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Les Enfants

I 400 colpi
(Les Quatre Cents Coups)
di François Truffaut
Francia, 1959
Con: Jean-Pierre Léaud (Antoine Doinel), Claire Maurier (Gilberte Doinel, la madre), Albert Rémy (Julien Doinel), Patrick Auffay (René), Guy Decomble (l’insegnante di francese)
Trailer del film

i_400_colpiIn francese il titolo significa ‘fare il diavolo a quattro’. E il dodicenne Antoine Doinel è in effetti una mescolanza di Pinocchio e di Gian Burrasca. Ma è lontano da entrambi per la malinconia, la rassegnazione quasi, con le quali vive la sua solitudine di bambino non amato, il susseguirsi delle punizioni e della desolazione, la sua stessa radicata monelleria. Parigi e la Francia alla fine degli anni Cinquanta del Novecento vi appaiono nella loro identità immediata e profonda, irreversibilmente dissolta, oggi. Come svanito è un modo di educare che nel nostro tempo è diventato esattamente l’opposto rispetto a quello descritto e condannato nel film, oggi che i bambini e i ragazzini di tutte le età sono diventati i tiranni delle famiglie.
La narrazione procede senza nessuna sbavatura, del tutto priva di retorica anche se totalmente intrisa di pietà. Il cinema, la letteratura, il teatro è naturalmente sempre dell’umano che parlano ma le opere che valgono lo fanno senza alcun sentimentalismo. Les Quatre Cents Coups è un grande film anche per questo. Da qualche mese l’opera è tornata nelle sale, restaurata e quindi capace di sprigionare ancora e di nuovo tutta la sua bellezza formale, la sua maestria di racconto per immagini.

Madre / Capitale

Pietà
di Kim Ki-duk
Con: Cho Min-Soo (Mi-sun), Lee Jung-Jin  (Kang-do)
Corea, 2012
Trailer del film

In un fatiscente quartiere di una città coreana, Kang-do è un sicario specializzato nello storpiare i debitori di usura che non pagano il dovuto, in modo da poter incassare l’assicurazione. Svolge il suo lavoro con freddezza, immerso nella solitudine e in una profonda miseria esistenziale. Un giorno gli appare una donna che gli chiede perdono per averlo abbandonato appena nato, dichiarando di essere dunque lei la responsabile dei suoi crimini. L’uomo non le crede, la sottopone a varie prove sino a quando non è sicuro che la donna sia davvero sua madre. Comincia allora a non portare più a termine gli incarichi ricevuti e a non poter tollerare il pensiero che lei se ne vada un’altra volta. La madre scompare e riappare, forse vittima della vendetta di quanti sono stati sciancati da suo figlio. O forse no.
Un’apoteosi/descrizione dell’amore materno nelle sue forme più radicali. Una rappresentazione/metafora del capitalismo che distrugge i corpi e le vite di quanti da esso sperano lavoro, reddito, credito. Tutte le vittime si rivolgono al sicario definendolo un “diavolo che uccide promettendo danaro”. Due livelli apparentemente molto diversi della vita umana -innato l’uno, storico l’altro; intimo il primo, collettivo il secondo; biologica la maternità, economico il capitale- si fondono integralmente nella violenza della quale entrambi, maternità e capitalismo, sono intessuti. Alla domanda di Kang-do su che cosa siano i soldi, la madre risponde: «L’inizio e la fine di ogni cosa». Vincitore della Mostra del Cinema di Venezia 2012, quello del regista coreano è ancora una volta  un capolavoro nichilistico e mistico.

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