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Un finale felice

Happy End
di Michael Haneke
Francia, 2017
Con:  Fantin Harduin (Eve), Isabelle Huppert (la zia),  Jean-Louis Trintignant (il nonno), Mathieu Kassovitz (il padre)
Trailer del film

Eve ha tredici anni e osserva il mondo filmandolo con il suo cellulare. Vede la madre ripetere gesti sempre uguali prima di andare a letto; vede il proprio criceto morire dopo avergli somministrato una dose degli antidepressivi usati dalla madre, la quale muore allo stesso modo. Il padre, un medico, si era risposato; dopo la morte della madre la ragazza va a vivere nell’ampia dimora del ricco nonno e della zia, che ora dirige l’impresa edile di famiglia a Calais, dove la vicenda si svolge.
Eve è gelida ed è fragile, è assorbita dai social più banali, è capace di entrare nel computer del padre e carpirne i segreti, è lontana e sola. Ed è malvagia. Somiglia un poco al cugino, del tutto sconclusionato e incapace di gestire l’azienda che dovrebbe ereditare. Somiglia un poco al padre, impacciato con lei e irretito in legami nascosti. Somiglia soprattutto al nonno, che le confessa un delitto inevitabile e tenta più volte di porre fine alla propria vita. La più sensata sembra la zia, una Isabelle Huppert insolitamente equilibrata.
Anche la scena finale, bizzarra e necessaria, viene filmata dalla ragazza – protagonista e spettatrice – mentre altri si prodigano ad evitare la sciagura.
È molto ricca la famiglia Laurent ed è molto infelice, è di fatto folle.
È molto ricca l’umanità, di risorse naturali sul nostro bel pianeta, ed è molto infelice da sempre, al di là dei regimi, delle epoche, della civiltà; è di fatto folle nel muoversi costantemente verso la propria e altrui (di altre specie) distruzione. L’impulso di morte che percorre dall’inizio alla fine questo film freddo e grottesco mostra come gli umani tentino giustamente in vari modi di cancellare la propria esistenza. Perché la loro esistenza, la nostra esistenza, è chiaramente un errore. La nostra estinzione sarà lo Happy End.

Parassiti

Border – Creature di confine
(Gräns)
di Ali Abbasi
Svezia-Danimarca, 2018
Con: Eva Melander (Tina), Eero Milonoff (Vore)
Trailer del film

Nella mitologia scandinava il trold (o troll) è una creatura dalla forma (dis)umana che vive nei boschi, che entra in relazione con gli altri animali, che sente l’armonia delle acque, che teme i fulmini e può diventare anche assai violento. Tina è un trold che non sa di esserlo, lavora come poliziotta presso la dogana dove mette al servizio della comunità il suo formidabile talento nell’annusare non soltanto droghe e alcolici ma anche e specialmente «vergogna, senso di colpa, rabbia». La sua vera natura le viene svelata dall’incontro con Vore, un viaggiatore di cui lei sente la diversità e la pericolosità ma dal quale è anche attirata in modo del tutto inconsueto. L’incontro e la relazione con Vore fanno emergere la potenza ancestrale della terra, il bruire della vita primitiva, la crudeltà degli umani «che non rispettano neppure i loro bambini, parassiti che si divertono a far soffrire altre creature, che distruggono tutto ciò che toccano».
Alla deformità somatica di Tina e di Vore si contrappone infatti la deformità sostanziale di una comune famiglia svedese che prende i bambini in affido per affittarli poi a dei pedofili. Il fiuto di Tina scoprirà anche costoro, insieme ad altri orrori.
I cani, le volpi, le alci, i lombrichi costituiscono rispetto a questi umani il ritmo primordiale della vita che è sempre insensata ma che in essi si declina nella misura dei cicli primordiali del cielo e della terra. L’umano fa invece gorgogliare da sé la dismisura. Questo verme nudo si crede il sovrano del cosmo, si crede fatto a somiglianza di qualche dio ed è invece ragione di dolore e di terrore per le altre specie, è ragione di declino dell’aria e del respiro, è disprezzo verso la differenza ed è abisso che sprofonda nella morte che costantemente infligge, nella morte che è.
La deformità dei trold e di ogni altra fantasia generata dalla mente umana è lo specchio inquietante di ciò che sentiamo d’essere, che siamo e che saremo, sino a quando «the  Second  Law  of  Thermodynamics will get us in the end in the fantastically unlikely event that nothing else does first», la seconda legge della termodinamica avrà infine ragione di noi, anche nel caso fantasticamente improbabile che null’altro provveda prima (James Lenman, «On Becoming Extinct», in Pacific  Philosophical  Quarterly, n. 83, 2002, p. 254).
La potenza del tempo farà giustizia, come sapeva Anassimandro.

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