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Libertà e obbedienza

Sabato 27 agosto 2022 alle 18,30 nel Chiostro San Francesco di Patti (Messina) terrò una conversazione nell’ambito della prima edizione di Umana². Festival del Contemporaneo e della Partecipazione.
Il titolo del mio intervento è Libertà e obbedienza nelle società contemporanee.
Affronterò alcuni temi che qui provo a riassumere.

Libertà e obbedienza sono legate al fatto che l’umano costituisce una struttura corporea limitata nel tempo e consapevole della propria finitudine. Il dispositivo fondamentale dell’autorità tirannica, di ogni regime dispotico, sta qui, abita nella paura della morte.
Quando l’autorità prospetta il rischio della morte se si disattendono i suoi comandi, la probabilità di essere obbediti cresce esponenzialmente.
È per questo che ogni epidemia diventa un dono per chi comanda, una vera e propria manna, che essa sia discesa dal cielo, fuggita da laboratori, germinata dalla terra e dalla sua potenza.
Un’epidemia infatti dissolve con il suo stesso nome i corpi collettivi nei quali la socialità si organizza, cancellando il magnifico insieme di elementi ricchi, complessi, plurali nei quali la vita consiste.
È la paura del morire che sta a fondamento della pervasività del potere.
Ma se questo fosse il suo unico fondamento, il potere sarebbe sempre e soltanto espressione del negativo. Sarebbe dunque debole e ancor più incerto di quanto già non sia. L’altra sua fonte è la predisposizione a obbedire, ad accettare il comando da parte di coloro ai quali viene trasmesso.
Hume osserva come «NOTHING appears more surprising to those who consider human affairs with a philosophical eye than the easiness with which the many are governed by the few; and the implicit submission, whit which men resign their own sentiments and passions to those of their rules» (Of The First Principles Of Government, Part I, Essay IV, § 1).
La forza dell’autorità consiste anche nella capacità di presentarsi come affidabile ed esperta solutrice di problemi. Su questo punto la vicenda dell’epidemia Sars-Cov2 ha molti insegnamenti da darci.

La semplice vita organica – fondamentale ma non esaustiva – è ciò che i decisori politici si sono assunti come compito, a costo di rendere la vita di tutti misera, angosciante, depressa.
La salute dei cittadini è diventata un alibi per le pratiche di repressione, esclusione, discriminazione.
Si tratta di un compito ideologico, nel senso che esso maschera la morte, la quale viene invece favorita:
-dalla proibizione di cure efficaci;
-dalla chiusura degli ospedali;
-dalla distruzione della sanità pubblica attuata dai governi e dalle strutture liberiste;
-dall’imposizione di sieri che rappresentano un rischio enorme per milioni di persone, bambini e giovani specialmente, che non corrono di fatto alcun rischio a causa del virus.
La vicenda del coronavirus è stata ed è anche la testimonianza di un complottismo al contrario, testimonianza dell’attribuzione di ogni responsabilità all’elemento biochimico, al virus – indubbiamente presente – e però del silenzio a proposito:
-delle condizioni finanziarie
-delle modalità produttive (i mercati della carne)
-delle politiche sanitarie (la diminuzione drastica e feroce dei finanziamenti alla sanità pubblica)
che ne hanno favorito la comparsa, la virulenza, la diffusione.
Lo Stato etico prende la forma di:
-uno Stato psicologico/psichiatrico
-uno Stato ultrapaternalista
-uno Stato dispotico.
Siamo stati e continuiamo a essere vittime di una gestione dell’epidemia che ha intaccato in modo assai grave la salute della democrazia.

Salute è relazioni, è lavoro, è affetti, è sole, aria, luce. Salute è la vita. Quella che invece viene proposta è la salute degli zombie, favorita -come diceva De André- da una continua e quotidiana «ginnastica d’obbedienza».
La libertà del cittadino, acritico, obbediente e irresponsabile sarà sempre:
-una concessione delle autorità
-sarà la libertà dei fascismi
-non sarà mai l’essenza stessa del respiro umano, lo splendore dello sguardo, il pensiero che comprende
-sarà la libertà della brava formica, la cui essenza è l’omologazione, il marciare compatti verso la meta, l’identità senza differenze, lo stare sempre dalla parte della maggioranza ‘buona e giusta’
-sarà il conformismo eretto a valore
-sarà la libertà che si genera dalla paura e non dal gesto che rompe le catene.
Tanto più diventano politicamente essenziali quei cittadini, pochi o molti che siano, i quali rimangono autonomi, consapevoli, liberi, nonostante l’enorme pressione sociale e normativa che stanno subendo. Sono loro la Costituzione, sono i loro corpimente ancora liberi.

