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Europae / Segno

Europae
Associazione Lyceum – Scuola delle Cose  – Oliveri (Messina)
A cura di Davide Di Maggio e Nino Sottile Zumbo
Sino al 19 dicembre 2021

La disponibilità della Fondazione Mudima di Milano e la tenacia di Nino Sottile Zumbo hanno prodotto un piccolo miracolo, hanno fatto sì che in un paesino della riviera tirrenica della Sicilia convergessero ventotto tra i più importanti artisti del Novecento e del XXI secolo, tra i quali Francis Bacon, Christo, Marcel Duchamp, Lucio Fontana, Mimmo Rotella, Daniel Spoerri.
La poetica Dada e il gruppo Fluxus dominano la mostra di di Oliveri che è «la prima di una serie di mostre sull’Arte moltiplicata: serigrafie, grafiche, multipli, libri  d’artista dei maggiori artisti europei» (D. Di Maggio, La Scuola delle Cose, p. 1). Il titolo della mostra nasce dal fatto che «secondo alcuni linguisti il termine Europa risale all’etimo eurus (ampio) e ops (occhio): l’Europa è continente dall’ampia visione» e uno dei suoi obiettivi è contribuire a «un’Europa non di cartapesta, ma comunità di destino», scrive Sottile Zumbo con accenti heideggeriani (La Scuola delle Cose, p. 2)
Quella di Oliveri è un’antologia del Contemporaneo permeata dai simboli in bronzo di Spoerri, posti quasi a difesa e a significato dell’intero evento, che accoglie invenzioni cinematiche, corpi contratti e insieme dilatati, simboli arcaici, poesie grafiche, il sangue, l’oro, la luce, le linee, i segni, le geometrie, l’astratto e il materico. Che accoglie insomma alcune delle espressioni e dei capisaldi di un’arte la cui tensione verso la purezza della forma svicola, converge e si compie nella centralità ed essenzialità di ogni segno, anche del più piccolo, periferico, apparente; converge nel gioco tra Gegenstand e Bedeutung, tra il dato e il significato, poiché ogni segno è un oggetto/evento composto di significante, significato e riferimento. E questo accade perché l’umano «is a sign; so, that every thought is an external sign. That is to say, the man and the external sign are identical, in the same sense in which the words homo and man are identical. Thus my language is the sum total of myself; for the man is the thought» (Peirce, Collected Papers, 5. 314). Il segno significa in un tessuto di relazioni e regole combinatorie inserite in un mondo più ampio di azioni ed eventi, un mondo che è sempre temporale.
«Ein Zeichen sind wir, deutungslos» (Hölderlin, Mnemosyne, v. 1), siamo un segno che nulla indica. Nulla, al di là di se stesso, del proprio indicare, della vita come segno, parola, concetto, significato che abita in noi e non certo nelle cose e nella materia, che bisogno di senso non hanno. Anche per questo le forme contemporanee significano sempre tutto e non hanno bisogno di significare nulla di specifico, limitato e particolare. Anche per questo l’arte contemporanea, qualunque cosa si indichi con tale espressione, è un’ermeneutica della materia. Poiché  «qualcosa è segno solo perché viene interpretato come segno di qualcosa da qualche interprete» (C.W. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni, Paravia 1955, p. 31). La natura più profonda del segno consiste in questo suo legame con la verità molteplice del mondo, nel suo saperla dire, indicare, custodire.
Ed è esattamente questo che le invenzioni molteplici, diverse, enigmatiche e avvolgenti di Europae operano nello spazio: dicono, indicano, custodiscono.

Materia/Spazio

Burri e Fontana. Materia e spazio
Catania – Palazzo Valle
Sino al 16 maggio 2010

Accostare Burri e Fontana nelle stesse stanze è l’intuizione più preziosa di questa mostra. Entrambi lavorano sulla “materia vile” e la trasformano in magia e splendore. Carta, tele, sacchi, cellotex, metallo, diventano forma della mente, itinerario del senso dentro l’enigma inaudito delle cose, delle molecole, degli atomi. I concetti spaziali di Fontana rendono plastica ogni superficie regalando alle tre dimensioni la profondità del tempo. Il Ferro SP4 (1959) sembra svelare la natura rinascimentale delle incandescenze di Burri. E la sensazione è davvero di vedere o rivedere opere che forse sconcertarono ma che hanno rinnovato nel profondo la pittura e adesso sono semplicemente classiche.
Una sezione della mostra documenta il divenire del Grande Cretto col quale Alberto Burri ha fermato per sempre la potenza della terra, del suo scuotimento a Gibellina, dell’istante di energia che diventa morte.

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