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Gente per bene

Loving Vincent
di Dorota Kobiela e Hugh Welchman
Polonia-Gran Bretagna, 2016
Con: Robert Gulaczyk (Vincent Van Gogh), Douglas Booth (Armand Roulin), Chris O’Dowd (il postino Roulin), Eleanor Tomlinson (Adeline Ravoux), Saoirse Ronan (Margaret Gachet), Jerome Flynn (Il dottor Gachet)
Trailer del film

I dati di quell’evento e il contesto in cui maturò inducono a pensare che Vincent van Gogh non si uccise. E questo nonostante il parere diffuso e per molto tempo quasi concorde degli storici, che però negli ultimi anni è stato messo in discussione da varie parti e da altri studi. La tesi che l’artista sia stato ucciso da due ragazzi che lo tormentavano è stata accolta da Julian Schnabel nel suo Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità (At Eternity’s Gate, 2018).
Qualche anno prima il regista Hugh Welchman e la pittrice Dorota Kobiela hanno percorso un itinerario dentro la vita e l’opera di Van Gogh arrivando alla medesima conclusione, alla consapevolezza che Van Gogh fu «le suicidé de la société» come scrisse Antonin Artaud. Non però soltanto in senso sociale e metaforico ma proprio alla lettera. Se l’artista, ferito, non denunciò i suoi assassini le ragioni possono essere molteplici e attingono certamente a una psiche tormentata ma la verità è quella che Artaud seppe icasticamente indicare: persone come Van Gogh, Hölderlin, Baudelaire, Nietzsche rappresentano un pericolo per la gente per bene, un pericolo per il conformismo e il bigottismo che possono assumere le forme più varie: dalle rigide convenzioni sociali all’obbedienza religiosa, dai costumi sessuali al gender o al  razzismo diventati ormai dogmi del politicamente corretto.
La particolarità di Loving Vincent non sta nella pur avvincente trama da giallo che progressivamente scopre la realtà di quanto accaduto ma nella tecnica. Il film è infatti stato realizzato con attori reali, tradotti poi in fotogrammi tutti disegnati a mano, secondo lo stile della pittura di Van Gogh. Molto più di un film ‘d’animazione’, piuttosto l’intuizione di come l’artista vedeva il mondo, della luce radiosa che lo pervadeva, del buio interiore che lo spegneva. I capolavori noti e meno noti ci sono tutti e dopo pochi istanti dal loro apparire prendono movimento, dinamismo, vita. Per quanto riguarda l’ambiente sociale e il contesto antropologico  dal quale Van Gogh venne perseguitato, riprendo qui la chiusa del commento al film di Schnabel, «tutti costoro sono da molto tempo ossa e polvere che nessuno giustamente più ricorda. Sono il nulla. Van Gogh è invece ancora il sole. ‘Che cosa dipingi?’ ‘La luce’».

La mente di Van Gogh

Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità
(At Eternity’s Gate)
di Julian Schnabel
USA, 2018
Con: Willem Dafoe (Vincent Van Gogh), Oscar Isaac (Paul Gauguin), Rupert Friend (Theo Van Gogh), Emmanuelle Seigner (Madame Ginoux), Mathieu Amalric (il Dr. Paul Gachet)
Trailer del film

In movimento, a frammenti, su campi lunghissimi e poi su primissimi piani dai quali emergono gli occhi, la pelle, le scarpe, le mani, altro. A volte con la metà inferiore dell’inquadratura sfocata e la parte superiore oscillante. Il cielo che si capovolge in vegetazione, il fango che diventa nuvola. E poi domande su domande da parte di chi non capisce e vorrebbe ricondurre Van Gogh alla misura della consuetudine, della stasi. Interrogatori ai quali il pittore risponde con lucidità, precisione, intelligenza. Guardandoci con i suoi occhi azzurri.
Così Julian Schnabel è riuscito a restituire la mente di Van Gogh. Una intuizione registica profonda e una virtuosistica prestazione tecnica con la quale il cinema conferma ancora una volta la sua capacità di entrare nella psiche umana che è fatta di istanti, intuizioni, ripetizioni, relazioni, vuoti, al modo dei fotogrammi di un film, legati tra di loro e tra loro sempre diversi.
L’innocenza di Vincent Van Gogh emerge da questa forma in tutta la sua bellezza, la sua purezza, la sua differenza, la sua mobilità rispetto alla morta gora delle persone di comune intelligenza e di comune vita che lo circondano, ne diffidano, lo odiano, lo cancellano. Tra questi i bambini di una classe elementare -feroci come soltanto i bambini sanno essere-, i loro genitori viventi dentro i confini di un borgo -Arles- del quale ignorano il fulgore, i giovinastri di Auvers-sur-Oise che forse hanno ucciso lui e che certamente hanno tentato di uccidere i suoi quadri.
Tutti costoro sono da molto tempo ossa e polvere che nessuno giustamente più ricorda. Sono il nulla. Van Gogh è invece ancora il sole. «‘Che cosa dipingi?’ ‘La luce’».

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