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Black / Light

High Life
di Claire Denis
Gran Bretagna, Francia, Germania, 2018
Con: Robert Pattinson (Monte), Juliette Binoche (il dottor Dibs), Mia Goth (Boyse), Scarlett Lindsey (Willow)
Trailer del film

Verso un buco nero viaggia l’astronave «7», abitata da ergastolani che hanno accolto la proposta di «servire la scienza» sperimentando e verificando che cosa succeda a degli organismi in prossimità di un black hole; verificare se in condizioni estreme è possibile che si generi ancora vita; saggiare se ci sia qualche modo per utilizzare a scopi terrestri l’immensa energia di quella struttura materica.
A guidare un gruppo di 4 maschi e 4 femmine è la dottoressa Dibs, una Medea che ha ucciso i propri bambini e che cerca adesso di farne nascere altri, manipolando a proprio piacimento gli astronauti/criminali. Ma a poco a poco le radiazioni, l’accelerazione quasi inconcepibile – l’astronave viaggia al 99% della velocità della luce -, la violenza nei rapporti interni all’equipaggio, producono morte. Non senza però che la dottoressa che definisce se stessa «strega dello sperma» sia riuscita a fecondare Boyse con il seme sottratto a Monte. Ed è a questa bambina, al suo rapporto con il padre, che sono dedicati il sospeso inizio e l’enigmatico finale di un film di Science Fiction che non ha nulla di hollywoodiano: lento, allusivo, desolato.
Questo è uno dei suoi meriti, così come lo è la ricchezza di simboli, di allegorie, di forme geometriche, a partire da un’astronave che è un parallelepipedo invece del consueto proiettile lanciato verso il cosmo.
Simboli, allusioni, allegorie e forme che disegnano un mondo di viventi assai violenti, chiusi ciascuno dentro il proprio vuoto, sottoposti a un potere senza nome e senza senso, del quale il medico Dibs è soltanto l’implacabile ed efficace demiurgo. La più parte, compreso il demiurgo, moriranno. Il padre e la figlia che è nata nello spazio tenteranno la μετάνοια verso la pienezza, verso l’enigma, verso la luce.
Una difficile e trasparente metafora gnostica.

L’eterno ritorno dei quanti

Source Code
di Duncan Jones
Sceneggiatura di Ben Ripley
USA – Francia, 2011
Con: Jake Gyllenhaal (Colter), Michelle Monaghan (Christina), Vera Farmiga (Goodwin), Jeffrey Wright (Rutledge), Michael Arden (Derek)
Trailer del film

Invece che in Afghanistan, un capitano dell’esercito USA si risveglia dentro un treno, con davanti a sé una ragazza che non ha mai visto ma che lo chiama con un nome non suo e gli parla come fosse la sua fidanzata. Davanti allo specchio del vagone vede una persona che non è lui. Trascorrono 8 minuti e il treno esplode. Il capitano Colter è però ancora vivo, sta in una specie di capsula, da un video gli parlano altri militari e un fisico quantistico. In qualche modo gli spiegano che non si trova più in Afghanistan, che un programma digitale quantistico -denominato Source Code– gli consente di assumere il corpo di un’altra persona morta, anche se limitatamente agli ultimi 8 minuti che precedono il morire. E che il compito che gli è stato affidato consiste nello scoprire chi sia stato a mettere la bomba sul treno, poiché il responsabile sta per portare a termine un nuovo devastante attentato.
Come si vede, la Science Fiction comincia ad attingere alle oscurità e ai profondi controsensi della meccanica quantistica per costruire storie interessanti come questa. Il responsabile del progetto, infatti, spiega al capitano Colter che «non si tratta di viaggiare nel tempo ma di redisporre il tempo», non di influire sul passato (cosa che qualunque teoria fisica nega e non può che negare, pena il cadere nell’assurdo e in paradossi irresolubili come quello del figlio che tornando nel passato uccide il padre che lo ha generato) ma di evitare che qualcosa accada nel futuro. La base di tutto questo è l’ipotesi del multiverso, a sua volta fondata sulla teoria delle stringhe, secondo la quale la materia non sarebbe composta di particelle discrete e compatte ma di stringhe infinitesimali che vibrando incessantemente e in modo differenziato producono le componenti atomiche, dai quark agli elettroni. Il cosmo quindi, da una delle nostre cellule sino alle galassie più estese, sarebbe composto di processi e non di entità statiche, cosa -quest’ultima- che mi sembra del tutto plausibile.
Della ipotesi delle stringhe si danno in realtà cinque versioni. Si chiama M-teoria il tentativo di unificarle in una concezione la quale ritiene che lo spazio visibile e percepibile sia solo parte di un cosmo più vasto, costituito da immense membrane (braneworld) che a loro volta vibrano, si avvicinano e si allontanano generando in tal modo una varietà di universi e tra questi il nostro. Universi non soltanto spaziali ma anche temporali e nei quali dunque la minima variante può generare sviluppi degli eventi del tutto diversi, come appunto accade durante le cinque volte nelle quali il capitano Colter si risveglia sul vagone, dando vita a cinque diversi sviluppi degli stessi eventi. Che sia il frutto di fluttuazioni nel caos primordiale (alla Boltzmann) o di una ordinata produzione di multiversi inflazionari (tesi preferita dalla maggior parte dei fisici), la realtà che ci appare sin dentro le più remote distanze dell’orizzonte cosmico (e cioè dello spaziotempo la cui luce ci sia già arrivata), ciò che insomma chiamiamo universo, sarebbe parte di un tutto e questo tutto comporterebbe un numero indeterminato di mondi nei quali l’esistenza di ciascuno di noi come di ogni ente vivrebbe diramazioni, fatti, alternative diverse.
Il mondo che percepiamo e nel quale conduciamo le nostre esistenze spaziotemporali appare come l’ombra di Platone, il velo delle Upanishad e di Schopenhauer, il fenomeno kantiano. Illusioni confermate dalla teoria quantistica, in particolare dalla interpretazione di Copenaghen e di Bohr, per le quali «prima di misurare la posizione di un elettrone non ha senso chiedersi dove si trovi: non ha una posizione definita […] Ciò non significa che l’elettrone ha una posizione che noi non riusciamo a conoscere se non dopo averla misurata: in realtà esso non possiede proprio una posizione definita prima che si effettui la misurazione» (Brian Greene, La trama del cosmo. Spazio, tempo, realtà [The Fabric of Cosmos: Space, Time and the Texture of Reality, 2004] Einaudi, 2006. p. 113).
Una grande mitologia scientifica è la fisica dei nostri giorni. Essa non solo rende plausibili, con il “teorema di ricorrenza” di Poincaré, l’eterno ritorno di tutte le cose in una «freccia del tempo [che] forse, è in realtà un anello che gira in continuazione su se stesso» (Ivi, pp. 211 e 446) ma si fonda e si esprime in una serie di eventi, di dinamiche e di singolarità (situazioni estreme nelle quali le leggi fisiche conosciute vengono sospese) che somigliano molto a dei veri e propri miracoli, come ad esempio l’assoluta singolarità (in ogni senso) della spinta inflazionaria che avrebbe dato origine all’espansione della materia ma che non si sa bene da dove e come abbia assunto tutta la sua impensabile energia. Ma c’è di peggio: affinché la teoria delle stringhe sia corretta, bisogna postulare che la materia si squaderni in dieci dimensioni e che pertanto ci siano «da qualche parte sei dimensioni di cui nessuno si è mai accorto. Questo non è un dettaglio tecnico, ma una tragedia» (Ivi, p. 424). Non stupisce che di fronte a simili postulati, condizioni, conseguenze, «alcuni scienziati protestino vibratamente: una teoria così aliena dalla sfera dell’osservabile e dello sperimentabile è una teoria filosofica o teologica, non fisica» (Ivi, p. 416).
Su che cosa quindi si fonda tutta questa complessa e improbabile costruzione fisico-cosmologica? Su alcuni risultati osservativi indiretti riguardanti la dinamica delle particelle elementari e soprattutto su inferenze speculative basate su teorie matematiche. Ma questo vuol dire che la cosmologia contemporanea e le più avanzate ipotesi della fisica dei quanti sono di fatto una teologia matematica. E questo significa che la fisica teorica contemporanea ha cambiato statuto. Non è più scienza nel senso galileiano ma «una rama de la literatura fantástica» (Borges, Tlön, Uqbar, Orbis tertius, in Finzioni, «Tutte le opere», Mondadori 1991, vol. I,  p. 631). Letteratura fantastica appunto, come anche questo coinvolgente film dimostra.

