrebbe accadere cioè che di fronte a questa dimenticanza debba destarsi un pensiero rammemorante (Andenken) che pensi all’essere come tale e solo a esso, nella misura in cui pensa a fondo l’essere stesso, l’essere nella sua verità: la verità dell’essere, e non soltanto, come fa ogni metafisica, l’ente in relazione al suo essere.

— Martin Heidegger, Parmenide, Adelphi, p. 74

Ma nel dimenticare siamo asserviti al passato nel modo più duro.

— Martin Heidegger, Parmenide, Adelphi, p. 208

ἅπανθ᾽ ὁ μακρὸς κἀναρίθμητος χρόνος
φύει τ᾽ ἄδηλα καὶ φανέντα κρύπτεται·
Traduzione di Heidegger: Il tempo vasto e inafferrabile al calcolo lascia schiudere tutto ciò che non è manifesto, ma anche vela di (nuovo) in se stesso ciò che è apparso

— Martin Heidegger, Aiace, vv. 646 sg. in Heidegger, “Parmenide’, p. 252

Il fatto che qua e là si aggiri la stupidità non deve costituire, per coloro che meditano, una ragione per rinunciare a sottoporre l’essenziale a uno sguardo essenziale. La libera chiacchiera non può essere impedita, ma al tempo stesso l’abbassarsi al livello dei pigri di mente minaccia il pensiero essenziale.

— Martin Heidegger, Parmenide, Adelphi, p. 291

L’essere e la verità dell’essere oltrepassano essenzialmente tutti gli uomini e tutte le umanità.

— Martin Heidegger, Parmenide, Adelphi, p. 291

L’esperienza, nella sua essenza, è il dolore (Schmerz) in cui l’alterità essenziale dell’ente si svela rispetto a ciò che è abituale.

— Martin Heidegger, Parmenide, Adelphi, p. 292

La morte, la notte, il giorno, la luce, la terra, il sotterraneo e il sovraterreno, tutto ciò è dominato dallo svelamento e dal velamento, e rimane sprofondato in tale essenza. Il sorgere nello svelato e il tramontare nel velamento sono inizialmente ed essenzialmente presenti ovunque.

— Martin Heidegger, Parmenide, Adelphi, p. 135

»Dichterisch wohnen« heißt: in der Gegenwart der Götter stehen und betroffen sein von der Wesensnähe der Dinge
[‘Abitare poeticamente’ significa: stare alla presenza degli dèi ed essere toccati dalla vicinanza essenziale delle cose.
Trad. di L. Amoroso, «La poesia di Hölderlin», Adelphi 1988, p. 51]

— Martin Heidegger, Erläuterungen zu Hölderlins Dichtung, in «Gesamtausgabe», Bd. 4 – Abt. 1, Klostermann 2012, p. 42

Dies dergestalt als gewesen-gegenwärtigende Zukunft einheitliche Phänomen nennen wir die Zeitlichkeit [Questo fenomeno unitario, che si configura come avvenire essente-stato-presentante, lo chiamiamo temporalità]

— Martin Heidegger, Sein und Zeit, § 7C [38 a] – § 65 [326]

Diesen Prometheus läßt Aischylos einen Spruch sagen, der das Wesen des Wissens ausspricht:

τέχνη δ’ ἀνάγκης ἀσθενεστέρα μακρῷ
(Prometheus, 514 ed. Wil.)

Das will sagen: jedes Wissen um die Dinge bleibt zuvor ausgeliefert der Übermacht des Schicksals und versagt vor ihr.

[Eschilo attribuisce a Prometeo una sentenza che esprime l’essenza del sapere: “Il sapere è molto più debole della necessità’ (Prometeo, 514).
Questo vuol dire che ogni sapere sulle cose rimane anzitutto al servizio della sovrapotenza del destino e di fronte a esso non può che cedere]

— Martin Heidegger, Die Selbstbehauptung der deutschen Universität ; «Gesamtausgabe», Band 16, Reden und andere Zeugnisse eines Lebensweges (1910–1976), Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 2000, p. 109.

Die Philosophie ist eine der wenigen eigenständigen schöpferischen Möglichkeiten und zuweilen Notwendigkeiten des menschlich-geschichtlichen Daseins.
[La filosofia è una delle poche possibilità, e a volte necessità, di cui l’uomo nella sua esistenza storica dispone, che siano veramente autonome e creatrici]

— Martin Heidegger, Einführung in die Metaphysik, Vittorio Klostermann, 1983, § 2, p. 11

Die Existenz, die radikale Grundmöglichkeit des Daseins ist für den Griechen der βίος Θεωρητικός: Das Leben verweilt im reinen Betrachten
[L’esistenza, la radicale possibilità fondamentale dell’esserci è per i Greci il βίος Θεωρητικός: la vita vibra e permane nel puro pensiero]

