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Luce

Lucio Fontana 
Ambienti / Environments
Milano – HangarBicocca
A cura di Marina Pugliese, Barbara Ferriani e Vicente Todolí
Sino al 25 febbraio 2018

Di luce è fatta la materia, di luce è intrisa l’aria, di luce sognano gli occhi dei viventi, di luce è l’ultima nostalgia. Nessuno è indispensabile e anche il grande amore si dimentica. Ma la luce che in quei momenti -quando fai l’amore- entra dalle finestre o viene dalle lampadine. Quella non la dimentichi. Perché quella luce sei tu, e non lei o lui. Loro passano e quella luce rimane. Solo quella luce. L’oggetto d’amore è miraggio riflesso ombra. Luce che si forma e che ritorna dopo che la torcia della passione ne ha plasmato i contorni. Ma dentro quella forma, nulla. Nulla al di fuori dei pensieri totali che il sentimento crea. Che crea questo bisogno troppo umano di sentirsi amati.
Alla luce gli ambienti di Lucio Fontana offrono voce e tatto, trasformando lo spazio in sinestesia, alternando la profondità del blu con l’esplodere del rosso che investe afferra libera dall’angoscia del buio, insopportabile ai mortali. Guizza la luce attraverso i neon, si ferma nell’ultravioletto delle lampade di Wood, diventa velluto opalescente e morbida gomma in cui si affonda. Uno degli ambienti è la limpida geometria seriale di cinque brevi corridoi attraversati dal rosso infuocato dei neon alle pareti. Un altro spazio è lo stretto labirinto dove trionfa la gioia del bianco, che si conclude con la semplicità arcaica di un taglio nella parete larga alla quale infine si giunge. L’ambiente più ampio è attraversato da rette luminose blu e verdi, sospese nell’aria in diagonale e su molteplici livelli.


Gli Ambienti di Fontana costituiscono una novità assoluta (il primo è del 1949) che ha mutato l’itinerario dell’arte nella storia. Le invenzioni cromatiche e formali furono riprese nel viaggio conclusivo dell’astronave di 2001. A Space Odyssey. Tutto questo, che l’artista costruiva e poi smontava, è stato ricomposto con filologica acribia all’HangarBicocca di Milano e lo si gode penetrando nei suoi spazi.
E le parole di Fontana mostrano con saggezza il distendersi temporale della luce: «L’arte oggi è pura filosofia; finito l’uomo, continua l’infinito».

Pienezza

Philippe Parreno. Hypothèsis
HangarBicocca – Milano
A cura di Andrea Lissoni
Sino al 14 febbraio 2016

Non è una mostra, non è un’installazione. È piuttosto un racconto che luci e suoni fanno a se stessi, un evento drammaturgico, un set cinematografico nel quale si viene immersi, diventandone attori nello spazio.
Si inizia con la citazione delle stranezze di Duchamp, diventate trasparenze. Si prosegue nel luogo più vasto del grande Hangar, nel quale una lampada si muove ellittica a indicare il cammino del Sole e proiettare sul muro le ombre delle Marquees (le insegne luminose che negli anni Cinquanta reclamizzavano i film nei cinema statunitensi) che ad altezze diverse scandiscono l’intero corridoio, nel quale vengono proiettati dei film di Parreno, vengono eseguite da pianoforti musiche di vari compositori, si illuminano dei led formando strutture e immagini.
Dinamismi, luci, suoni, sinestesie, generano nel corpomente una sensazione di rilassamento, di quiete, di silenzio abitato dalle forme. Si è immersi in un ambiente naturale, artificiale, ambiguo e quotidiano, soprannaturale, cinematografico.
Natura e artificio vi appaiono infatti profondamente coniugati. Il cielo, la pioggia, le nuvole, i tuoni, le albe e i crepuscoli, lampadine, cavi, canzoni. Il parlante silenzio della materia. E poi il rumore dei programmi televisivi, della radio, della pubblicità. Frammenti di insensatezza nella pienezza di un mondo sovrano e indifferente alla stupidità. La deriva dell’acqua, la sua potenza e la sua calma. Oggetti d’arredo nelle case. Lo spazio domestico sembra abituale e tuttavia appare inquietante. La Scrittura vergata sul palinsesto del mondo. Voci, parole, forme luminose. Tra Neuromancer e Blad Runner ma con maggiore raffinatezza.
Così vince il divenire, cosi  trionfa il Tempo.kiefer_dipinti

Dallo spazio di Hypothesis si accede ai Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefel, ai quali da poco sono stati aggiunti dei dipinti dello stesso artista. Enormi tele che descrivono piramidi rovesciate e costellazioni celesti; Dike, la bilancia e la giustizia cosmica; l’arcobaleno dei filosofi tedeschi; la polvere della terra e del tempo. Tutto questo esprime la fragile stasi dell’eterno, dell’archetipo, dell’arcaico. Un cammino iniziatico, un percorso verso la Pienezza.

