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Desolazione

Salvo
di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza
Italia – Francia, 2012
Con: Saleh Bakri (Salvo), Sara Serraiocco (Rita), Luigi Lo Lascio (Enzo), Mario Pupella (Boss), Giuditta Perriera (Mimma)
Fotografia: Daniele Ciprì
Trailer del film

«Quando dunque vedrete l’abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo – chi legge comprenda» (Mt. 24,15)

Una Palermo satura di colori, sporca di luce. Salvo vi si muove con la determinazione di una macchina, con l’indifferenza di una cosa, con la tristezza di un dannato. Uccide per conto di un capomafia ed evita di essere ucciso per mano di altri sicari. Quando arriva a casa di uno dei suoi obiettivi vi trova Rita, la sorella cieca. Rita sente la sua presenza e però non fa in tempo ad avvertire il fratello. Salvo dovrebbe uccidere anche lei. Ma non lo fa. La porta con sé nell’ennesimo luogo abbandonato dagli dèi. La bugia detta ai suoi capi non dura a lungo, non può durare. Il boss vuole la ragazza. Salvo la protegge. Il finale è davanti al mare, al suo sciabordare «contro l’approdo di demenza […] offrendo la sua perenne schiuma, ribevendosi la sua turpe risacca» (Gadda, La cognizione del dolore, Garzanti, p. 131).
Credo che i dialoghi di questo film siano contenuti in due, tre pagine, non di più. Puro cinema, dunque, Fatto del rumore del mondo, della costitutiva solitudine degli umani, della loro violenza e della pietà. E però è un film pieno di suoni. Canzoni, latrati di cani, clacson di automobili, crepitare di motorini, voci di piazza, andare di macchinari. Una colonna sonora fatta di rovina e di squallore, intrisa di vita che si perde. Qualche forma riappare attraverso le mani di Salvo sugli occhi della ragazza. Al modo dei re medioevali, il killer taumaturgo restituisce un poco di luce alla vita di Rita.
Rare sono le opere che guidano nel labirinto della tenebra umana, della nostra cecità, del nostro risveglio. «Il sole sarà / E cambierai / La tristezza dei pianti in sorrisi lucenti» recita la canzonetta che pervade Salvo.

Mercedes palermitana

È stato il figlio
di Daniele Ciprì
Con: Toni Servillo (Nicola Ciraulo), Fabrizio Falco (Tancredi Ciraulo), Alfredo Castro (Busu), Giselda Volodi (Loredana Ciraulo), Aurora Quattrocchi (Nonna Rosa), Benedetto Ranelli (Nonno Fonzio), Piero Misuraca (Masino), Alessia Zammitti (Serenella Ciraulo)
Italia, 2012
Trailer del film

Seduto in un ufficio postale di Palermo, un uomo racconta strane storie. Come quella di un ragazzo che uccise il padre a causa di un graffio su un’automobile. Erano gli anni Settanta, Palermo era assolata e sporca. Nicola Ciraulo abitava in un quartiere orrendo e cercava di “campare” la famiglia raccogliendo ferro vecchio. Il figlio primogenito, ormai ventenne, non combina niente; Serenella, la secondogenita, è “la luce dei suoi occhi”. Una luce che viene spenta da una pallottola vagante. Disperato Nicola e disperata la famiglia, sino a quando qualcuno suggerisce che per le vittime di mafia si può ottenere un risarcimento. Dopo una lunga attesa i soldi arrivano. Sono tanti  e Nicola convince gli altri familiari a comprare con una parte del denaro una Mercedes fiammante e superaccessoriata. Da quel momento è l’automobile a diventare la luce dei suoi occhi. Non è semplicemente il “feticismo delle merci”, non è neppure il riscatto di una vita da poveracci mediante un oggetto di lusso, è la cristallizzazione della vita in una cosa, è illusione, autoinganno, disperazione.
Grottesco nei toni, inabissato dentro la bruttezza antropologica e urbanistica, interpretato da attori in stato di grazia -Fabrizio Falco (il figlio), Alfredo Castro (il narratore) e soprattutto un Toni Servillo colmo di volgarità, di energia e di candore-, questo film è simbolico dall’inizio alla fine. Simbologia evidente nella presenza di un uomo vestito di nero, che assiste silenzioso a molte delle scene, e in quella di una bambina diversa dalle altre. Sull’immagine di questa bambina il film si chiude: sola tra i palazzi, davanti a una pozza di sangue, accanto alla carcassa di un’auto bruciata, sotto un cielo livido come quello di alcuni dipinti del Greco.
Niente di straordinario, comunque, sino al quarto d’ora finale nel quale si scatena una tragedia antica e la tensione si placa soltanto nella plumbea solitudine del mondo.

 

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