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Militello in Val di Catania

Dai suoi angoli, dalle viuzze strette e lunghe, impastate di argilla e pietra lavica, si vede in basso Scordia, e più in là il Biviere di Lentini, quello la cui descrizione così comincia: «Il viandante che andava lungo il Biviere di Lentini, steso là come un pezzo di mare morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte…». E si vede poi l’elevarsi trapezoidale del vulcano e dappertutto la Piana. Si sente il vento tra rientranze sulle quali si alzano balconi spesso orribili e invece altre volte sorridenti del Barocco. E più sopra ancora il cielo turchese della Sicilia dentro la tramontana.
Il Militum tellus, forse il luogo dei soldati romani di ritorno dall’assedio a Siracusa, fu reso dai Barresi prima e dai Branciforti dopo uno spazio intriso di potenza architettonica. Con la miriade come sempre di chiese e con al centro l’abbazia di San Benedetto, esemplata su quella magnifica di Catania. Seppur in scala assai minore, sono infatti identici i corridoi, le porte delle celle, le volte, il perimetro, il respiro e lo spazio.
Dovrebbe, questo luogo da poco restaurato e ufficialmente Municipio, diventare sede gli uffici comunali -per ora è limitato alle riunioni del Consiglio e ai matrimoni-, liberandoli da un orrendo edificio anni Settanta che si trova vicino alla fontana della Ninfa Zizza (immagine di apertura) e al poco che rimane del Castello.
Intanto, nell’estate del 2021, il Monastero ospita una mostra dedicata al cantastorie Franco Trincale, originario di Militello e che vidi più volte cantare per le strade e le piazze di Milano, sino a quando un’ordinanza del 2002 glielo proibì. Trincale infatti cantava storie non soltanto di cronaca e di paladini ma anche di stragi, di Andreotti e Berlusconi, della mala amministrazione di Milano e dell’Italia. L’autorità ha temuto anche un ultimo cantastorie, cancellando questa testimonianza antropologica così profondamente mediterranea. Nei corridoi del Municipio/Monastero della sua città, Trincale ha trovato invece celebrazione, documentazione, spazio. Devo la conoscenza di questa mostra alla Signora Marinella Ardizzone, impiegata del Comune, la quale con profondo senso dell’ospitalità e gentilezza ci ha fatto visitare l’abbazia e che mi fa piacere qui ringraziare.
Uscendo dal Municipio, la via centrale del paese è contornata delle maggiori chiese, in particolare la matrice dedicata a San Nicolò e al Salvatore e il Santuario di Santa Maria della Stella. Le chiese sono state costruite o restaurare dopo il terremoto del 1693 che ha del tutto trasformato le città orientali di Sicilia. Suggestiva la piccola chiesa di Sant’Antonio da Padova mentre ho potuto ammirare soltanto dall’alto il plesso archeologico di Santa Maria della Stella la Vetere, chiuso nelle ore della mia visita.
Sperduti tra le alture, nascosti negli anfratti del tempo e dello spazio, relegati ai margini apparenti della Storia, i luoghi di Sicilia sono un sogno del mito sempre vivo, della luce segreta degli eventi, della morte.

Verga

Giovanni Verga
in Vita pensata, numero 21, gennaio 2020
pagine 80-81

Ho tentato di leggere l’opera di Giovanni Verga come una testimonianza antropologica capace di pervenire al fondo della natura umana e siciliana, di enti costituiti dagli elementi primordiali del mondo: l’acqua del mare, la durezza della terra, la solitudine dell’aria, la potenza del fuoco. Si squaderna davanti a noi l’Isola di tripudi e di sfacelo, intrisa di segreta magia e di quotidiana fatica.
«Il viandante che andava lungo il Biviere di Lentini, steso là come un pezzo di mare morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte, e i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Passaneto e di Passanitello, se domandava, per ingannare la noia della lunga strada polverosa, sotto il cielo fosco dal caldo, nell’ora in cui i campanelli della lettiga suonano tristemente nell’immensa campagna, e i muli lasciano ciondolare il capo e la coda, e il lettighiere canta la sua canzone malinconica per non lasciarsi vincere dal sonno della malaria: — Qui di chi è? — sentiva rispondersi: — Di Mazzarò. […] Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, e le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a rannicchiarsi col volo breve dietro le zolle, e il sibilo dell’assiolo nel bosco. Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra».
Qualcosa di cosmico e di veramente antico.

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