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New York / Linciaggio

Un giorno di pioggia a New York
(A Rainy Day in New York)
di Woody Allen
Con: Timothée Chalamet (Gatsby), Elle Fanning (Ashleigh), Selena Gomez (Chan), Liev Schreiber (Roland Pollard), Diego Luna (Francisco Vega), Penelope Wilton (Isobel Crawley)
USA, 2019
Trailer del film

In questo film sono tutti molto ricchi. Banchieri e figli di banchieri. Registi travagliati e osannati. Attori fascinosi e vuoti. Feste e banchetti in case che sono delle regge nel cuore di Manhattan. Studenti, registi, dirigenti, attori, tutti arrovellati dalle proprie carriere, amori e desideri sessuali. Una realtà in cui non esiste altro disagio che l’apparire agli altri, fare soldi, scolare la bottiglia giusta e avere successo. Con protagonista assoluta (sin dal titolo) una New York amatissima e parziale, limitata ai quartieri, ai ceti sociali, ai personaggi più danarosi. Allen da decenni gira sempre lo stesso film. Film anche inutili, come questo.
E tuttavia A Rainy Day in New York è uscito con molte difficoltà e Allen è in disgrazia -nonostante la sua grande fama– non ovviamente per la natura classista del suo cinema ma perché è anch’egli vittima delle accuse di quella setta sessuofobica che va sotto il nome di #MeToo, qualche anno fa in grande auge – un personaggio folcloristico come Asia Argento era persino diventata un’icona della ‘sinistra’ 😆 – e ora giustamente in declino, almeno in Europa mentre sembra inossidabile tra i puritani statunitensi.
È anche e soprattutto per questo che sono andato a vedere A Rainy Day in New York, perché «nel frattempo alcuni interpreti del film – in ossequiosa osservanza del movimento #MeToo – hanno preso le distanze da Allen» (Roberto Manassero, MyMovies, 11.6.2019). L’ho visto per solidarietà con uno dei tanti soggetti fatti a pezzi dalla sconfinata ipocrisia degli Stati Uniti d’America, una nazione da sempre specializzata nella caccia alle streghe e nel linciaggio. Utilizzando le paranoiche categorie del Politically Correct, si potrebbe aggiungere che essendo Allen un ebreo le femministe che lo accusano mettono in atto  comportamenti antisemiti.
E la storia narrata dal film? Non merita neppure il riassunto.

La Scolastica di Allen

Café Society
di Woody Allen
USA, 2016
Con: Jesse Eisenberg (Bobby), Kristen Stewart (Vonnie), Steve Carell (Phil), Blake Lively (Veronica)
Trailer del film

Stanco dei suoi genitori e attratto dalla leggenda di Hollywood, Bobby si trasferisce da New York a Los Angeles sperando nell’aiuto dello zio Phil, agente cinematografico. Qui si innamora di Vonnie, giovane collaboratrice di Phil e anche sua amante segreta. Combattuta tra i due uomini, Vonnie deciderà per la soluzione più sicura, anche se l’amore -come si sa- è ostinato.
Fosse stato un film d’esordio, o quasi, Café Society sarebbe risultato opera di un certo interesse. Si tratta invece del quarantasettimo film girato dal regista, che di Allen riassume e ripete tutti i luoghi comuni: il panorama della città di New York, sempre quella brillante e agiata però, mai i quartieri degradati; la musica degli anni Trenta; la famiglia ebraica (non se ne può più); i gangster feroci ma anche simpatici; le relazioni travagliate ma in fondo sempre di successo con le donne; i propri fantasmi; le battute.
Su quest’ultimo punto: che bisogno c’era di citare una frase dall’Apologia di Socrate per svilirla con un commento piuttosto banale? E soprattutto, che bisogno c’era di enunciare con una piccola modifica un celebre verso dal Macbeth senza dire che è di Shakespeare invece che di Allen? Quando un autore diventa la propria Scolastica, forse farebbe meglio a tacere.
L’elemento migliore del film è la fotografia di Vittorio Storaro, calda, gialla, totalmente costruita. A dire, giustamente, che il cinema è sempre finzione.

