Skip to content


Caduta / Invidia

Anatomie d’une chute
(Anatomia di una caduta)
di Justine Triet
Francia, 2023
Con: Sandra Hüller (Sandra), Milo Machado Graner (David), Samuel Theis (Samuel), Swann Arnauld (Vincent), Antoine Reinartz (il procuratore generale), Jehnny Beth (Marge)
Trailer del film

Sandra è una scrittrice di successo. Si è trasferita da Londra alle montagne vicino a Grenoble per seguire il marito Samuel, che fa l’insegnante ed è anche lui un aspirante scrittore. Per un caso fatale il loro bambino, David, ha subito un incidente stradale che lo ha quasi del tutto privato della vista. Ora Sandra è nel loro chalet per un’intervista a una giovane studiosa di letteratura che sta preparando la tesi di laurea. Al piano superiore Samuel ascolta musica a un volume tale da rendere impossibile la registrazione dell’intervista. Le due donne dunque si salutano. David va a fare una passeggiata nella neve con il cane Snoop. Al loro ritorno il padre è disteso nella neve sotto il balcone di casa, morto.
Comincia così un thriller psicologico nel quale la giustizia e i media scavano nella vita della coppia, nelle sue tensioni, nei segreti, nelle ambizioni, nei drammi. Molti elementi sembrano convergere verso l’assassinio da parte di Sandra. Il testimone chiave è il figlio, che soccorre alla cecità con una intelligenza lucida e un sentire profondo, nonostante abbia 11 anni.
Il racconto è ben costruito nonostante la lunghezza eccessiva (2 ore e 30 minuti), ottimamente interpretato specialmente dalla protagonista, dal figlio e dal pubblico ministero. Il film alterna infatti le coinvolgenti e lunghe scene dentro il tribunale con i ricordi della vita trascorsa e i momenti di inquietudine a casa, tra Sandra, il figlio e la persona che viene incaricata di evitare che l’imputata condizioni l’unico testimone. Il momento chiave è l’ascolto della registrazione che Samuel (il marito) ha fatto dell’ultimo litigio tra i due, avvenuto il giorno prima della sua morte. L’uomo rivolge alla moglie una serie di aspri rimproveri, lei cerca di rimanere calma e ribattere colpo su colpo, sino a uno scontro finale. Samuel vi appare come un uomo ambizioso e interamente fallito, la cui frustrazione per l’incapacità di scrivere lo conduce a nutrire sentimenti di astio e di profonda invidia verso Sandra. Il dispetto della musica assordante mentre lei viene intervistata conferma la meschinità di questa persona. E soprattutto emerge il suo senso di colpa per l’incidente occorso al figlio, del quale porta una oggettiva responsabilità che cerca vanamente di cancellare e che nello stesso tempo serve da motore alla sua angoscia di vivere. La colpa, ancora una volta, questo sentimento distruttivo dell’esistenza.
Il bianco, di solito associato alla purezza, e il rosso della violenza e del sangue si intrecciano inestricabili e danno vita a una lucida illustrazione di come anche all’interno di una coppia, anche tra persone che nutrono sentimenti reciproci d’affetto, la forza di una passione incontrollabile come l’invidia diventi pervasiva. E ciò è assai triste.
Bello è stato invece vedere il film in lingua originale. L’alternanza di francese, per lo più nei momenti pubblici, e di inglese, nei contesti privati, sarebbe andata perduta nel doppiaggio (doppiaggio dei film che costituisce una peculiarità soprattutto italiana e che sarebbe assai proficuo abbandonare o almeno ridurre).

La colonna infame

Giovedì 7 aprile 2022 alle 16,00 nel Centro Studi di via Plebiscito 9 a Catania l’Associazione Studenti di Filosofia Unict (ASFU) organizza il secondo incontro del ciclo dedicato a Manzoni contemporaneo. Nel primo avevamo parlato dei Promessi Sposi («Così va spesso il mondo…»); nel prossimo analizzeremo quello che da capitolo di Fermo e Lucia divenne poi un testo autonomo, che Manzoni volle porre come Appendice al romanzo, un testo tragico e disvelatore, la Storia della colonna infame.
Il libro comincia in questo modo:
«Ai giudici che, in Milano, nel 1630, condannarono a supplizi atrocissimi alcuni accusati d’aver propagata la peste con certi ritrovati sciocchi non men che orribili, parve d’aver fatto una cosa talmente degna di memoria, che, nella sentenza medesima, dopo aver decretata, in aggiunta de’ supplizi, la demolizion della casa d’uno di quegli sventurati, decretaron di più, che in quello spazio s’innalzasse una colonna, la quale dovesse chiamarsi infame, con un’iscrizione che tramandasse ai posteri la notizia dell’attentato e della pena. E in ciò non s’ingannarono: quel giudizio fu veramente memorabile».

