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Archetipi tribali

KEITH HARING
About art

Milano – Palazzo Reale
A cura di Gianni Mercurio
Sino  al 18 giugno 2017

Uno dei massimi artisti del Novecento fu Keith Haring. Giovane -visse 32 anni-, vivace, ironico, innovatore. E insieme assai colto. Nella sua opera si racchiude e squaderna una ricca varietà di prospettive, fonti, sintesi: come la semiologia, l’etnologia, le culture tribali. Quella di Haring è una etnopittura rinascimentale e astratta nella quale l’uomo vitruviano di Leonardo assume le sembianze di un pittogramma antropomorfo -l’«omino»- che si sostanzia di riferimenti espliciti all’arte antica. Scrisse infatti Haring che «I feel in some way that I may be continuing a search, continuing an exploration that other painters have started. I am not a beginning. I am not an end. I am a link in a chain. […] There is a lot to be learned from antiquity and their use of symbols». Anche per questo fu propenso a utilizzare «basic structures that are common to all people of all times» e con esse fu capace di esprimere gli archetipi universali di una specie che ha bisogno di simboli come si nutre di pane. Il pane lo produce dal grano che germina nei campi, i simboli dalla distesa spaziotemporale della propria storia ontogenetica e filogenetica.
E così in questa mostra alle opere di Haring si affiancano il calco di un Combattimento di centauri e lapiti e una ceramica antica  in forma di Antefissa con Gorgone; un grande fregio del 1984 è messo a confronto con un  fregio tratto dalla Colonna Traiana; un bronzo in tre parti sta accanto a una antica pala d’altare, della quale Haring ricrea lo spessore ieratico, la materia sacra.
Profonda è in questo artista l’ammirazione per l’opera di Hieronymus Bosch, che ritorna nella moltiplicazione di simboli i quali pongono in continuità l’umano e altri animali; nelle ripetute immagini di draghi; nella visionarietà materica e arcaica. In Untitled (1986, riprodotto qui sopra) dentro un giallo lampante sono nascoste e insieme risultano evidenti citazioni da Michelangelo, Cranach, Picasso, Bosch. In altri quadri emerge il postmoderno, con riferimenti a Dubuffet, Mondrian, Léger, Pollock, Alechinsky. Alcuni dipinti sembrano ispirati a decorazioni arabe. Ovunque un flusso di geometrie scandite e intrise di tenerezza, dalle quali gorgogliano totemismo e sciamanesimo, culture africane e azteche.
L’ultima sala raccoglie opere e video dei disegni realizzati da Haring per la metropolitana di New York. In due di essi -che chiudono questa preziosa mostra- è possibile riconoscere una Madonna col bambino e una Trinità. Ancora una volta, dall’inizio alla fine della sua breve e scintillante parabola, Keith Haring coniuga aniconismo e simbologia. Lo fa in modo profondo in un Untitled del 1989 (qui a sinistra), nel quale convergono dentro un cerchio i corpi in movimento. Come una danza di grande bellezza.

Schiavitù

Libya: A Human Marketplace -­ Narciso Contreras
Milano – Palazzo Reale
Sino  al 13 maggio 2017