Nemesi e dismisura

Nemesi e dismisura
in il Pequod , anno 3, numero 5, giugno 2022, pagine 7-14

Indice del saggio
-Tracotanza
-Nemesi
-Un conclusione politeistica

Leggere oggi Nemesi medica (uscito nel 1976) significa disvelare sotto una luce radente e profonda le radici, le manifestazioni e soprattutto il significato del presente.
È accaduto che si sia invertito l’ordine naturale e logico del rapporto tra salute e malattia, è accaduto che si sia diventati tutti pazienti senza essere malati, è accaduto che «il cittadino, finché non si prova che è sano, si presume che sia malato. […] Risultato: una società morbosa che chiede una medicalizzazione universale, e un’istituzione medica che attesta una universale morbosità» (Ivan Illich); è accaduta un’aggressione del corpo collettivo verso se stesso, la metastasi di una parte tesa a consumare il tutto; è dilagata una malattia sociale, politica e civile.
E questo nonostante il fatto che «studiando l’evoluzione della struttura della morbosità si ha la prova che durante l’ultimo secolo i medici hanno influito sulle epidemie in misura non maggiore di quanto influivano i preti nelle epoche precedenti. Le epidemie venivano e se ne andavano, esorcizzate da entrambi ma non impressionate né dagli uni né dagli altri. Esse non vengono modificate dai riti celebrati nelle cliniche mediche più di quanto lo fossero dai tradizionali scongiuri ai piedi degli altari» (Illich).
Ciò che sta accadendo da due anni a oggi è dunque un esempio del concetto chiave dell’analisi di Illich: iatrogenesi.
L’attacco è stato e continua a essere furibondo nei confronti dell’immunità naturale, la quale è il fondamento e la condizione che consente alla nostra specie, come alle altre, di non essere spazzata via dalla miriade di agenti patogeni che abitano la Terra. Una medicina sana favorisce e rafforza l’immunità dei corpi, una medicina malata danneggia e indebolisce l’immunità naturale. Infatti, «fino a tempi non lontani la medicina si sforzava di valorizzare ciò che avviene in natura: favoriva la tendenza delle ferite a sanarsi, del sangue a coagularsi, dei batteri a farsi sopraffare dall’immunità naturale. Oggi invece essa cerca di materializzare i sogni della ragione» (Illich), che – come si sa – hanno la tendenza a diventare i suoi incubi.
Per millenni e sino alla fine dell’Ottocento il medico, o chi per lui, è stato addestrato e abituato a riconoscere la facies hippocratica, i segni della morte imminente e inevitabile, in base ai quali deve subentrare il rispetto per la persona che nel ciclo naturale e infinito lascerà il posto ad altre forme e ad altre vite. Lasciare andare il morente, accompagnarlo con l’abbraccio dei suoi cari, è stato un preciso dovere, sostituito ora dall’accanimento insensato che fa morire gli umani in una solitudine meccanica e ambientale che è il più atroce esito della nemesi medica.
Nel 1976 Illich enunciava un’affermazione icastica e feroce, che il tempo ha confermato, vale a dire «la servile subordinazione della classe medica italiana nei confronti dell’industria farmaceutica». Una subordinazione che è data certamente dalla secolare condizione di colonizzazione degli italiani, compresi i loro intellettuali e tecnici, e da un tessuto politico particolarmente corrotto ma che è anche e soprattutto espressione di un radicato e più generale rifiuto del πέρας, del limite, della consapevolezza della finitudine, che è – semplicemente – l’intelligenza del mondo.