Gangster

Teatro Greco – Siracusa
Coefore / Eumenidi
di Eschilo
Traduzione di Walter Lapini
Musiche di Andrea Chenna
Scene di Davide Livermore, Lorenzo Russo Rainaldi
Video design: D-Wok
Con: Giuseppe Sartori (Oreste), Anna Della Rosa (Elettra), Laura Marinoni (Clitennestra), Stefano Santospago (Egisto), Maria Laila Fernandez, Marcello Gravina, Turi Moricca (Le Erinni), Olivia Manescalchi (Atena),  Giancarlo Judica Cordiglia (Apollo), Maria Grazia Solano (la Pizia), Sax Nicosia (voce e immagine di Agamennone)
Regia di Davide Livermore
Sino al 31 luglio 2021

Un’opera lirica. Con musicisti e pianisti sulla scena e con le voci intense delle Coefore a gorgogliare il dolore. Con, in un momento della trama, in sottofondo anche le musiche di Memorial di Nyman.
La Madre Terra dalla quale tutto sgorga. La Notte, che ha generato le Erinni, la Moira, la Furia. È nelle loro mani il destino degli umani. È nelle mani, negli sguardi, nella profondità di queste potenze sovrane dell’oscurità, accompagnate dal Coro che narra atroci vicende. Le quali però con una progressione di implacabile razionalità trasformano la giustizia della Vendetta nella giustizia dei Tribunali. Per volontà di Apollo e di Atena, vale a dire di Zeus. E così nasce la città umana, la πόλις. Così Eschilo. La sua energia.
Tutto questo diventa invece nel progetto e nella regia di Davide Livermore una parodia. Una parodia nella forma spesso di un musical. Come nella orrenda canzoncina finale. Volontà parodistica che, attenuata, funzionava nella Elena di due anni fa, che di per sé è una tragedia assai particolare, dalla tonalità più lieve e con un lieto fine. Ed è Euripide. Qui invece è Eschilo, che significa la fondazione stessa del mondo sulla materia violenta dei corpi. Non a caso, invece, i corpi degli ateniesi chiamati a stabilire giustizia tra Oreste e le Erinni sono delle sagome metalliche accese di fuoco e spente di esistenza. E se Apollo e le Erinni lottano in un corpo a corpo non soltanto verbale ma proprio fisico, lo fanno dopo essere apparsi le une in dorati abiti da sera sberluscenti e l’altro in tenuta da cameriere d’alto bordo. Non solo. Apollo parla proprio con il birignao dei padroni dei camerieri d’alto bordo. Mani in tasca. Atteggiamento svagato. Dizione strascicata.
Così come Atena e altri personaggi, immersi in una recitazione da commediola novecentesca, nella quale le parole di Eschilo rischiano semplicemente il naufragio. Atena, inoltre, è doppia. Una elegante signora che declama e poi una giovane modella in posa, che fa -alla lettera- la bella statuina. Per concludersi tutto, insieme alla ricordata canzonetta finale, sulle immagini di Aldo Moro nella Renault, delle stragi di Bologna e di Capaci e altre italiche tragedie.
Perché è grave? Perché mostra da parte del regista una radicale sfiducia in Eschilo e nella tragedia. Come se le parole dei Greci avessero bisogno di essere ‘attualizzate’ da questi abiti, da questa recitazione, da queste immagini. E dalle pistole. Sì, ci sono anche delle pistole utilizzate a destra e a manca come nei cartoni animati, nei quali le vittime della pistolettata risorgono pimpanti per essere di nuovo colpite.
Eschilo è ‘attuale’ sempre. Lo è perché sa che di fronte alla Necessità siamo tutti servi. Perché sa che il sangue/biologia non può essere cancellato da nessun pensiero/volontà ma, semmai, soltanto attenuato e indirizzato. Livermore sembra invece condividere il puro culturalismo contemporaneo, uno dei maggiori equivoci del presente. E dei più superficiali.
L’elemento più radicale, più greco e più bello di questa messa in scena è la sfera/video che accompagna l’intero spettacolo, che genera di continuo forme e colori di pece, di fuoco, di oceani, di magma, di Soli, di fango. E che diventa anche lo spettro di Agamennone, il velato, la voce, lo stridore dei morti. Se gli attori -è un’iperbole ovviamente- si fossero semplicemente limitati a leggere Eschilo sullo sfondo di tale sfera e vestiti come noi tutti, la tragedia sarebbe stata tragedia. Perché la potenza delle parole e dei pensieri di Eschilo vince anche sulle trovate di Livermore, sulla riduzione dei Greci a volgari gangster degli anni Venti del Novecento. Le parole di Eschilo.

«Ho ottenuto il successo:
legare spietate,
possenti creature divine ad Atene.
È loro campo fatale reggere
l’universo umano: chi non ebbe mai caso
d’incrociarle rabbiose, ignora
la fonte dei colpi che devastano la vita»

(Coefore, vv. 928-934, trad. di Monica Centanni)

Vai alla barra degli strumenti