— Martin Heidegger, Grundbegriffe der aristotelischen Philosophie [Concetti fondamentali della filosofia aristotelica, 1924; § 8; Klostermann 2002, p. 44 ]

Das Hinausgehen über das Seiende geschieht im Wesen des Daseins. Dieses Hin-ausgehen aber ist die Metaphysik selbst. Darin liegt: Die Meta-physik gehört zur »Natur des Menschen«. Sie ist weder ein Fach der Schulphilosophie noch ein Feld willkürlicher Einfälle. Die Metaphysik ist das Grundgeschehen im Dasein. Sie ist das Da-sein selbst. […] Sofern der Mensch existiert, geschieht in gewisser Weise das Philosophieren, Philosophie — was wir so nennen — ist das In-Gang-bringen der Metaphysik, in der sie zu sich selbst und zu ihren ausdrücklichen Aufgaben kommt.

[L’andare oltre l’ente accade nell’essenza dell’esserci. Ma questo andare oltre è la metafisica. Ciò implica che la metafisica faccia parte della ‘natura dell’uomo’. Essa non è un settore della filosofia universitaria, né un campo di escogitazioni arbitrarie. La metafisica è l’accadimento fondamentale nell’esserci. Essa è l’esserci stesso. […] In quanto esiste l’uomo, accade il filosofare. Ciò che noi chiamiamo filosofia non è che il mettere in moto la metafisica, attraverso la quale la filosofia giunge a se stessa e ai suoi compiti espliciti (trad. di Franco Volpi, Che cos’è metafisica?, in Segnavia, Adelphi 1987, p. 77)].

— Martin Heidegger, Was ist Metaphysik? in Wegmarken, Gesamtausgabe, Band 9, pp. 121-122

Die Denker des ersten Anfangs
Anaximander, Heraklit, Parmenides kann man nicht Vor-sokratiker und nicht Vor-platoniker nennen, weil sie so gerade nicht als die Anfangenden gedacht werden, sondern von Sokrates – Platon aus erklärt sind.
lnsgleichen aber ist Platon auch kein zu sich selbst gekommener Parmenides und Aristoteles kein Vollender des Heraklit. Die anfangenden Denker sind nicht Vorstufen der vermeintlichen Höhepunkte (Höchster Vollender Platon – Aristoteles) noch sind diese abgefallene des Anfangs.

[I pensatori del primo inizio
Anassimandro, Eraclito, Parmenide non possono essere chiamati pre-socratici e neanche pre-platonici, perché in questo modo essi non sono affatto pensati come coloro che iniziano, bensì sono spiegati a partire da Socrate – Platone.
Ma, parimenti, Platone non è un Parmenide pienamente realizzato e Aristotele qualcuno che porta a compimento Eraclito. I pensatori iniziali non sono stadi preliminari di supposti culmini (dei massimi realizzatori: Platone – Aristotele), né questi ultimi sono coloro che hanno rinnegato l’inizio.
Trad. di G. Strummiello, L’evento, Mimesis 2017, p. 75]

— Martin Heidegger, Das Ereignis (1941/42), GA Band 71, Vittorio Klostermann 2009, § 82, p. 61

Aus der Beanspruchung des Griechentums für den ersten Anfang und sein Scheinen in die Helle des bildenden Vernehmens ahnen wir das
künftige Land des Abends derjenigen Nacht, die einen Tag der Wahrheit des Seyns aufgehen läßt, nachdem alle Herrschaft gebrochen, die als Macht des »Seienden« sich das Wesen des Seyns angemaßt hat.

[A partire dalla rivendicazione della grecità per il primo inizio e per il suo apparire nel chiarore dell’apprendere figurativo, presagiamo la terra futura della sera di quella notte che consente il sorgere di quell’unico giorno della verità dell’Essere, dopo aver spezzato ogni dominio, che, come potenza dell’‘ente’, ha usurpato l’essenza dell’Essere. (L’evento, trad. di G.Strummiello, Mimesis 2017, p. 168)]

— Martin Heidegger, Das Ereignis, in «Gesamtausgabe», Bd. 71, Klostermann 2009, § 184, p. 163

Die Sorge selbst ist in ihrem Wesen durch und durch von Nichtigkeit durchsetzt. Die Sorge – das Sein des Daseins – besagt demnach als geworfener Entwurf: Das (nichtige) Grund -sein einer Nichtigkeit. Und das bedeutet: Das Dasein ist als solches schuldig, wenn anders die formale existenziale Bestim-mung der Schuld als Grundsein einer Nichtigkeit zu Recht be-steht.
(La Cura, nella sua stessa essenza, è totalmente permeata dalla nullità. Perciò la Cura, cioè l’essere dell’esserci in quanto progetto gettato, significa: il (nullo) esser-fondamento di una nullità. Il che significa: l’Esserci è, come tale, colpevole; se almeno è valida la determinazione esistenziale formale della colpa come esser fondamento di una nullità) (Essere e Tempo, trad. di P. Chiodi, Longanesi, § 58, p. 346)

— Martin Heidegger, Sein und Zeit, § 58, pp. 378-379.