Prezzemolo

Irrational Man
di Woody Allen
USA, 2015
Con: Joaquin Phoenix (Abe Lucas), Emma Stone (Jill Pollard), Parker Posey (Rita Richards), Jamie Blackley (Roy)
Trailer del film

Irrational_ManAbe Lucas viene chiamato a insegnare filosofia in un college. Ha fama di pensatore e di seduttore. Ma da tempo non riesce a scrivere, ritiene sempre più che la filosofia non abbia senso, beve molto, è impotente a letto. Appena arrivato, riceve le attenzioni di una collega e di una studentessa. Le respinge entrambe sino a che una conversazione ascoltata casualmente lo induce a imprimere una svolta alla sua vita, con l’intenzione di «aiutare una madre che subisce ingiustizia e liberare il mondo da un uomo spregevole». La commedia vira così sul giallo, con degli sviluppi improbabili e un finale posticcio.
Il cinema è immagine e tuttavia un film riuscito comincia sempre dalla sceneggiatura, ha come fondamento un buon testo. L’elemento migliore della sceneggiatura di questo film è il titolo, per il resto è una raccolta di banalità degne di una soap opera, recitate male -tranne che dal protagonista  Joaquin Phoenix, che da solo regge tutto-, infarcite di nomi di filosofi e narratori allo stesso modo con cui si aggiunge del prezzemolo a una pietanza insipida nel tentativo di dare un poco di gusto.
I soliti ambienti del cinema di Allen, l’unica classe sociale (agiata) che conosce, le stantie ossessioni che esprime, non sono più sostenute né da guizzi di invenzione né da scarti ironici e precipitano in una piattezza che nessun elenco di nomi di filosofi -spiegati al modo di un bignamino- può riscattare.

La tragedia di una donna ridicola

Blue Jasmine
di Woody Allen 
Usa, 2013
Con: Cate Blanchett (Jasmine), Sally Hawkins (Ginger), Alec Baldwin (Hal), Bobby Cannavale (Chili), Andrew Dice Clay (Augie) Peter Sarsgaard (Dwight Westlake), Michael Stuhlbarg (Dr. Flicker)
Trailer del film

Blue JasmineSposata a un uomo ricchissimo (e naturalmente ladro), Jasmine conduce la propria esistenza a New York nel lusso più assoluto, senza badare alle truffe finanziarie che le garantiscono tanto danaro e senza accorgersi dei continui tradimenti di Hal. Il disvelamento dei comportamenti del marito coincide con il crollo economico. Jasmine si ricorda allora di una sorella, Ginger, che vive a San Francisco facendo la commessa e alla quale Hal qualche tempo prima fece perdere tutto il danaro. Si rifugia dunque da lei ma è ovviamente orripilata dalla modestia del luogo e dalle compagnie maschili di Ginger. Accetta di fare la segretaria di un dentista ma le capita la fortuna di incontrare un uomo elegantissimo e appassionato, al quale però non dice la verità. Anzi mistifica. Il caso la travolge e Dwight viene a sapere tutto. Jasmine ritorna a parlare da sola sulla panchina di un parco.
Un film -come sempre in Allen- molto parlato, del quale avevo visto il trailer della versione doppiata in italiano e dunque inguardabile. Ho gustato invece la versione originale e tutto cambia. I corpi e le voci degli attori, soprattutto della protagonista sempre in scena, sono una cosa sola con le loro manie, le fissazioni, i sorrisi e il pianto. Una cosa sola con la stupefatta disperazione di Jasmine, con il suo ingurgitare alcol e antidepressivi, con il suo interessato disinteresse verso gli affari del marito, con la sua presunzione di essere migliore della sorella e risultare invece la più oca, con il suo amare soltanto se stessa e il lusso. Un film dalle figure maschili esangui, disoneste e banali e nel quale le donne appaiono protagoniste assolute. Ma la  tragedia di questa donna è ridicola. Sta qui l’ironica perfidia maschilista di Woody Allen.