Universi

Lee Smolin insegna all’Università di Toronto ed è uno dei fisici teorici più importanti al mondo. In La rinascita del tempo. Dalla crisi della fisica al futuro dell’universo (Einaudi 2014) scrive che «non solo il tempo è reale, ma nulla di ciò che sappiamo e di cui facciamo esperienza ci avvicina al cuore della natura più della realtà del tempo. […] Il tempo e il suo passaggio sono fondamentali e reali e le speranze e le credenze relative a verità e regni atemporali non sono altro che miti. Accettare il tempo significa essere convinti che la realtà consiste soltanto di ciò che è reale in ciascun momento del tempo» (pp. VIII-X).
La realtà del tempo sta a fondamento anche di quanto ho scritto sul numero 179 (novembre 2017) del mensile Nocturno. Insieme a un testo teorico sul tempo nella realtà e nella Science fiction, la rivista ha pubblicato tre sintetiche analisi -dialoganti con Mario Gazzola- dedicate ai film Interstellar (Christopher Nolan, 2014), Arrival (Denis Villeneuve, 2016), Lucy (Luc Besson, 2014).
Si trovano alle pagine 58, 71 e 76; metto qui a disposizione il testo in pdf.

[L’immagine raffigura la Nube di Rho Ophiuchi fotografata da Artem Mironov]

Nocturno

Il tempo: misura di tutte le cose
in Nocturno, numero 179 – novembre 2017
Pagine 52-57

Pubblicare anche su un mensile pop come Nocturno è per me una cosa assai bella. Perché significa che la filosofia può andare dappertutto, essere accolta nelle dimore più varie, fecondare ambiti diversi. Devo questa occasione a Mario Gazzola, che ha progettato un Dossier intitolato La spirale del tempo. Guida al cinema della nuova fantascienza filosofica e mi ha voluto tra gli autori.
Consiglio di prendere questo numero della rivista nelle edicole, anche per gustare la formidabile erudizione cinematografica e letteraria di Mario, che introduce il dossier con un articolo dal dotto titolo Dello spazio e del tempo.
Intanto metto qui a disposizione il pdf del mio testo teorico sul tema del tempo, della sua freccia, della (im)possibilità di viaggiare in questa dimensione fondante e costitutiva dell’essere.
Il dossier presenta poi alcune analisi del fisico Marco Bersanelli -contenute nel testo di Gazzola- e ben dodici ampie recensioni di film che affrontano la questione fisica, esistenziale e metafisica della temporalità, la più importante che si possa indagare perché capace di  compendiare tutte le altre.

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