Die Selbstvernichtung des Menschentums besteht nicht darin, daß es sich beseitigt, sondern daß es sich jeweils die Geschlechter züchtet, in denen ihm seine Herrlichkeit bestätigt wird, ohne daß diese Blendung als Verblendung sich bloßstellen ließe. Das Wesen der Subjektivität treibt und rast in dieses Sicheinrichten in der unbedingten Seinsverlassenheit.

[L’autoannientamento dell’umanità non consiste nel fatto di dissiparsi, bensì nel fatto di allevare di volta in volta le stirpi in cui le viene confermata la sua magnificenza, senza che questo miraggio si lasci scoprire come un accecamento. L’essenza della soggettività agisce e riposa in questo orientarsi nell’incondizionato abbandono dell’essere]

— Martin Heidegger, «Gesamtausgabe», Band 96, IV Abteilung: Hinweise und Aufzeichnungen, Überlegungen XII-XV [18-19] Schwarze Hefte 1939-1941, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main, 2014, p. 181 (Quaderni neri 1939-1941)

Il rapporto che i Greci intrattengono con i loro dèi è più un sapere (Wissen) che un credere (Glauben)

— Martin Heidegger, Eraclito, Mursia 2017, p. 15

Humanismus oder Anthropologismus sind menschentümlich letzte Erscheinungsformen des Planetarismus; in ihnen kommt die lang versteckte Wesensselbigkeit von »Historie« und »Technik « zum Austrag in der Form der Verwüstung des Erdballs.
[Umanismo o antropologismo sono per l’umanità forme ultime di apparizione del planetarismo; in esse viene alla diaferenza la lungamente occulta stessità d’essenziare di ‘storia’ e ‘tecnica’ nella forma della devastazione del globo terrestre]

— Martin Heidegger, Über den Anfang, vol. 70 della Gesamtausgabe, § 13, p. 31 (trad di Giovanni Battista Demarta, Bompiani 2006, p. 38)

Aber das Nichts ist das Seyn
[Ma il Niente è l’Essere]

— Martin Heidegger, Über den Anfang, vol. 70 della Gesamtausgabe, § 152, p. 171

So wie das Dasein vielmehr ständig, solange es ist, schon sein Noch-nicht ist, so ist es auch schon immer sein Ende. Das mit dem Tod gemeinte Enden bedeutet kein Zu-Ende-sein des Daseins, sondern ein Sein zum Ende dieses Seienden. Der Tod ist eine Weise zu sein, die das Dasein übernimmt, sobald es ist» [«L’Esserci, allo stesso modo che fin che è, è già costantemente il suo ‘non-ancora’, è anche già sempre la sua morte. Il finire proprio della morte non significa affatto un essere alla fine dell’Esserci, ma un essere-per-la fine da parte di questo ente. La morte è un modo di essere che l’esserci assume da quando è»]

— Martin Heidegger, Sein und Zeit [1927], in «Gesamtausgabe», Vittorio Klostermann 1977, Band 2, § 48, p. 326; trad. di Pietro Chiodi, Longanesi 1976, p. 300

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Friedrich Hölderlin
(1770-1843)

Voll Verdienst, doch dichterisch / wohnet der Mensch auf dieser Erde [Pieno di merito, ma poeticamente / abita l’uomo su questa terra]

— Friedrich Hölderlin, In lieblicher Bläue

Was bleibet aber, stiften die Dichter [Sono i poeti a istituire ciò che permane]

— Friedrich Hölderlin, Andenken

Und wozu Dichter in dürftiger Zeit? Aber sie sind, sagst du, wie des Weingotts heilige Priester, / Welche von Lande zu Land zogen in heiliger Nacht [E perché i poeti in tempo di privazione? / Ma essi sono, tu dici, come i sacerdoti del dio del vino / che andavano di terra in terra nella notte scura]

— Friedrich Hölderlin, Brod und Wein

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Joseph Conrad
(1857-1924)

Si vive come si sogna: perfettamente soli

— Joseph Conrad, Cuore di tenebra, Einaudi, p. 42

Lo sguardo fisso [di Kurtz] era vasto abbastanza da abbracciare tutto l’universo, abbastanza acuto per penetrare in tutti i cuori che battono nella tenebra. Egli aveva tirato le somme -e aveva giudicato, ‘Quale orrore!’

— Joseph Conrad, Cuore di tenebra, Einaudi, p. 112

Joseph Conrad

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Louis-Ferdinand Céline
(1894-1961)

La stupidità è una forza indomabile.

— Louis-Ferdinand Céline, Il Dottor Semmelweis, Adelphi, p. 42

La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte.

— Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte, Corbaccio, p. 376

È il nascere che non ci voleva

— Louis-Ferdinand Céline, Morte a credito, Corbaccio, p. 40

Bibbia il libro più letto del mondo…più porco, più razzista, più sadico che venti secoli di arene, Bisanzio e Petiot mescolati! …di quei razzismi, fricassee, genocidi, macellerie dei vinti che le nostre più peggio granguignolate vengono pallide e rosa sporco in confronto.

— Louis-Ferdinand Céline, Rigodon, Einaudi, p. 14

La Musica, la Bellezza sono in noi e in nessun altro luogo nel mondo insensibile che ci circonda.

— Louis-Ferdinand Céline, Il Dottor Semmelweis, Adelphi, p. 62

Ma ho forse torto a lamentarmi… la prova, io sono ancora vivo… e perdo dei nemici tutti i giorni!… di cancro, … di apoplessia, di ludreria… è un piacere come che si svuota il sacco!… non insisto… un nome!… un altro! ci sono dei piaceri nella natura…

— Louis-Ferdinand Céline, «Da un castello all’altro», in Trilogia del Nord, Einaudi 2010, p. 24

Ma i «figami» non sono solo corpi!… zotico! sono «compagne»! e i loro cinguettii, incanti e ghingheri? buon pro vi facciano! se ci avete il gusto del suicidio, incanti e cinguettii, tre ore al giorno, impiccarvi vi farà un bene boia!… lunga! corta!… sia detto senza cattiva intenzione! o passerete tutta la vecchiaia ad avercela col vostro uccello per avervi fatto perdere tanti di quegli anni a piroettare, scalpitare… fare il bello, sulle vostre zampe anteriori, su un piede, l’altro, per avere l’elemosina di un sorriso…

— Louis-Ferdinand Céline, «Nord», in Trilogia del Nord, Einaudi 2010, p. 463

C’est que je ne connaissais pas encore les hommes. Je ne croirai plus jamais à ce qu’ils disent, à ce qu’ils pensent. C’est des hommes et d’eux seulement qu’il faut avoir peur, toujours.

È che non conoscevo ancora gli uomini. Non crederò più a quello che dicono, a quello che pensano. È degli uomini e di loro soltanto che bisogna avere paura, sempre

— Louis-Ferdinand Céline, Voyage au bout de la nuit, Gallimard, p. 15 / Viaggio al termine della notte, Corbaccio, p. 22

Les études ça vous change, ça fait l’orgueil d’un homme. Il faut bien passer par là pour entrer dans le fond de la vie. Avant, on
tourne autour seulement.
[Gli studi ti cambiano, fanno l’orgoglio di un uomo. Bisogna proprio passare di là per entrare nel cuore della vita. Prima, ci si gira soltanto intorno].

— Louis-Ferdinand Céline, Voyage au bout de la nuit, Gallimard, 2018, p. 240 / Viaggio al termine della notte, Corbaccio 1995, p. 269

Io non sono pagato da nessuno / Non sarò mai pagato da nessuno / Non voglio fondare alcun partito / Non voglio salire sulla tribuna / Non voglio dominare nessuno / Non ho bisogno di soldi / Non ho bisogno di potere / Non ho davvero bisogno di nulla.

— Louis-Ferdinand Céline, Bagatelle per un massacro, Guanda 1981, p. 250

Lo smidollamento nelle cose dell’anima ci confeziona più rincoglioniti, più servi e pazzi fastidiosi, maniaci ottusi e sordi che tutte le sifilidi di un secolo messe insieme

— Louis-Ferdinand Céline, Bagatelle per un massacro, Guanda 1981, p. 194

Nulla sfugge al tempo…solo piccoli echi…sempre più sordi…sempre più rari…[…] semplicemente un piccolo sussulto tra la morte e l’esistenza.

— Louis-Ferdinand Céline, Bagatelle per un massacro, Guanda 1981, pp. 302-303

Céline

Céline. Un’intervista

Dictionnaire Céline

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ritratto di carlo emilio gadda

Carlo Emilio Gadda
(1893-1973)

[L’umanità] questo mare senza requie, fuori, sciabordava contro l’approdo di demenza, si abbatteva alle dementi riviere offrendo la sua perenne schiuma, ribevendosi la sua turpe risacca.

— Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, Garzanti, p. 131

Camminava tra i vivi. Andava i cammini degli uomini. Il primo suo figlio (…) in una lunga e immedicabile oscurazione di tutto l’essere, nella fatica della mente, e dei visceri dischiusi poi al disdoro lento dei parti, nello scherno dei negoziatori sagaci e dei mercanti, sotto la strizione dei doveri ch’essi impongono, così nobilmente solleciti delle comuni fortune, alla pena e alla miseria degli onesti. Ed era ora il figlio: il solo. Andava le strade arse lungo il fuggire degli olmi, dopo la polvere verso le sere ed i treni. Il suo figlio primo. (…) Il suo figlio: Gonzalo. A Gonzalo, no, no!, non erano stati tributati i funebri onori delle ombre; la madre inorridiva al ricordo: via, via!, dall’inane funerale le nenie, i pianti turpi, le querimonie: ceri, per lui, non eran scemati d’altezza tra i piloni della nave fredda e le arche dei secoli-tenebra. Quando il canto d’abisso, tra i ceri, chiama i sacrificati, perché scendano, scendano, dentro il fasto verminoso dell’eternità.

— Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, Garzanti, p. 116

Si incontrano dunque, talora, individui ben nati, e relativamente ben vissuti, negli ambienti pedagogicamente più tristi: dacché resistenze insapute vigono e valgono in loro per una sorta di eredità (ignorata dall’erede) contro l’istanza sovvertitrice degli esempi. Si vedono tal’altra volta, per contro, riuscir a male ragazzi “amorosamente” cioè pignolosamente educati, quando il crostone della retorica moralistica di superficie, il caramello etico rovesciato a parole sulla loro fralezza cremosa, non è valso a ricomporre, in un’anima che va in pezzi, lo spirito e le ragioni della vita: cioè la brama di conquista biologica, di ascensione, di profittevole scelta, di accumulo. Dopo rotto il déclic della molla organica interna, non c’è diti di Vescovo né virtù ed unzione di Sacramento che valga a rimontarne il tic-tac. Il gioco multiplo e avaro degli infinitesimi, delle minime elezioni accumulatrici, della dura disciplina selettrice, s’è scombinato in un blando desiderio di requie, s’è rilassato in un abbandono (alla lubido), o ne’ pisoli della vanità soddisfatta, s’è sdraiato in una eutanasia: l’essere è, da dentro, un morente: per cui la tromba la può suonare a perdifiato, ma suona invano.

— Carlo Emilio Gadda, L’Adalgisa, Garzanti, p. 280

Gli occhî tuttavia mi si velano pensando i sacrifici, i caduti, il giovine spentosi all’entrare appena in quella che doveva essere la vita, spentosi a ventun anno appiè i monti senza ritorno: perché i ciuchi avessono a ragghiare di patria e di patria, hi ha, hi ha, eja eja, dentro al sole baggiano della lor gloria. Che fu gloria mentita.

— Carlo Emilio Gadda, Eros e Priapo, Garzanti, p. 72

…come d’una stele infranta si disperdono smemorate sillabe, e già furono luce della conoscenza, e adesso l’orrore della notte.

— Carlo Emilio Gadda, Accoppiamenti giudiziosi, Garzanti, p. 166

Che cosa sarebbe arrivato dopo tutta la fatica e l’inutilità, dopo la guerra e la pace e lo spaventoso dolore; il fondo, in fondo a tutto, c’era che lo aspettava, il vialone coi pioppi, liscio come un olio. Coi pioppi dalle tergiversanti foglie, nella bionda luce, il viale della Recoleta, […] con bauli argentati, trapezoidali.

— Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, Adelphi 2019, p. 189.

Carlo Emilio Gadda
(Da Sherazade – Antenati)

The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

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Jeshu-ha-Notzri
(I sec.)

Non affannatevi dunque per il domani, poiché il domani avrà già le sue inquietudini. A ogni giorno basta la sua pena.

— Jeshu-ha-Notzri, Mt., 6, 34

La Luce splende nelle tenebre ma le tenebre non l’hanno accolta.

— Jeshu-ha-Notzri, Gv, 1,5; 3,19

Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.

— Jeshu-ha-Notzri, Mt., 7, 6

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Charles Baudelaire
(1821-1867)

C’est la Mort qui console, hélas! et qui fait vivre; / C’est le but de la vie, et c’est le seul espoir / Qui, comme un élixir, nous monte et nous enivre, / Et nous donne le cœur de marcher jusqu’au soir; // A travers la tempête, et la neige, et le givre, / C’est la clarté vibrante à notre horizon noir; / C’est l’auberge fameuse inscrite sur le livre, / Où l’on pourra manger, et dormir, et s’asseoir; / C’est un Ange qui tient dans ses doigts magnétiques / Le sommeil et le don des rêves extatiques, / Et qui refait le lit des gens pauvres et nus; // C’est la gloire des Dieux, / c’est le grenier mystique, / C’est la bourse du pauvre et sa patrie antique, / C’est le portique ouvert sur les Cieux inconnus!

— Charles Baudelaire, La mort des pauvres

Charles Baudelaire
(Da Sherazade – Antenati)

Baudelaire
(Tutte le poesie)

Baudelaire

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D.A.F. de Sade
(1740-1814)

Le donne…false, gelose, imperiose, civette o bigotte…i mariti perfidi, incostanti, crudeli o despoti, ecco l’inventario di tutti gli individui della terra, signora; non sperate di trovare una fenice […] Bisognerebbe quindi lasciar perire l’universo? Sarebbe proprio il caso di farlo; una pianta che produce soltanto veleno non la si estirpa mai troppo presto.