Immagine / Tempo

João Maria Gusmão & Pedro Paiva
Papagaio

A cura di Vicente Todolì
HangarBicocca – Milano
Sino al 26 ottobre 2014

Papagaio_1Immagini silenziose. L’unico suono è quello dei proiettori di pellicole a 16mm e 35mm che irradiano sulle pareti strani mondi, paradossali metafore, eventi in slow-motion che in questo loro andare cadenzato e irreale mostrano sino in fondo l’illusione percettiva che ogni reale rappresenta.
Gusmão e Paiva fondono il cinema documentaristico dei fratelli Lumière e il cinema magico di Georges Méliès. In questo modo uova che friggono, tartarughe che avanzano, palline che saltano, ruote che girano, soli che tramontano, riti dionisiaci, alberi che cadono, ombre che si muovono, tutto questo e altro va ed esiste nel più assoluto silenzio.
Percepiamo così, ancora una volta, quanto il ritmo, la velocità, il tempo siano costitutivi di ciò che chiamiamo realtà e di come si possa far filosofia con tecnologie ormai desuete ma poste al servizio della più avanzata estetica dell’immagine-movimento.

Babilonia

Cildo Meireles. Installations
A cura di Vicente Todolì
HangarBicocca – Milano
Sino al 20 luglio 2014

Meireles_Cruzeiro_dormire_Sul_(1970)Infinitamente piccolo, infinitamente grande. Particelle subatomiche e galassie senza fine. Ricondotte alla scala artistica, alla scala umana, diventano parte, struttura e forma dell’opera di Cildo Meireles. Negli enormi spazi dello HangarBicocca la prima delle 12 installazioni si nota soltanto perché un fascio di luce la illumina nel contorno vuoto e buio che da ogni parte la circonda. Si tratta di un cubo di legno di pino e di quercia che misura 9 mm di lato. Nell’avvicinarsi al fascio di luce e a quest’oggetto si ha la sensazione che la materia emerga dallo spazio, la conferma che la materia sia energia.
A una ventina di metri dall’infimo cubo si erge un’imponente torre composta da apparecchi radiofonici di varie epoche, alcuni dei quali funzionanti e dunque diffondenti suoni, musiche, parole. Babel è il suo titolo. Un vero e proprio totem tecnologico il cui brusio è sacro.
Attraversando Através si calpestano e si frangono pezzi di vetro, si percorre un labirinto fatto di filo spinato, cancelli, reti, barriere. Un labirinto con al centro una grande sfera di cellophane, un’enorme cellula del male.
Al centro di uno spazio delimitato da una tenda sta una bilancia circondata da centinaia di sfere tutte uguali. Prendendole in mano, tuttavia, il diverso loro peso si fa evidente. Tutto intorno si sente il tonfo di altre sfere che precipitano.
Due spazi racchiusi fra tende sono costituiti da una superficie bianca di gesso e da una superficie nera di carbone. Passando dall’una all’altra «la filosofia dipinge il suo grigio su grigio. Allora una figura è invecchiata, e con grigio su grigio essa non si lascia ringiovanire, ma soltanto conoscere» (Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Marini, Laterza 1991, p. 17).
Meireles_Babel_(2001)Le altre sette opere -fatte di ossa, banconote, candele, fotografie, uova di legno, proiettili, termoventilatori, lampade- le avevo già incontrate al Museu de Arte Contemporânea de Serralvess di Porto e le ho riattraversate con gioia. Perché le installazioni di Cildo Meireles sono opere d’arte totale, le quali coinvolgono la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto, il tatto. Opere dentro cui ci si immerge e la cui forte dimensione politica ci fa intendere che mentre i potenti di professione si apparecchiano ogni giorno la tavola del malaffare, è pur sempre possibile predisporre un altro futuro, un altro pensiero, altre forme nello spaziotempo.

Intervista a Cildo Meireles
 

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