31 fotografie di grande formato, distribuite in tre spazi e intervallate da pannelli/didascalie. È sufficiente osservarle e leggere. È sufficiente ascoltare e guardare la testimonianza di Narciso Contreras. Non sarebbero state necessarie le denunce di alcuni parlamentari o la notizia di inchieste da parte della Procura di Catania. Le immagini e le informazioni di questo reportage dalla Libia rendono chiara la condizione di schiavitù di milioni di esseri umani; rendono chiaro il fatto che tale schiavitù è stata creata e viene alimentata da una varietà di istituzioni e di soggetti.
Il primo di essi è la potenza che volle e realizzò la distruzione della Libia e la morte di Gheddafi, vale a dire l’amministrazione Obama con il suo Segretario di Stato Hillary Rodham Clinton, che si impegnò personalmente e con tenacia affinché Gheddafi venisse assassinato. In nome della Democrazia, of course. Da allora la Libia non esiste più, si è dissolta dando inizio a una infinita guerra fra le tribù che si contendono il controllo del territorio posto tra il Niger, il Ciad e il Mediterraneo. In questo conflitto senza posa i migranti sono utilizzati come una preziosa risorsa, come una preda di guerra, come  merce di scambio.
Contreras_Lybia
Il secondo soggetto sono le cosiddette ‘autorità libiche’ le quali -scrive Contreras- «invece di cercare di risolvere il problema, dirigono e approfittano di questo traffico di esseri umani»; «Piuttosto che una tappa di transito per i migranti e i rifugiati, la Libia è un luogo propizio di traffico di esseri umani e di commercio di schiavi, organizzati per le milizie al potere e legati alle reti mafiose».
Il terzo soggetto sono i trafficanti africani e il loro corrispettivo criminale in Sicilia, vale a dire la mafia. Trafficanti che hanno fatto della ferocia, degli stupri, della schiavizzazione, la loro normale attività quotidiana. Contreras ha visitato e fotografato le carceri e i campi gestiti da questi gruppi e sostiene che «qui non c’è dignità, regna un tanfo misto di sudore, urina ed escrementi che toglie il fiato».
Il quarto soggetto sono le «Organizzazioni non governative» (ONG), le quali costituiscono l’ultimo anello della catena. Al di là della evidente buona fede di molti loro membri, le ONG sono indispensabili ai trafficanti africani, ai mafiosi europei, alle autorità libiche, ai loro finanziatori (come il miliardario magiaro-statunitense George Soros) per raggiungere l’obiettivo di praticare affari sulla pelle, la vita, i corpi di milioni di schiavi.
Che dietro tutto questo possa esserci un progetto di impoverimento e di scontro sociale a danno dell’Europa è soltanto un’ipotesi. Certo è invece il fatto che quando -a conclusione di un viaggio che comincia dall’Africa profonda, attraversa il Sahara, si ferma nei lager libici, rischia la morte nel Mediterraneo- una percentuale di questi schiavi sopravvive e arriva in Sicilia, in Italia, in Europa, l’effetto lucidamente analizzato da Marx è di ingrossare «l’esercito industriale di riserva», a tutto vantaggio delle imprese e del Capitale.
Che le ONG siano o meno in accordo con i trafficanti è una questione giudiziaria  che non ho strumenti per poter valutare. Ciò che invece è del tutto evidente è la funzione politico-economica del loro umanitarismo, che si pone come una delle condizioni di prosperità dell’ultraliberismo finanziario e della sottomissione sociale.
La schiavitù greca e romana costituiva una struttura misurata e regolamentata, se posta a confronto con lo schiavismo bianco degli Stati Uniti d’America e con il sadismo e l’ipocrisia che caratterizzano la pratica della schiavitù contemporanea, della quale le Organizzazioni umanitarie sono oggettivamente parte.
La mostra di Narciso Contreras alza il velo su tale orrore.

«Una natura radiosa»

RUBENS e la nascita del Barocco
Milano – Palazzo Reale
A cura di Anna Lo Bianco
Sino al 26 febbraio 2017

Gli occhi scrutano da dentro il biondo dei capelli e il bianco incarnato della pelle. La testa di tre quarti s’allarga nella scura geometria del copricapo. Così ci guarda Rubens dal magnifico Autoritratto del 1623. Di quest’uomo, Jacob Burckhardt disse che fu un artista dalla «gigantesca fantasia» e «fu anche una natura radiosa», che dall’adesione all’etica stoica seppe trarre la saggezza dell’inevitabile e il riverbero della gioia.
Il suo Seneca morente è fatto di un corpo possente che abbandona con serena amarezza la vita. Quel Seneca che ritorna come nume nel busto che veglia sui Quattro filosofi, dei quali fa parte Giusto Lipsio, il più significativo esponente del neostoicismo. Rubens pensa che la terra del sapiente non sia questa o quella comunità ma la saggezza stessa, condivisa con chiunque se ne disseti. La sua azione di diplomatico presso le corti di Spagna e d’Inghilterra fu intessuta del suo amore per l’Europa, ritratta ne Le conseguenze della guerra come una donna in lutto e con le braccia alzate mentre Afrodite cerca inutilmente di fermare Ares. Un grido, un lutto, una lucidità meno note di Guernica ma altrettanto profonde a esprimere la tragedia dell’Europa devastata dalla Guerra dei Trent’AnniRubens_Los_horrores_de_la_guerra
Quella che è stata definita come la più grande novità in pittura dai tempi di Caravaggio si esprime nei corpi gloriosi che la riempiono. Gloriosi non nel senso paolino ma in quello greco. Sono infatti corpi ispirati a sculture classiche come il Torso del Belvedere, l’Ercole farnese, l’Afrodite al bagno del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Corpi intrisi di una carnalità piena, tesa, avvolgente e affascinante.
Rubens fa il contrario degli artisti e degli architetti che inglobarono i templi greci negli edifici cristiani (come si vede assai bene, ad esempio, nel Duomo di Siracusa). Rubens trasforma i santi cattolici in eroi e in divinità greche. Fa questo proprio perché è «una natura radiosa», la cui luce riempie ancora oggi lo spazio della pittura e si chiama Barocco.

