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Das Ding

Quando Silvio Berlusconi si candidò per la prima volta alla presidenza del consiglio, parlai di una macchina mediatica -quindi disumana- che tentava di prendere il potere. I vent’anni che da allora sono trascorsi hanno dato clamorosa conferma a quella ipotesi. Il corpo e il volto di questa entità che una volta fu umana non hanno infatti più nulla di naturale. Basta, per rendersene conto, guardarla. L’intrusione chirurgico-meccanica su quello che fu un Leib, un corpo vivo, è stata talmente devastante da ridurlo a un Körper, un corpo cosa, che è costretto a muoversi sempre con degli addetti che assicurino la giusta temperatura negli studi televisivi. Il suo volto potrebbe infatti sciogliersi, le bolle di silicone esplodere.
Se non avesse le tragiche ricadute politiche che ha, il caso di s.b. sarebbe di straordinario interesse e significato antropologico. Si tratta di un soggetto che, afferrato da una patologica paura di invecchiare, rinuncia volontariamente alla propria temporalità e dunque al proprio statuto di umano, transitando non al livello animale, che è una dimensione di profonda raffinatezza ontologica, ma a quello di cosa. Di semplice cosa che ripete ossessiva le proprie formule come quelle inquietanti bambole che fingono di parlare. L’orrore che simili oggetti suscitano dovrebbe mettere in apprensione i genitori evitando di esporre i minori alla visione di una tale mostruosità.
Berlusconi è un umano diventato cosa. È l’oscenità allo stato puro, il mostruoso nella sua forma più angosciante. È dunque vero quanto affermato tempo fa da uno dei suoi medici, il farmacologo Scapagnini (ex sindaco di Catania, città da costui lasciata in bancarotta): «Berlusconi è tecnicamente immortale». Infatti solo gli animali possono morire, le cose -invece- si rompono. Esso, aggiungo, non potrà avere un funerale poiché potrà essere semplicemente rimosso, come accade a una tazza rotta che viene gettata nei rifiuti.
Il 6 giugno del 1950 Heidegger tenne una conferenza dal titolo Das Ding (La cosa). In quell’occasione parlò della “brocca” affermando che «è il vuoto ciò che, nel recipiente, contiene. Il vuoto, questo nulla nella brocca, è ciò che la brocca è come recipiente che contiene» (Saggi e discorsi, trad. di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 112). Tale vuoto è stato riempito dagli escrementi della vita collettiva italiana. Per questo  s.b. è una cosa immonda.

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