— D.A.F. de Sade, Eugénie de Franval, Sperling, p. 21

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Jacques Lacan
(1901-1981)

L’aspirazione rivoluzionaria ha una sola possibilità, quella di portare, sempre, al discorso del Padrone. È ciò di cui l’esperienza ha dato prova. Ciò a cui aspirate come rivoluzionari è un padrone. L’avrete.

— Jacques Lacan, Il Seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicanalisi

Lacan nell’Enciclopedia Treccani

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Giacomo Leopardi
(1798-1837)

Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?

— Giacomo Leopardi, «Operette morali», Dialogo della Natura e di un Islandese

Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista è un male; l’esistenza è un male e ordinata al male; il fine dell’universo è il male; l’ordine e lo stato, le leggi, l’andamento naturale dell’universo non sono altro che male, né diretto ad altro che al male. Non v’è altro bene che il non essere…

— Giacomo Leopardi, Zibaldone, 4174 (22.4.1826)

Leopardi.it

Scheda biografica

Viaggio virtuale nella casa di Leopardi a Recanati

Leopardi filosofo

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Giuseppe Ungaretti
(1888-1970)

Fa dolce e forse qui vicino passi / Dicendo «Questo sole e tanto spazio / Ti calmino. / Nel puro vento udire / Puoi il tempo camminare e la mia voce. / Ho in me raccolto a poco a poco e chiuso / Lo slancio muto della tua speranza / Sono per te l’aurora e intatto giorno»

— Giuseppe Ungaretti, Giorno per giorno, 17, da “Il Dolore” Giuseppe Ungaretti

Morire come le allodole assetate / sul miraggio // O come la quaglia / passato il mare / nei primi cespugli / perché di volare / non ha più voglia. // Ma non vivere di lamento / come un cardellino accecato.

— Giuseppe Ungaretti, Agonia, da L’Allegria

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Stefano D’Arrigo
(1919-1992)

…e l’Inferno si faccia conto, è quell’isola maceriata e persa, la Sicilia

— Stefano D’Arrigo, Horcynus Orca, Rizzoli, p. 60

Inattesa, come per conto suo, la lagrima gli sgocciolava sul ciglio come lo stillare di un lontano pianto, segreto anche a lui […], le lagrime viavia la vita le dilapida, la vita si essicca per la morte

— Stefano D’Arrigo, Horcynus Orca, Rizzoli, pp. 106-107

…perché non c’è lido più lontano di quello dove non si approda

— Stefano D’Arrigo, Horcynus Orca, Mondadori, p. 128

Era come complimentare la roccia o il mare, una cosa sorda e refrattaria, qualcosa che non può soffrire perché non conosce sofferenza: né quella che lui dà agli altri né quella che gli altri danno a lui.

— Stefano D’Arrigo, Horcynus Orca, Mondadori, p. 638

D’Arrigo-Wikipedia
(scheda dall’enciclopedia on line)

D’Arrigo, il Parco Letterario

D’Arrigo e l’Orca
(una scheda critica e il link a uno studio sull’Orca)

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Richard Sennet
(1943)

L’inciviltà è il gravare sul prossimo con il proprio Io. E’ la diminuita socievolezza che questo fardello crea (…) La civiltà esiste quando una persona non costituisce un peso per gli altri.

— Richard Sennet, Il declino dell’uomo pubblico, Bompiani, p. 178

La pagina dedicata a Sennet dall’Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche

The New York Institute for the Humanities

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leonard

Leonardo da Vinci
(1452-1519)

Ecci alcuni che altro che transito di cibo e aumentatori di sterco -e riempitori di destri- chiamar si debbono, perché per loro -altro nel mondo appare- alcuna virtù in opera si mette; perché di loro altro che pieni e destri non resta.

— Leonardo da Vinci, Scritti letterari, (Rizzoli), pensiero 111, p. 76

Siccome una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire.

— Leonardo da Vinci, Scritti letterari (Rizzoli), pensiero 100, p. 75

L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente.

— Leonardo da Vinci, Scritti letterari, (Rizzoli), pensiero 35, p. 68

Non si pò avere maggior, né minor signoria che quella di se medesimo.

— Leonardo da Vinci, Scritti letterari, (Rizzoli), pensiero 65, p. 71

Chi poco pensa, molto erra.

— Leonardo da Vinci, Scritti letterari, (Rizzoli), pensiero 66, p. 71

Salvatico è quel che si salva.