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Tali sono alcune delle tesi che ho cercato di argomentare in questo saggio che esce in un numero assai ricco del Pequod, sul quale hanno scritto molti amici e allievi, a cominciare dal suo ideatore Enrico Palma. L’indice completo lo si trova anche nel pdf ma ricordo qui che tra i contributi ci sono quelli di Davide Amato, Nicoletta Celeste, Sarah Dierna, Stefano Piazzese, Mattia Spanò, del collega Antonio Sichera. Insieme ad alcuni di questi studiosi e ad altri, abbiamo anche scritto una riflessione collettiva dedicata alla messa in scena del’Edipo Re quest’anno a Siracusa: Edipo Re. Una nota filosofica, esperimento riuscito di pensiero collettivo, segno certo di salute.

Il danno

Un’ondata mai sperimentata di influenza in piena estate.
La promessa di immunizzazione tramite vaccino clamorosamente smentita («Se ti vaccini vivi, se non ti vaccini muori…»)
Nell’ipotesi migliore i vaccini sono inutili ma è molto probabile che siano dannosi, che il loro effetto consista nel deprimere le difese immunitarie (il numero di morti improvvise di persone sane va crescendo in modo inquietante).
Un premio Nobel per la medicina lo aveva pur detto che vaccinare durante un’epidemia è pericoloso poiché rafforza il virus, lo rende mutante, resistente e pervasivo.
E dunque ora il rischio è che i vaccinati si contagino molto più facilmente tra di loro e mettano in pericolo gli altri, coloro che non hanno ceduto alla propaganda, al terrore, alla violenza, al ricatto. I vaccini non sono una soluzione e costituiscono un danno ma i decisori politici insistono. Perché?
È veramente esiziale l’ostinazione dei nemici del metodo scientifico, il quale procede senza dogmi, per prove ed errori, non con fanatismo e minacce.

Lettere sull’Università

Nei giorni scorsi molti docenti sospesi dalle Università italiane (e anche dei non sospesi) abbiamo inviato due lettere.
La prima al Ministro Messa e (chi ha voluto) ai rettori dei propri Atenei.
La seconda alla Corte Penale Internazionale (International Criminal Court).
Si tratta di due documenti credo significativi, che evidenziano e denunciano a vari livelli i danni, i disagi, le conseguenze educative, didattiche e amministrative delle norme irrazionali e arbitrarie che hanno prodotto gravi e pervasive discriminazioni nei confronti di intere categorie di cittadini italiani, in particolare docenti, studenti e lavoratori delle scuole e delle università.
Metto qui a disposizione entrambi i testi, con l’auspicio che siano utili a comprendere quanto è accaduto e continua ad accadere. E che rimangano a futura memoria, affinché una simile barbarie giuridica, politica e pedagogica non abbia a ripetersi.

Untore

L’Università di Catania, nelle persone del rettore Francesco Priolo e del direttore generale Giovanni La Via, mi ha sospeso dal servizio e dallo stipendio sino al 15 giugno 2022.
Sospeso non perché abbia commesso un reato, non perché sia venuto meno ai miei doveri d’ufficio, non perché non abbia svolto esami o lezioni, non perché abbia trattato persone, studenti, colleghi in modo non corretto.
Sospeso perché non intendo introdurre nel mio corpo delle sostanze che i ‘bugiardini’ delle aziende che le producono definiscono sperimentali e delle quali non si conoscono gli effetti di lungo periodo.
Sospeso perché, al di là della questione sanitaria, mi oppongo a una degenerazione politica assai grave che sta cancellando la Carta costituzionale, l’equilibrio tra i poteri, i diritti fondamentali della persona.
Sospeso perché non mi sono vaccinato.
Prima di prendere questa decisione ho chiesto alla ATS di Milano informazioni sulla vaccinazione, come previsto dalla normativa in vigore e come è mio diritto/dovere di cittadino. Non ho ricevuto risposte se non il rinvio alle FAQ di alcuni siti istituzionali, dove non ho trovato quasi nulla che riguardasse i quesiti che ho posto. Mi sono dunque sottoposto a un esame allergologico il sui esito è stata l’autorizzazione all’esenzione dalla vaccinazione. Ho inviato tale documentazione a Unict, aggiungendo inoltre un referto relativo ad altri problemi sanitari che rendono rischiosa la somministrazione del vaccino. Di tutto questo l’amministrazione non ha tenuto conto.

