L'università dell'Ikea e di Pol Pot
Nel 2001 Maurizio Ferraris scrisse un libro dal titolo Una ikea di università . Lo scorso anno lo ha aggiornato Alla prova dei fatti. Qualche giorno fa è tornato sull’argomento con un articolo su Repubblica che comincia così: «Nell’autunno del 2001 all’ inizio di un volume che aveva la stessa forma e dimensioni del catalogo Ikea, la Guida di orientamento e programmi dei corsi 2001-2002 della Facoltà di scienze della formazione di Torino, si poteva leggere quanto segue: “Gli studenti sono i nostri clienti: hanno sempre ragione (anche quando non ce l’ hanno)”».
Si tratta di un testo amaro, divertente e condivisibile. Soprattutto là dove afferma che «lo scopo della neouniversità è stato, singolarmente, di impedire che si formassero degli intellettuali», visto che gli intellettuali -ovviamente quando sono davvero tali e non dei presenzialisti della televisione e della politica, della politca ridotta a televisione- pensano. E questo è un rischio. E anche dove l’Autore osserva che «taluni esponenti di una élite intellettuale (perché tali erano i partigiani della riforma, educati in una veterouniversità ) proponevano la fine delle élites intellettuali (perché tale era il significato ultimo della neouniversità ), senza domandarsi che cosa sarebbe venuto dopo». Una tipica sindrome leninista-polpottiana. Pol Pot, infatti, aveva studiato a Parigi ma per i cambogiani sognava una vita ruralissima, come i riformatori cresciuti alla Normale di Pisa sognavano un’università dove tutte le menti fossero uguali, come le famose vacche di Hegel.
Adesso i tagli/ragli colpiscono i finanziamenti, naturale completamento del taglio delle conoscenze.