 

Banali tristezze

Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni
(You Will Meet a Tall Dark Stranger)
di Woody Allen
USA-Spagna, 2010
Con Naomi Watts (Sally), Josh Brolin (Roy), Anthony Hopkins (Alfie), Lucy Punch (Charmaine), Gemma Jones (Helena), Antonio Banderas (Greg), Freida Pinto (Dia)
Trailer del film

Riassumere la trama di questo film è tanto improbo quanto inutile. Si tratta, infatti, delle consuete e complicate crisi coniugali che riguardano coppie di diverse età ma tutte rigorosamente benestanti, carrieriste, londinesi. Quella Londra molto newyorchese che costituisce il set prediletto dei film più recenti di Allen e che qui fa ancora una volta da sfondo a una ridda di sentimenti, ambizioni, fallimenti borghesi che rischia di risultare stucchevole quando non è ispirata da un’idea forte, come era quella di Match Point. Le citazioni iniziali e conclusive dal Macbeth -«La vita è una favola narrata da uno sciocco, piena di strepiti e di furore ma senza significato alcuno» (Atto V, scena V)- sono del tutto condivisibili ma incorniciano una vicenda fatta di anziani tanto atletici quanto patetici, che sposano delle giovani prostitute per sentirsi ancora maschi; di scrittori a corto di ispirazione che rubano il dattiloscritto dell’amico appena morto (o creduto tale); di giovani esotiche che mandano all’aria le imminenti nozze dopo aver flirtato con il dirimpettaio alla finestra; di segretarie che si innamorano del proprio capo, al quale presentano un’amica che ruberà il loro posto nel cuore dell’uomo; di spose abbandonate dopo quarant’anni di matrimonio e alle quali una veggente dirà con sicurezza: «You Will Meet a Tall Dark Stranger» (lo “sconosciuto” del titolo originale è, ambiguamente, la morte). Vite tristi, insomma, ma nonostante questo finte. Come finti sono alcuni interpreti decisamente fuori ruolo, primo tra tutti Josh Brolin, assolutamente inverosimile come scrittore, qualunque cosa si intenda con questa parola.

Basta che funzioni

di Woody Allen
(Whatever Works)
USA/Francia, 2009
Con: Larry David, (Boris Yellnikoff), Evan Rachel Wood (Melody), Patricia Clarkson (Marietta)
Trailer del film

Whatever Works

Boris è stato un grande fisico, esperto in teoria delle stringhe e meccanica quantistica. Ora è divorziato, vive in un loft, è preso da periodiche crisi di panico e non sopporta nessuno, nemmeno i ragazzini ai quali impartisce lezioni di scacchi condite da insulti vari. Una sera trova dietro la porta di casa Melody, ragazzina della Louisiana fuggita dalla famiglia. Melody è straordinariamente stupida ma tenace sino a farsi sposare dal genio. Un anno dopo arriva la madre della ragazza che da devota citatrice della Bibbia si trasforma in artista quasi porno e convivente con due uomini. La raggiunge l’ex marito che, prima scandalizzato e incredulo, ritrova poi la propria vera identità sessuale. Melody lascia ovviamente l’anziano marito, il cui tentativo di suicidio fallisce ancora una volta…

Tornato a New York (dopo le men che mediocri opere europee), Allen ritrova il proprio acquario umano e dunque se stesso, adattando una sceneggiatura scritta trent’anni fa, frizzante e -al di là delle apparenze- un poco tragica. Sino al finale politicamente ipercorretto (ma spero ironico…), il film mantiene una plausibilità che coniuga G.B.Shaw e Cioran (molte delle affermazioni di Boris sarebbero state sottoscritte da costui), permettendo al regista di dire ciò che davvero pensa degli umani e di formulare proposte come queste: «si chiede alla gente una patente per guidare e pescare ma nessuna per fare figli, che invece sarebbe la più importante». Guardando molti figli, non si può che condividere.

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