Le motivazioni della mia decisione sono dunque di natura anche sanitaria ma non solo. Ce ne sono altre che si possono riassumere nei due elementi che hanno sempre guidato -almeno spero!- la mia esistenza: l’amore per la conoscenza e per le libertà. Non intendo obbedire a ingiunzioni arbitrarie e tiranniche; cerco di conservare la coscienza dei miei doveri di essere umano, di cittadino e di professore.
Sento infatti come un dovere il rimanere fedele alla missione dell’Università, che consiste anche e specialmente nel costituire un luogo aperto e critico, atto a formare persone quanto più possibile libere e consapevoli; da due anni, invece, gli Atenei sono diventati delle caserme respingenti, discriminanti e chiuse non soltanto ai corpi ma anche e specialmente a ogni accenno di ipotesi, prospettiva, suggerimento, pensiero critico nei confronti dei dogmi politici travestiti da securitas sanitaria.
Quella in atto è anche una grave infodemia, che ha visto i media al servizio passivo e acritico di un potere la cui irrazionalità e paranoia canettiane mi sono sembrate sempre più evidenti. Nel corpo collettivo è in atto un’ondata di irrazionalismo, di propaganda, di miseria culturale e di tirannide sulla quale in questi due anni ho scritto centinaia di pagine in riviste, in volumi collettanei, sul mio sito. Probabilmente sulla base di questi interventi e testi, mi aveva anche contattato la redazione di un programma televisivo che si chiama Di martedì. Ho rifiutato cortesemente l’invito perché si tratta di situazioni trappola nelle quali a coloro che mettono in dubbio la narrazione dominante viene impedito di condurre e concludere ogni discorso sensato.

Rendo pubblici alcuni dei documenti relativi alla vicenda:
la mia lettera all’ATS di Milano;
risposta della Dirigente dell’ATS di Milano;
avviso ricevuto da parte dell’Area Risorse Umane Unict;
decreto di sospensione;
lettera dei docenti italiani al governo in carica.

Il terzo documento l’ho ricevuto da un’entità «obbligo.vaccinale@unict.it», che si firma «Area Risorse Umane». A proposito di tale modalità di comunicazione un collega mi ha scritto giustamente questo: «La lettera di Unict è scandalosa non solo per il contenuto ma anche per la forma. Chi sono infatti le ‘risorse umane’? Come si fa a firmare un documento di questo tipo a nome di ‘Area Risorse Umane’? Nessuno, ovviamente, vorrebbe sottoscrivere a proprio nome una simile lettera, che nulla toglie alla penna e alla freddezza procedurale di Adolf Eichmann». Un’altra collega ha scritto: «Gli Atenei si sono macchiati intellettualmente, notificandoci queste sospensioni. E in modo profondo, una sottomissione orribile, che sarà una macchia indelebile. Non è la prima volta nella storia. Se gli dei saranno clementi, ci daranno la possibilità di vedere a breve la macchia venire alla luce». Al che ho risposto: «Sì, è una macchia di sottomissione all’iniquità, alla superstizione, all’infamia. Non è solo per ragioni personali che non lo dimenticheremo, che non potremo dimenticarlo, ma perché un atto come questo muta nel profondo ogni relazione dentro l’istituzione e il significato stesso dell’Università come luogo di ricerca, curiosità, scambio, libertà».
Aggiungo, tra i documenti relativi a questa vicenda, una lettera che avevo già pubblicato in questo sito, firmata anche da me e inviata da numerosi docenti italiani ai decisori politici, compreso l’ologramma ministra Messa; testo che era stato preceduto da analoghi documenti inviati dai docenti di numerose Università ai loro rettori. Tale lettera mi sembra infatti una sintesi eccellente della situazione istituzionale e giuridica. 

Rispetto le posizioni di tutti su che cosa introdurre nel proprio corpo; spero che vengano rispettate dagli amici – degli altri non mi importa – anche le mie; chi vuole vaccinarsi lo faccia quante volte vuole o ritiene sia necessario, senza pretendere di imporre la stessa pratica a chi, per qualunque ragione, non intenda inocularsi.
Una soluzione sarebbe stata e sarebbe ancora ammalarmi, guarire e almeno provvisoriamente risolvere. Ma, nonostante l’abbia tentato in vari modi, non riesco proprio a prendere il Covid19. Che dei cittadini, ne conosco numerosi, vengano indotti a sperare di ammalarsi è uno dei segni più chiari della barbarie giuridica, esistenziale e sanitaria in atto.

