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Fenomenologia dell’emergenza

Venerdì 19 aprile 2024 alle 18.00 alla libreria Feltrinelli di Catania dialogherò con Davide Miccione a proposito del suo libro più recente: Quando abbiamo smesso di pensare. Scritti di fenomenologia dell’emergenza (2020-2023) (Transeuropa Edizioni 2023, pagine 146). L’evento è organizzato in collaborazione con l’Associazione Studenti di Filosofia Unict (ASFU).
È vero: «die Philosophie ihre Zeit in Gedanken erfaßt» (Hegel), la filosofia (è) il proprio tempo appreso e colto nel pensiero e con il pensare, o almeno è anche questo. E dunque il denso disegno che Davide Miccione traccia del nostro tempo è del tutto filosofico. Alcuni suoi riferimenti sono Günther Anders, Ivan Illich, Pier Paolo Pasolini, ma il disegno è del tutto originale ed è costituito da una intelligenza del presente e da una chiarezza analitica che descrivono con lucidità i nostri anni più recenti e il tempo nel quale siamo immersi.
Giustamente centrale nell’analisi critica di Miccione è il linguaggio. La lingua infatti non rappresenta un elemento tra gli altri delle comunità sociali, non è soltanto un raffinato strumento ma costituisce il mondo stesso degli umani. Adottare una modalità linguistica piuttosto che altre è sempre anche una scelta (o una non scelta) politica. È anche nel linguaggio e tramite il linguaggio che brilla evidente la schizofrenia ‘progressista’ che fonda principi, teorie e azione su ciò che proviene dagli Stati Uniti d’America, vale a dire dal luogo dell’imperialismo, del potere, della repressione di ogni autentica emancipazione sociale e collettiva. La schizofrenia imperialista di una ‘sinistra’ defunta che però ancora cammina, la sinistra-zombie, è uno degli elementi centrali della fenomenologia dell’emergenza, uno dei capisaldi degli anni Venti del XXI secolo. 

Pasolini, il mito

Pasolini Hostia
Palazzo Lanfranchi – Matera
A cura di Lorenzo Canova e Vittorio Sgarbi
Sino al 6 novembre 2022

Da quando nel 1964 Pasolini fece muovere e parlare il Gesù del Vangelo secondo Matteo tra i Sassi di Matera, la città e il regista sono profondamente legati. Il Palazzo Lanfranchi – dal quale lo sguardo spazia lungo le case e la gravina di Matera – ospita una mostra plurale dedicata al progetto/proposta di Nicola Verlato di fare di Ostia un luogo consacrato a Pasolini. Il progetto prevede un teatro, un cenotafio, un portico a colonne. Luoghi dentro i quali ospitare le ceneri vive di Pasolini, conservare le sue opere, perpetuare la memoria. Luoghi che dovrebbero contenere anche le musiche composte da Verlato e i grandi quadri – delle vere e proprie pale d’altare – che ha dipinto ispirandosi a Caravaggio e però caratterizzati da un ultrarealismo a tratti francamente retorico, cosa che credo Pasolini non avrebbe apprezzato.
Il motivo che accomuna tutte le opere è la figura del poeta «sprofondato», una rivisitazione/interpretazione del corpo di Pasolini come venne trovato a Ostia il 2 novembre 1975. A partire da questa tonalità tragica, plastica e dinamica, le pale narrano la vita del regista, i suoi legami con la grande poesia di Petrarca e di Pound, l’opera d’arte totale che la sua esistenza volle essere.
La nettezza delle figure è così lancinante da trasformarsi in sogno geometrico e spesso in incubo. I chiari riferimenti al Seppellimento di Santa Lucia di Caravaggio (a Siracusa) trasformano in mito la cronaca dell’assassinio di Pasolini.
La cappella di quello che fu il Palazzo dei vescovi di Matera è in questo modo diventata luogo di celebrazione di un intellettuale mai omologato, immerso in indicibili passioni e sempre rimasto dolorosamente cattolico. 

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