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L'inganno

Piccolo Teatro Studio – Milano
Aiace e Filottete
tratto da Sofocle
regia Georges Lavaudant
traduzione e adattamento Daniel Loayza
con Maurizio Donadoni e Francesco Biscione
produzione Teatro Garibaldi di Palermo alla Kalsa
dal 2 al 4 marzo 2011

Neottolemo si presenta alla solitudine di Filottete -abbandonato dagli Achei sull’isola di Lemno a causa della sua maleodorante ferita al piede- dichiarandosi anche lui vittima degli inganni di Odisseo. Lo scopo è però riportare a Troia l’arco e le frecce di Eracle -possesso di Filottete- senza le quali la guerra non sarebbe stata vinta.
Atena fa credere ad Aiace di stare al suo fianco mentre fa vendetta degli Atridi, colpevoli di non avergli dato le armi di Achille che gli spettavano per il suo assoluto valore di guerriero. Aiace però invece che di Agamennone, Menelao e altri Achei, fa strage di mandrie e di pastori, ingannato dalla dea amica di Odisseo. Uscito dall’illusione che lo spinge sulla scena a urlare la propria soddisfatta vendetta, l’eroe non regge alla vergogna e si uccide.

È l’inganno dunque il tema che Georges Lavaudant ha tratto da Sofocle. L’inganno, questa nebbia interiore simile a quella che Zeus ha steso sopra Ettore e Aiace quando costui stava per uccidere l’eroe troiano. Nel loro terribile e sacro disincanto i Greci seppero dire che per quanto si dia da fare, soffra tenacemente, speri oltre ogni speranza e ponga di fronte a sé la Verità, l’umano rimane frutto di una menzogna, di un trastullo, di un gioco tramato da potenze che appaiono a volte in forme antropomorfiche ma che sono l’ineffabile segreto che tutti ci spinge a sorridere, a volere, a morire.

Edipo Re

Piccolo Teatro Strehler – Milano
Edipo Re
di Sofocle
traduzione di Raul Montanari
con Franco Branciaroli
scene di Pier Paolo Bisleri
regia di Antonio Calenda

La scena è cupa. Ai lati due facciate di palazzi, al centro un lettino sul quale è sdraiato Edipo con davanti a sé un uomo seduto che prende appunti. Evidente il riferimento alla psicoanalisi. È il re che narra a se stesso il proprio delirio. Il coro, Creonte, Giocasta, Tiresia, i pastori che lo salvarono, sono ombre che emergono dal buio della psiche. Giocasta e Creonte non hanno neppure una voce autonoma, è Edipo/Branciaroli a parlare anche per loro. Molto bello, in particolare, il duetto tra il re e Tiresia -cuore della tragedia- nel quale le due voci appaiono davvero due, come se Tiresia raccontasse ciò che da sempre l’inconscio di Edipo sapeva.
Nonostante il peso eccessivo della lettura psicoanalitica, il risultato di questa messa in scena è ancora greco. Gli attori sono tutti maschi; il dramma si colora spesso di grottesco poiché, come sosteneva Platone, «tutto ciò che è umano non è, in complesso, degno di essere preso molto sul serio» (Leggi, 803b); l’inesorabilità della Ananke vi appare subito, sin dai silenzi e dalle ombre iniziali.
Il testo di Sofocle è davvero, in qualunque modo lo si interpreti, uno dei vertici del pensiero greco, e quindi universale.

 

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