Movimento, ala, piega

Arnaldo Pomodoro
Milano – Palazzo Reale
Sino al 5 febbraio 2017

La Piazzetta Reale fa da premessa con il Pietrarubbia Group, un insieme scultoreo che indica la memoria dei luoghi dove siamo nati, il loro trasformarsi accanto e contro di noi, il tempo delle pietre diventate bronzo. Entrati nella magnifica e struggente Sala delle Cariatidi si viene accolti dalla Grande tavola della memoria, una parete che racconta storie, vicende, drammi, guerre, dialoghi filosofici, teoremi matematici.
Poi le forme geometriche iniziano a vibrare. Colpite da luci riverberano luce. Le porte del mondo schiodate inchiodano la materia al suo fluire. Verticalità, orizzontalità, diagonali, rette, segmenti, tangenti, sfere, ellissi. La materia e lo spazio si raggrumano in stele arcaiche, in sfere sacre. Il ferro, il bronzo, il cemento, diventano movimento, ala, piega.
Dentro la sfera perfetta ma anche spezzata, ferita, consumata, perforata, si esprime il dramma di una modernità che anela al mito e deve accontentarsi della forma. «Nello stesso atto mi libero di una forma assoluta. La distruggo. Ma insieme la moltiplico» ha scritto Pomodoro. È così che dentro la materia splende senso, si dà Luce. La visione di Platone, una volta tanto, non è esatta: la Bellezza, infatti, è insieme ideale e materica.
Arnaldo Pomodoro e Ivan Theimer sono due forme greche infisse nella contemporaneità.

Eschermania

Escher
A cura di Marco Bussagli e Federico Giudiceandrea
Milano – Palazzo Reale
Sino al 29 gennaio 2017

All’inizio fu ottimo disegnatore e incisore, capace di muoversi con estro e abilità tra il liberty e il surrealismo. Poi furono la geometria, le forme, la mente. Fu l’Italia raffigurata con rara potenza grafica: il Tempio di Segesta, il Flusso di lava come lo si vede da Bronte, Castelmola e altre splendide immagini della Sicilia e dell’Italia, soprattutto meridionale. E di Roma, dove Escher si stabilì e visse per quattordici anni. «L’episodio che produsse il cambiamento nel percorso artistico di Escher fu la visita a L’Alhambra e a Cordova nel 1936». In quegli edifici arabi vide la geometria, la serialità, la potenza creatrice della percezione umana, la relazione tra la struttura dei minerali e le costruzioni, vide le immagini ricorsive che si fanno musica degli occhi. «Escher è affascinato dal tema dell’illusione del volume realizzato con i mezzi della grafica» ha scritto Bruno Ernst.
E poi le leggi della Gestalt, gli ‘oggetti impossibili’, le Metamorfosi che mostrano la continuità olistica tra tutte le cose. Insieme a Magritte –soprattutto al Magritte de Les compagnons de la peur, in cui delle foglie si trasformano in inquietanti civette-, Escher ha ancora una volta dato ragione ad Aristotele, per il quale la mente è in qualche modo tutte le cose.
Già mentre Escher era vivo esplose una Eschermania che da allora non si è più fermata. Le forme escheriane si sono diffue ovunque: dalle scienze all’industria culturale (fumetti, copertine di dischi e di riviste, video), dall’arte più raffinata alla pubblicità. Uno degli artisti matematicamente più complessi è diventato anche uno dei più popolari. Questa mostra assai ricca ne spiega con efficacia le ragioni.