Chiedo a chi avrà letto queste righe di non rispondermi (e sperabilmente neppure pensare) «non sei affatto discriminato, dipende da te; vaccìnati e tutto sarà risolto». Rispondere in questo modo significherebbe non aver compreso nulla di ciò che ho scritto e soprattutto sarebbe una triste testimonianza di asservimento interiore e concettuale, forse a questo punto inemendabile.
Al di là dei rischi che comporta e anche al di là del suo significato politico, accettare il comando iniquo di un’autorità perduta sarebbe per me un’azione senza senso. Non un’azione buona o cattiva, giusta o ingiusta, libera o imposta, opportuna o radicale. No, un’azione proprio senza senso, «una nonsenseria» (per parlare la lingua di Horcynus Orca). Qualcosa che non si può chiedere a chi ritiene che siamo dei dispositivi semantici, a chi dedica la propria esistenza alla filosofia.

 

[Addenda 1, 13.3.2022]
Ringrazio tutti coloro -studenti, amici, colleghi- che hanno voluto esprimere nei commenti pubblicamente la loro solidarietà e vicinanza. Vi ringrazio uno per uno, di cuore, anche per aver ritenuto necessario farlo, appunto, in pubblico.
Ringrazio anche i tanti -davvero tanti- che mi stanno scrivendo, chiamando, manifestando il loro sconcerto e il loro affetto. Prevedevo dei commenti amichevoli ma non in tale misura e modi. Evidentemente esiste nel corpo collettivo anche la percezione della insensatezza e dell’iniquità di ciò che stanno subendo tante, troppe, persone la cui unica colpa è avere dei dubbi, desiderare mantenere la sovranità sul proprio corpo, cercare di ragionare -ed eventualmente anche sbagliare- da sé e non come parte della propaganda mediatico-sanitaria.
Aggiungo qui soltanto due osservazioni.
La prima è un paradosso. In due anni di epidemia non ho preso alcuna precauzione, ho respirato senza maschere appena ho potuto, ho incontrato e abbracciato tante persone, ho toccato tutto, sono anche stato vicino a mia moglie che si è ammalata di Covid ed è guarita. Ma io non ho preso nessuna «variante». Sono insomma nei confronti del virus, per quello che si può vedere, «sano». E però non posso insegnare. Tante persone, amici e colleghi con tre dosi di vaccino si ammalano di Covid e prima che la malattia emerga entrano in Università (o in altri luoghi di lavoro) e si muovono liberamente.
La seconda osservazione prende spunto da un’amica che mi ha espresso il suo dispiacere aggiungendo «io mi sono vaccinata, ho preferito farlo. Non mi sono sentita lesa nelle mie libertà fondamentali». Le ho risposto ribadendo che chiunque lo vuole ha diritto di vaccinarsi più volte; la questione è obbligare chi non vuole. C’è un’enorme differenza tra le due cose. La mia amica, appunto, «ha preferito farlo»; io e tanti altri non abbiamo il diritto di «preferire non farlo».

 

[Addenda 2, 20.3.2022]
Ho ricevuto, per conoscenza, una lettera indirizzata agli Organi di Ateneo.
La copio qui sotto, con il relativo documento.

Alla cortese attenzione

del Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Catania
Professore Francesco Priolo

e del Direttore Generale
Professore Giovanni La Via,

e p.c.

del Direttore del Dipartimento di Scienze Umanistiche
Professoressa Maria Caterina Paino

e del Professore Alberto Giovanni Biuso

Con la presente trasmettiamo in allegato una lettera sottoscritta dagli studenti del Dipartimento di Scienze Umanistiche e nello specifico dagli studenti di Filosofia e di Scienze Filosofiche.
La lettera è frutto di un sentimento comune che è maturato a seguito dell’avvenuta sospensione del Professore Alberto Giovanni Biuso, il quale non è a conoscenza dei contenuti di questa lettera.
In attesa di un Vostro cortese riscontro, l’occasione è gradita per porgere cordiali saluti.
Gli studenti firmatari