— Leonardo da Vinci, Scritti letterari, pensiero 98, Rizzoli, p. 74

No’ si volta chi a stella è fisso

— Leonardo Da Vinci, L’uomo e la natura, a cura di M. De Micheli, Feltrinelli 1982, p. 118

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Albert Camus
(1913-1960)

Comme si cette grande colère m’avait purgé du mal, vidé d’espoir, devant cette nuite chargée de signes et d’étoiles, je m’ouvrais pour la première fois à la tendre indifférence du monde. De l’éprouver si pareil à moi, si fraternel enfin, j’ai senti que j’avais été heureux, et qui je l’étais encore. Pour que tout soit consommé, pour que je me sente moins seul, il me restait à souhaiter qu’il y ait beaucoup de spectateurs le jour de mon exécution et qu’ils m’accueillent avec des cris de haine.

— Albert Camus, L’étranger, Gallimard 1942, pp. 183-184

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Mikhail Bakunin
(1814-1876)

La speranza e la passione rivoluzionaria non esistono proprio fra le masse. […] Un’altra speranza: la guerra universale. Questi giganteschi Stati militari dovranno ben distruggersi e divorarsi tra loro, prima o poi: ma che prospettiva!

— Mikhail Bakunin, Lettera a Elisée Reclus del 15 febbraio 1875

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René Girard
(1923)

Se i nostri antenati potessero vedere i cadaveri gesticolanti che riempiono le pagine delle nostre riviste di moda, li interpreterebbero verosimilmente come un memento mori, un monito di morte che forse corrisponde alle danze macabre sulle mura di alcune chiese medievali. Se spiegassimo loro che quegli scheletri disarticolati simboleggiano per noi il piacere, la felicità, il lusso, il successo, probabilmente scapperebbero in preda al panico, immaginandoci posseduti da un demone particolarmente cattivo.

— René Girard, Il risentimento. Lo scacco del desiderio nell’uomo contemporaneo, Raffaello Cortina Editore 1999, p. 65

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Ilya Prigogine
(1917 – 2003)

La negazione dell’irreversibilità del tempo […] è divenuta, per la maggior parte dei fisici della generazione di Einstein, il simbolo stesso della vocazione della fisica: raggiungere, al di là del reale osservabile, una realtà intelligibile, atemporale. […] L’ambizione di talune pratiche mistiche è sempre stata quella di sfuggire alle catene della vita, ai tormenti e alle delusioni di un mondo mutevole e ingannevole. In un certo senso Einstein ha fatto di quell’ambizione la vocazione stessa del fisico, e, così facendo, l’ha tradotta in termini scientifici. I mistici cercavano di vivere questo mondo come un’illusione; Einstein, invece, intende dimostrare che è solo un’illusione, e che la verità è un universo trasparente e comprensibile, purificato da tutto ciò che turba la vita degli uomini, la memoria nostalgica o dolorosa del passato, il timore o la speranza del futuro.

— Ilya Prigogine, Tra il tempo e l’eternità (con Isabelle Stengers), Bollati Boringhieri, pp. 32- 33

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Eugenio Mazzarella
(1951)

Stare sulla croce del tempo, là dove fiorisce la sua rosa

— Eugenio Mazzarella, Vie d’uscita, il melangolo, p. 165

Il corpo e la sua morte restano i più grandi pensatori

— Eugenio Mazzarella, Vie d’uscita, il melangolo, p. 11

Eugenio Mazzarella su Wikipedia

Pagina personale sul sito dell’Università di Napoli

Alcuni libri di Eugenio Mazzarella

Altri aforismi di Mazzarella

Dall’essere-nel-mondo all’essere-alla-vita
[Pdf del saggio di Mazzarella in «Heidegger oggi», il Mulino 1998, pagine 11-26]

Finitudine e identità. A proposito di Eugenio Mazzarella
(Pdf del saggio di A.G. Biuso in www.filosofia.it, 2006)

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Carmelo Bene
(1937-2002)

La morte, l’amor-te, l’amor…la morte è la vita. Anzi il prenatale, già quando noi si è feto noi siam fetenti, nel senso che noi già abbiamo questo lezzo di morte. E quindi questa si chiama nascita, non è una nascita, è già una morte, è già un coma. La vita è un coma, un coma che inizia nelle acque maternali e poi segue fino alla morte della morte. Perché il morir è il morir della morte. È la morte che muore, noi non si muore. Non si muore più. La morte è impensabile. Tutta la vita è un agonia, e poi con le malattie dolorose, ecco: questi fastidi sì son appunto “fastidiosi”. Ma non la morte. La morte è lei che muore, non è il morir della vita, ma il morir della morte che è la vita, o il morir della morte in ciò che è questa povera nostra vita. Che nessuno ha chiesto, nessuno ha chiesto di essere nati. Là ci aspetta l’inorganico, l’inanimato, ci aspetta lì la vera pace e quiete, di cui non saremo mai a conoscenza. Morto per sempre, ecco, questo è importante. Questo morir per sempre, e non questa anticamera del morir la morte. “Muoia la morte”, è così che urlava il Tamerlano di Marlowe. È la morte che muore, non ci riguarda.