Un’estetica del frammento

Studio Azzurro. Immagini sensibili
Palazzo Reale – Milano
Sino al 4 settembre 2016
Video della mostra

Le immagini sono sensibili perché al tocco del visitatore prendono vita, si muovono, si spostano sui tavoli, sui tappeti, nei monitor e nello spazio. Coppie che dormono si involtano su se stesse, pozzanghere sprizzano acqua e rompono il ghiaccio al tocco delle scarpe. Una vera e propria etnoestetica fa del visitatore lo spettacolo stesso, l’opera, la performance.
I contenuti che lo Studio Azzurro ha affrontato dal 1984 a oggi sono molto diversi tra di loro ma tutti accomunati da una poetica del frammento come scheggia che riassume l’intero, solo frammento del solo mondo. Si va dalla rivisitazione di luoghi, spazi, genti e culture del Mediterraneo ai Benandanti studiati da Carlo Ginzburg, i quali proteggevano i campi e i raccolti  dagli influssi malefici attraverso il culto pagano della terra e della sua potenza.
Molto bello il video realizzato dentro il Grande Cretto di Gibellina. Tra le rovine che Alberto Burri ha trasformato in forma si muovono nella notte gli anziani, mentre una voce antica afferma che «u tempu ogni cosa scaccia, scaga».
Il lungo percorso si conclude nella grande Sala delle Cariatidi, dove un’installazione appositamente pensata per questo luogo rivisita il Miracolo a Milano di De Sica. Il visitatore si pone davanti a degli specchi, dopo qualche secondo la sua immagine scompare, sostituita da quella di un clochard -o di persone in ogni caso in difficoltà economica- che dice poche parole sulla propria storia e poi spicca il volo verso il soffitto affrescato della sala, dove la povertà diventa leggerezza.
L’ibridazione tra arti visive, video, cinema, performance, nuove tecnologie si fa racconto, movimento, suono.

Dinamismo

Umberto Boccioni (1882-1916): genio e memoria
Palazzo Reale- Milano
Sino al 10 luglio 2016

1882-1916. Cento anni fa moriva Umberto Boccioni. Cento anni di futurismo. Al di là dei suoi contenuti specifici, dottrinari, tecnici –molti dei quali obsoleti e già passati– il futurismo si è irradiato nel modo stesso di concepire l’arte e soprattutto ha prodotto opere tra le più significative del Novecento.
L’opera di Boccioni costituisce uno dei vertici di tale ricchezza. Al di là degli atteggiamenti di rottura con il passato, questo pittore e scultore si era nutrito della grande tradizione dell’arte europea dai Greci al Rinascimento. La mostra evidenzia bene il suo debito con Dürer, Giovanni Bellini, Donatello, Van Dyck, Rembrandt. E dà conto dell’importanza del saper disegnare, della padronanza di ogni tecnica pittorica e plastica. Come Aby Warburg, anche Boccioni raccolse in un Atlante della memoria molte riproduzioni di opere che vanno dalla classicità pagana sino al suo presente, 216 opere esattamente. Nessuno nasce dal nulla, nessuna opera è fondata sul niente. Compresi uomini e opere che intendono praticare un taglio netto con il passato. Il genio di Boccioni è anche la sua memoria.  Efficace titolo, questo, di una mostra che documenta l’ambiente, le relazioni, i pittori con i quali l’artista creò e intrattenne legami profondi o ai quali deve in ogni caso molto: Previati, Segantini, Fornara, Severini, Brangwyn, Rosso, Picasso, Carrà, Rodin, Cézanne, Sironi.
L’ordine cronologico nel quale si dipanano le sale dà conto della breve ma intensissima vicenda di Boccioni prima e dopo l’adesione al futurismo. Tra le opere esposte, il Ritratto di Virgilio Brocchi fa del colore e del suo impasto la psicologia stessa del personaggio, il suo corpomente. Le Tre donne sono pure luce. Nelle Officine a porta romana c’è tutto «il cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace» (I promessi sposi, cap. XVII)- e c’è l’atto e la potenza della città, il suo spazio epico e insieme intimo.  La madre –soggetto ripetuto da Boccioni- con il trascorrere del tempo diventa sempre più astratta, scomposta, sino a Materia (1912) nel quale la madre è diventata la materia stessa. Le due sculture Sviluppo di una bottiglia nello spazio e Forme uniche della continuità nello spazio sono la perfetta plastica futurista.
Infine Dinamismo, un titolo universale e paradigmatico dell’opera di Boccioni, ripreso nelle numerose varianti di un titolo altrettanto programmatico e pervasivo: Voglio fissare le forme umane in movimento. Ci sei riuscito.

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