Lettera_Studenti_Dipartimento_di_Scienze_Umanistiche (pdf)

Paure e razionalità

Pubblico qui due documenti.
Il primo è una Lettera inviata agli attuali Presidente del Consiglio e Ministro dell’Università da parte di più di un migliaio di docenti e membri del personale tecnico-amministrativo degli Atenei italiani (il cui numero va crescendo in questi giorni). Il testo si compone di 8 pagine; le ultime due sono costituite da una parte della bibliografia scientifica utilizzata per la stesura del documento. Riporto qui alcuni brani, consigliando naturalmente la lettura integrale della Lettera, la quale può essere scaricata e sottoscritta al seguente indirizzo:

Universitari e Ricercatori contro il GreenPass. Lettera aperta al Presidente del Consiglio

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Rileviamo anzitutto che non vi sono basi scientifiche per questo ennesimo inasprimento delle politiche di contenimento della pandemia e non possiamo non esprimerci relativamente alle fortissime implicazioni psicologiche, etiche, giuridiche ed economiche che questo approccio alla pandemia sta avendo sul nostro tessuto sociale e civile. Osserviamo inoltre con estrema preoccupazione l’escalation di violenza verbale e attacchi pretestuosi verso la minoranza di coloro che per vari motivi, tra cui considerazioni di tipo sanitario, hanno scelto di non vaccinarsi.

Considerati questi dati epidemiologici essenziali, l’obbligo vaccinale per gli over 50, o per particolari categorie di lavoratori, appare una misura di cui si fatica a comprendere la reale necessità.

Va altresì considerato che i vaccini attualmente somministrati sono farmaci la cui autorizzazione all’immissione in commercio è avvenuta in via “condizionata” e temporanea, sulla base del Regolamento della Commissione Europea n. 507/2006 del 29 marzo 2006, che si applica espressamente ai «medicinali» per i quali «non siano stati forniti dati clinici completi in merito alla sicurezza e all’efficaci (art. 2 e art. 4, n. 1, del regolamento), e che le evidenze scientifiche circa l’efficacia e la sicurezza della somministrazione di dosi booster a distanza ravvicinata sono scarse, ma già preoccupanti.

Un altro aspetto critico della campagna vaccinale è quello relativo alla comunicazione, che è stata estremamente variabile e incoerente: dalla promessa dell’immunità di gregge si è passati all’evidenza che il vaccino non protegge dal contagio; da un solo ciclo vaccinale si è passati alla necessità di una terza dose e forse una quarta, con tutti i pericoli che la somministrazione ripetuta del vaccino rappresenta per l’incolumità fisica dei soggetti trattati.

Con specifico riferimento alla vita della comunità universitaria, dobbiamo inoltre rilevare che l’applicazione del Decreto Legge è destinata inevitabilmente ad alimentare conflitti e discriminazioni. La nuova normativa, infatti, impedirà di lavorare e di percepire lo stipendio a chi sceglierà di non vaccinarsi o di non completare il ciclo vaccinale, introducendo di fatto una sanzione che non trova precedenti nel nostro ordinamento. Questa sanzione produrrà gravi ripercussioni sociali e psicologiche, che incideranno sulla vita individuale e familiare dei lavoratori sospesi, incluse persone al termine della loro carriera lavorativa, oltre ad avere ricadute sulla formazione degli studenti, sulla ricerca e sull’attività culturale e amministrativa dei nostri atenei. Singolare dal punto di vista giuslavorista appare poi la possibilità che i lavoratori strutturati sospesi possano essere sostituiti da lavoratori precari, ai quali sarà richiesto, se di età non superiore ai 50 anni, il Green Pass semplice, acquisibile, come era finora anche per il personale strutturato, mediante il semplice tampone.

Riteniamo che la sospensione dal lavoro e la perdita del sostentamento economico, come conseguenza dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, rappresenti un’imposizione sproporzionata e ingiustificata dal punto di vista sanitario e che, in quanto tale, debba essere portata all’attenzione della Corte Penale Internazionale come atto persecutorio nei confronti di un gruppo sociale, in questo caso identificabile dal suo status vaccinale (art. 7 dello Statuto di Roma).