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Jorge Luis Borges
(1899-1986)

Los espejos y la cópula son abominables, porque multiplican el número de los hombres
[Gli specchi e la copula sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli umani]

— Jorge Luis Borges, Ficciones, Emecé, Buenos Aires 1989, p. 13

Sospecho que la especie humana – la única – está por extinguirse y que la Biblioteca perdurará: iluminada, solitaria, infinita, perfectamente inmóvil, armada de volúmenes preciosos, inútil, incorruptible, secreta.
[Sospetto che la specie umana -l’unica- stia per estinguersi, e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta].

— Jorge Luis Borges, «La Biblioteca di Babele», in Tutte le opere, vol. I, Mondadori 1991, pp. 687 e 688.

El tiempo es la sustancia de que estoy hecho.
El tiempo es un río que me arrebata, però yo soy el río;
es un tigre que me destroza, pero yo soy el tigre;
es un fuego que me consume, però yo soy el fuego.

[Il tempo è la sostanza di cui son fatto.
Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume;
è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre;
è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco.]

— Jorge Luis Borges, Otras inquisiciones, Empecé, 1960; p. 301

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Platone
(427-347)

φιλοσοφία οὐσης μεγίστης μουσικής
(La filosofia è la musica più grande)

— Platone, Fedone, 61 A

Αἰών πάντα φέρει. δόλιχος Χρόνος οιδεν ἀμείβειν
οὔνομα καί μορφήν καί φύσιν ἠδέ τύχην
«Αἰών φέρει [il tempo trasforma] ogni cosa, perché il lungo tempo ha il potere di mutare tutto / anche il nome e la forma, la natura e la sorte»

— Platone, Antologia Palatina (attribuito a Platone, IX, 51)

Gioire dei mali dei nemici non è né ingiusto né invidioso

— Platone, Filebo, 49 D

ὦ φίλε Πάν τε καὶ ἄλλοι ὅσοι τῇδε θεοί, δοίητέ μοι καλῷ γενέσθαι τἄνδοθεν: ἔξωθεν δὲ ὅσα ἔχω, τοῖς ἐντὸς εἶναί μοι φίλια.
πλούσιον δὲ νομίζοιμι τὸν σοφόν: τὸ δὲ χρυσοῦ πλῆθος εἴη μοι ὅσον μήτε φέρειν μήτε ἄγειν δύναιτο ἄλλος ἢ ὁ σώφρων
[O amato Pan, e tutti gli dèi che siete in questo luogo, fatemi il dono di diventare bello dentro me stesso e che tutto ciò che possiedo al di fuori sia in armonia con quanto è dentro me. Che consideri davvero ricco il filosofo e avere tanta ricchezza quanto soltanto chi è saggio possa portare con sé]

— Platone, Phaedro 279 b-c

Θεόδωρος: καί μοι δοκεῖ θεὸς μὲν ἁνὴρ οὐδαμῶς εἶναι, θεῖος μήν: πάντας γὰρ ἐγὼ τοὺς φιλοσόφους τοιούτους προσαγορεύω.
Σωκράτης: καὶ καλῶς γε, ὦ φίλε. τοῦτο μέντοι κινδυνεύει τὸ γένος οὐ πολύ τι ῥᾷον ὡς ἔπος εἰπεῖν εἶναι διακρίνειν ἢ τὸ τοῦ θεοῦ
[Teodoro: Anche se non penso che sia un dio, penso certo che sia divino, perché così chiamo tutti i filosofi.
Socrate: Hai ragione, amico mio. E tuttavia immagino che non sia così facile, se posso dirlo, riconoscere queste nature come non lo è riconoscere un dio].

— Platone, Sofista, 216 b-c

ἔστι δὴ τοίνυντὰ τῶν ἀνθρώπων πράγματα μεγάλης μὲν σπουδῆς οὐκ ἄξια, ἀναγκαῖόν γε μὴν σπουδάζειν: τοῦτο δὲ οὐκ εὐτυχές
[Tutto ciò che è umano non è, in complesso, degno di essere preso molto sul serio; tuttavia bisogna pur occuparsene, per quanto possa essere un compito ingrato].

— Platone, Leggi, 803b

La mia amica fedele, la terra da cui sono nato, la madre che mi protegge, il fine e la fine di ogni mio battito -la filosofia- mi ha ancora una volta restituito a me stesso come le onde restituiscono se stesse al mare che sono, dopo aver incontrato ciò che esse non sono, gli scogli. Più forte della pietra del dolore, il mare dei miei pensieri consuma la sofferenza e trasforma anche la roccia in acqua. Per questo, anche per questo, sono un uomo felice.

1 commento

  • Altri prodigi - agb

    Giugno 24, 2016

    […] (118). Era morta la misura. Quella stessa misura che risuona nel primo testo della filosofia, il frammento di Anassimandro, e che invita ancora -per chi voglia ascoltarla- a guardare senza terrore alla «malattia […]