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Il cinema/mente

Hugo Cabret
di Martin Scorsese
Con: Asa Butterfield (Hugo), Ben Kingsley (George Meliès), Chloe Moretz (Isabelle), Sacha Baron Cohen (Ispettore ferroviario), Helen McCrory (Mamma Jeanne), Jude Law (il padre di Hugo), Michael Stuhlbarg (René Tabard), Ray Winstone (zio Claude)
Ispirato a La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, di Brian Selznick
USA 2011
Trailer del film

 

Anni Venti del Novecento. Dall’alto del panorama parigino e delle magnifiche luci che lo intessono si scende vorticosamente verso Gare Montparnasse. Tra il brulichio della stazione si muove Hugo Cabret, un ragazzino senza famiglia, il cui padre orologiaio è morto prima di riuscire a riparare uno strano automa capace di scrivere. Hugo vive tra i meccanismi del grande orologio della stazione e ha l’obiettivo di far funzionare l’automa, convinto che in esso stia racchiuso l’ultimo messaggio del padre. Per questo ruba piccoli ingranaggi da un negozio di giocattoli, fino a che il proprietario lo scopre e gli porta via il taccuino di appunti del padre. Quest’uomo, però, è George Meliès, il primo grande regista di film fantastici, che dopo il grande successo della Belle Époque è ora caduto in disgrazia. I rapporti tra Meliès, l’automa, il padre, delineano la favola di questo film il cui profluvio di effetti illusionistici è una cosa sola con la trama.

«Il tempo è tutto» dichiara lo zio Claude, anch’egli orologiaio. Il cinema è l’immagine-movimento (Deleuze) mediante la quale il passato ritorna ogni volta che lo vogliamo, l’immaginazione produce il mondo, il presente del singolo fotogramma è inseparabile dal movimento che lo trascina, esattamente come l’istante è inseparabile dal fluire dell’avvenire-essente stato-presentante. Eventi, sogni, fantasie, favole, timori, progetti, si fanno sullo schermo realtà, diventano un flusso di coscienza iconico che è capace di superare d’un balzo enormi distanze spaziotemporali o di racchiudersi per lungo tratto nello scrigno del presente. Il cinema è metafora e incarnazione della psiche, della sua distensio, della struttura anche costruzionistica e non soltanto rappresentativa della mente temporale.

Terminator Salvation

di McG (Joseph McGinty Nichol)
USA 2009
Con Christian Bale (John Connor), Sam Worthington (Marcus Wright), Moon Bloodgood (Blair Williams), Anton Yelchin (Kyle Reese)
Trailer del film

terminatorsalvation

Nel 2003 un detenuto condannato a morte autorizza l’uso del proprio corpo “per la scienza”. Nel 2018 lo stesso corpo ricompare, trasformato in un ibrido uomo-macchina, con lo scopo di aiutare la Rete Skynet a debellare le ultime resistenze umane al dominio delle macchine. E tuttavia Marcus Wright ricorda più il proprio cuore umano che il chip cerebrale di cui è stato dotato. Forse questo ricordo aiuterà l’eroe John Connor a trovare colui che sarà il proprio padre -Kyle Reese- e che adesso è soltanto un ragazzo…

Cortocircuiti temporali e guerra tra umani e androidi sono i due elementi che caratterizzano sin dall’inizio la saga di Terminator. Qui per la prima volta si parte dal futuro postatomico, con scene e immagini a volte di notevole suggestione. Tuttavia, gli spunti di riflessione sul rapporto uomo-macchina sono quasi sempre sacrificati alla consueta spettacolarità. Nata negli anni Ottanta, quando i computer erano soprattutto hardware, la serie non si è ancora liberata da una visione della cibernetica fatta di gigantesche ruspe, primordiali e rozze (certo più attraenti di un impalpabile software). L’elemento più interessante del film è proprio l’individuazione della corporeità protoplasmatica -la carne del corpo e non l’anima formale- come dimensione veramente e profondamente umana. Il cuore, alla fine e alla lettera, avrà il sopravvento. Nel complesso, il film è un videogioco un po’ più raffinato.

[Consiglio di leggere la recensione molto più articolata di Mario Gazzola]

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