Riteniamo particolarmente grave, infine, obbligare gli studenti ad esibire il Green Pass per poter partecipare in presenza alla vita universitaria. Ai fini della salvaguardia della salute di tutti, la distribuzione gratuita di test rapidi antigenici, anche salivari, che sono in grado di rilevare con elevata sensibilità non tanto la positività quanto la contagiosità degli individui, pare assai più efficace come misura di tutela della salute delle comunità universitarie.

In questa prospettiva, auspichiamo che Lei, signor Presidente del Consiglio dei Ministri, voglia prendere urgentemente in considerazione la necessità di ritirare il suddetto Decreto, allo scopo di restituire agli atenei l’universalità e la pluralità di pensiero, che è alla base dello stesso concetto di universitas, e di salvaguardare i principi e i valori su cui si fonda la nostra società, in nome di quanti hanno contribuito alla loro affermazione e di quanti hanno il diritto inalienabile a costruirvi la propria felicità.

Versione pdf della Lettera
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Il secondo documento è un saggio del Prof. Guido Nicolosi, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali di Unict.
Il testo si intitola Communication, Fear and Collective Trauma in first Wave Covid-19.“Double Epidemic” in Italy: traces and clues.
Uno degli argomenti è l’infodemia che ha colpito in particolare l’Italia. È stato pubblicato su Studia Humanitatis Journal, 2021, 1 (1), pp. 103-126.

Questo è l’abstract:
«The Coronavirus epidemic has demonstrated just how unprepared our societies were for an occurrence of this kind. On March 2020, the Italian government was in fact the first in Europe to implement a strategy of lockdown on the whole national territory, not just in the areas where outbreaks occurred. The coronavirus crisis was concentrated in a specific area: in particular, the region of Lombardy and some isolated provinces in the north of Italy. So, Italy has suffered a “double” epidemic, but the strategy adopted was uniform and radical. This contribution does not focus on the effectiveness of the Italian strategy per sè . The aim is rather to analyse the Italian Case from the point of view of media and institutional communications with the intention of bringing to light some critical issues. Particularly, here it is posited that emergency  ommunication produced during the “first wave” of pandemic has significantly contributed to fostering a climate of anxiety and collective fear with possible traumatogenic consequences. Within an emergency context, communication can be the thin boundary line between collective trauma and resilience and covid 19 pandemic was also a public communication crisis. This essay tries to analyse some traumatogenetic issues of institutional and media communication during the coronavirus crisis in Italy. Below a non-exhaustive list of these issues: A dramatic center-periphery coordination deficit; Wavering institutional communication; The “numerological” hegemony”; The absence of an “exit strategy”».

Il saggio, scritto in modo chiaro e vivace, merita di essere letto per intero. Anche in questo caso segnalo alcuni brani.
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As predicted by The Lancet, Italy had to face an infodemic crisis and a pandemic information overload. This has been widely confirmed by our routine research activity. In the absence of effective, professional institutional direction, the media did not hesitate to dramatize the narration of events for their own interest (audience), with massive coverage which was at times emphatic, others schizophrenic (alternating reassurances with alarmism). On occasions they might even be accused of foul play, with headlines for effect and news which was only partially true.

In other words, in order to convince the population to live under a regime of quarantine for an indefinite period, the government used a “strong” (alarmistic) communicative register.

The main traumas registered today by psychologists are the following:

▪ Isolation, with repercussions on somatic levels and reduced resilience;

▪ Symptoms of depression (loss of motivation, self-esteem, physical and cognitive fatigue);

▪Violence and aggression (an increase in domestic violence and conflicts between individuals was registered);

▪ Paranoid suspicion (search for the plague spreader);

▪ Sense of incoherence;

▪ Individual and social control;

▪ Technological overdose;

▪ Compromised development and growth in minors.

Nevertheless, the rite can have a dangerous, consolatory function (Gugg, 2014), because it can give a community the illusion of being immune to a successive disaster and generate a false sense of security. Or, rites can serve to remove the community’s sense of guilt by attributing the causes of the disaster to scapegoats. Or to re-establish the pre-existent social order (resilience) without reflexively reasoning on the political and social responsibilities and on the possible and necessary changes.
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I pdf contengono le mie sottolineature ed evidenziazioni. I due testi confermano che è possibile, solo che lo si voglia, osservare in modo razionale quanto sta accadendo da due anni; riflettere con attenzione sulle cause e sulle conseguenze della gestione politica dell’epidemia; evitare comportamenti irrazionali, fanatici, fideistici. Si può insomma, se lo si vuole, rimanere persone sensate, critiche, libere.

