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Davide Miccione su Animalia

Davide Miccione
Recensione a Animalia
 in Phronesis. Semestrale di filosofia, consulenza e pratiche filosofiche
Anno II seconda serie, numero 5, maggio 2022
Pagine 91-95

«Il tema di Animalia non è però calcato sull’urgenza del momento come Disvelamento ma su un’urgenza, per così dire, eterna, cioè quella che ha il Sapiens di riuscire a capirsi e vedersi in quanto uomo. Un volume di antropologia filosofica verrebbe da dire se non fosse che è proprio quest’ultima che viene scardinata e resa impossibile, almeno nelle forme in cui siamo abituati a pensarla. Biuso parte dal modo in cui siamo abituati e pensare l’uomo e in pochi passaggi rende questa modalità inattingibile.
[…]
Difficile non scorgere il ridicolo di una categorizzazione binaria che mette il lombrico e il bonobo, che in nulla si somigliano, insieme nella identità animale, e noi che tanto al cugino peloso somigliamo, da soli nell’altra. Animale diventa così solo un “controtermine” atto a scopi di separazione, di sfruttamento e di guerra.
[…]
Dunque dall’eccezionalismo antropocentrico che ci divide dall’animalità, discendono altre separazioni, altri dualismi, altre contrapposizioni che Biuso perlustra nel libro e a cui contrappone una attenta cucitura della nostra realtà categoriale. Tentato dal monismo (come le ombre di Spinoza e Schopenhauer che si intravedono alle sue spalle ci suggeriscono) Biuso non vi cede mai. Alla casacca della totalità preferisce un attento lavoro sartoriale che tenga conto dei tessuti di provenienza. La stessa scelta del termine “corpomente” per indicare quegli uomini che noi siamo o “naturacultura” per delineare una lettura del rapporto tra innato e acquisito meno rigida, rivela questa passione per una conciliazione che superi le differenze ma non le anneghi».

Phronesis

La cosiddetta “vita concreta”, quella vita che la gente ignorante contrappone alla filosofia, si rivela di fatto incapace di affrontare l’esistenza e la sua lotta contro l’assurdo. La vita intruppata, superficiale, annoiata e volgare non può che soccombere al dominio della morte, data la totale assenza di una domanda consapevole sul significato dell’esserci. Per chi si è liberato dall’illusione del vivere “concreto” e rifiuta di darsi alle fedi, alla disperazione, al cinismo, alla banalità, -per chi, insomma, vuole pensare– la vita diventa un mezzo della conoscenza, una perenne curiosità infantile, la costruzione -faticosa ma esaltante- di quel senso che gli “uomini pratici” spesso non possiedono e la cui assenza condanna all’inconsistenza le loro vuote vite.

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