Post scriptum
Un collega che riceve gli aggiornamenti su ciò che pubblico sul sito mi ha scritto questo:
«grazie, confermando il mio dissenso…»
Gli ho chiesto: «Hai letto i due testi?»
La risposta è stata questa:
«conosco le ragioni, che non riesco a condividere. Sono prevenuto e quindi non li leggo neppure».
Ecco un esempio di «comportamento irrazionale, fanatico, fideistico» e certamente non consono a un professore, a un intellettuale, a uno studioso.

Mitsein

Il piano inclinato del fanatismo -ormai una vera e propria isteria collettiva– corre veloce. Con le decisioni del governo italiano, tra le più restrittive al mondo, è in atto la rottura prorogata e profonda del legame tra Dasein (esserci, esistenza) e Mitsein (essere con gli altri, con-essere), e dunque la dissipatio della comunità/società.
Una dissoluzione funzionale non alla salute – la salute è per gli umani il corpomente nello spazio comune – ma alla sottomissione di un corpo collettivo ormai lacerato, alla stabile vittoria dell’individualismo liberista e dei suoi scopi economico-finanziari. Il liberismo contemporaneo si esprime in particolare nella trasformazione della relazionalità da rapporto tra corpimente in un ossessivo rapporto dei corpimente con i dispositivi elettronici, in una relazione nella quale diventa dominante la dimensione virtuale e iconica, il QR. È questa forma mentis astratta ad aver reso ‘normale’ nel linguaggio una formula ossimorica e distruttiva come «distanziamento sociale».
La natura relazionale dell’animale umano è in questo modo dimidiata, trasformata in pericolo, cancellata o almeno sospesa. Come tra gli altri anche l’aristotelica-heideggeriana Hannah Arendt ha osservato, nel liberismo la dimensione politica viene subordinata a quella economica, la quale determina in tutto e per tutto la vita degli individui e delle collettività alle quali gli individui danno vita. Anche per questo è esiziale che in Francia e in Italia a governare siano in questi anni due banchieri come Macron (Rothschild & Co) e Draghi (Goldman Sachs), i quali stanno coerentemente attuando una distruzione biopolitica del legame sociale.
Qualche giorno fa ho fatto un giro per la mia città. In metropolitana alle 15.00 treni quasi vuoti; alle 18.00 sono riuscito a sedermi (!), cosa impossibile in altri tempi. Nel centro di Milano tanti negozi chiusi, molti bar vuoti, altri con non più di metà dei tavolini occupati. Per le strade automezzi e pattuglie di polizia, carabinieri, vigili. Nessuno di loro, per fortuna, mi ha fermato pur vedendomi camminare senza museruola. Una città triste, militarmente occupata, in declino. Gli effetti del governo Draghi-Figliuolo-Speranza si vedono in modo assai chiaro. Un governo pericoloso per la salute pubblica.
Che la dissipatio collettiva non appaia forse alla consapevolezza ru zu Cicciu fimminaru di via Plebiscito (quartiere popolare di Catania, dove abito quando mi trovo in Sicilia) è ovvio. Che non venga compresa da gente studiata (come si dice nell’Isola) e anche molto studiata, come la più parte dei docenti universitari, dei magistrati, di persone mediamente istruite, è la conferma della potenza dei media e dell’impulso all’obbedienza anche nei confronti dell’orrore. Ma allora bisogna smetterla con la colpevolizzazione, ad esempio, dei tedeschi sotto il Terzo Reich, come di ogni altro popolo che abbia obbedito alle ingiunzioni più inique e più insensate.
Stiamo infatti vedendo con i nostri occhi come sia stato possibile, come è sempre possibile. Un governo poco meno che criminale continua a saggiare sino a che punto possano spingersi la dissipatio del corpo collettivo e il servilismo verso misure dadaiste e insensate. E ne trae la conclusione che si può spingere ancora avanti. Una nazione che ha creduto a Mussolini potrà pur avere fede in Draghi.

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